Comunali 2012: risultati percentuali per partiti e coalizioni

di Roberto D’Alimonte

Quanto valgono oggi i partiti? Tra tutte le domande cui cercare risposta nel recente voto comunale questa è certamente la più difficile. La eterogeneità della offerta politica è così elevata che tutto ciò che possiamo chiedere ai dati è di darci delle tendenze più che delle risposte.

È quello che avevamo già fatto (si veda il Sole 24 Ore del 9 maggio) con i dati dei 26 comuni capoluogo ed è quello che possiamo fare ora con i dati di tutti i 157 comuni sopra i 15mila abitanti. La tendenza più netta riguarda la frammentazione del voto. È il risultato della presenza di tantissime liste locali, ma anche dell’indebolimento dei partiti maggiori. Fa impressione vedere che in questi comuni il Pdl abbia ottenuto solo 426.797 voti (12,1%) contro i 1.720.237 voti (39,8%) che in questi stessi comuni aveva preso nelle politiche del 2008. Per il Pd il quadro è solo un po’ meno brutto: da 1.380.634 (32%) a 555.178 (15,7%). Per avere un dato più realistico sulla consistenza di Pd e Pdl occorre aggiungere ai loro voti quelli delle liste collegate ai candidati sindaco da loro sostenuti. Per il Pdl si tratta di 414.877 voti con i quali il partito di Berlusconi arriva al 23,9%. I voti da aggiungere alla lista del Pd sono 386.738 con i quali arriva al 26,7% dei voti.


Questa è la sola operazione possibile per cercare di dare una risposta alla domanda iniziale, ma è pur sempre arbitraria. In questo modo infatti si attribuiscono a Pdl e Pd tutti i voti di tutte le liste locali che fanno parte della loro coalizione senza tener conto che nella coalizione ci sono altri partiti alleati. Per questo motivo è meglio guardare alla consistenza delle aree politiche più che a quella dei partiti per farsi una idea più realistica sulla distribuzione attuale dei consensi. In questo modo si riesce a cogliere chiaramente perché Pd e alleati hanno largamente vinto queste elezioni. Infatti le liste di centrosinistra hanno raccolto complessivamente 1.651.389 voti contro 1.069.067 delle liste di centrodestra. Il confronto con i dati del 2008 è opinabile trattandosi di una elezione politica, ma è comunque utile perché fa vedere come il centrosinistra, nonostante il forte calo della partecipazione elettorale tra le due elezioni, abbia preso quasi gli stessi voti mentre non è stato così per il centrodestra che invece ne ha persi più di un milione. Tanti elettori moderati non si sono recati alle urne. Questo, insieme alla divisione del centrodestra, è stato il fattore decisivo che ha consentito al Pd e ai suoi alleati di ottenere una vittoria così netta in questa tornata elettorale.


I dati analizzati qui sono già obsoleti. L’esito di queste elezioni ha già modificato le preferenze degli elettori. È la naturale conseguenza di un quadro politico estremamente fragile in un contesto di incertezza e volatilità. Ciò premesso, con questi dati quale potrebbe essere l’esito delle prossime elezioni politiche? È molto probabile che la coalizione Pd-Idv-Sel possa vincere a condizione che: 1. resti l’attuale sistema elettorale con il premio di maggioranza; 2. l’offerta politica non cambi significativamente; 3. l’astensionismo sia elevato; 4. il centrodestra rimanga diviso. Le ultime tre condizioni sono legate tra loro. In particolare la partecipazione elettorale sarà molto influenzata dalla presenza di credibili novità nel campo moderato. E questo potrebbe fare la differenza.

Ma ci saranno queste novità fuori e dentro il perimetro del centrodestra? Qualcosa si sta muovendo. Il Movimento 5 Stelle è ormai diventato un competitore temibile per il voto di tutti i partiti tradizionali. Non è chiaro come riuscirà a fare il salto dal livello locale a quello nazionale, ma intanto cresce nelle intenzioni di voto registrate da tutti i sondaggi.

Renzi ha lanciato la sua sfida alla attuale classe dirigente del Pd. Il sindaco di Firenze non vuole uscire dal Pd, vuole conquistarne la leadership grazie alle primarie. Ma non è affatto detto che Bersani gliele conceda né che le vinca. Montezemolo aspetta che si chiariscano le cose dentro il centrodestra. Non sbaglia a temporeggiare in questa fase in cui sono ancora indefiniti sia le regole che gli attori della competizione. Prima o poi però dovrà decidere e non è affatto chiaro come si presenterà. È difficile che possa riuscire a fare il “federatore” dei moderati come fece il Berlusconi del 1994. Altre novità sono in preparazione. Il Pdl deve fare qualcosa se non vuole sparire. Cosa? Non si sa ancora. Brandire il progetto del semi-presidenzialismo francese non basta. Anche nella Lega si annunciano cambiamenti dopo i prossimi congressi. Insieme a Pizzarotti, Tosi è l’altro vero vincitore di queste elezioni. Vincere a Verona al primo turno con una propria lista prendendo il 57% dei voti è un fatto che deve far riflettere i leghisti e gli altri.

Se Maroni riuscirà a plasmare una nuova Lega applicando il “modello Verona” ne vedremo delle belle nel Nord del paese. Queste elezioni hanno evidenziato in maniera inequivocabile il vuoto di rappresentanza in questa area. Lo stesso vuoto che esisteva negli anni 1992-1994. Le vittorie dei sindaci di centrosinistra non devono trarre in inganno. Hanno vinto per abbandono dell’avversario, non per forza propria. Nulla di male. Si può vincere in tanti modi e non è certo colpa del Pd se gli altri lo fanno vincere. La responsabilità del partito di Bersani è un’altra. Il Pd di oggi, come i Progressisti di Occhetto nel 1994, ha davanti a sé una occasione storica per allargare i suoi consensi al Nord e non solo. Ma ancora una volta si presenta a questo appuntamento con una offerta politica inadeguata.

Di fronte a un Paese che chiede con forza una nuova classe dirigente quella del Pd appare irrimediabilmente “vecchia”. Nelle facce e nelle idee. In fondo nemmeno questa è una colpa. Anche così il Pd di Bersani resta il primo partito del Paese, e il più solido. Il problema è che questo Pd non ce la fa a riempire il vuoto lasciato da Pdl e Lega. Eppure questa volta, a differenza del 1994, potrebbe vincere, nonostante i suoi scomodi alleati. Ma molte cose devono andare per il verso giusto perché questo accada.

Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 27/5

Roberto D’Alimonte (1947) è professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano. Dal 1974 fino al 2009 ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato come visiting professor nelle Università di Yale e Stanford. Collabora con il centro della New York University a Firenze. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano i sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto in Italia. A partire dal 1993 ha coordinato con Stefano Bartolini e Alessandro Chiaramonte un gruppo di ricerca su elezioni e trasformazione del sistema partitico italiano. I risultati sono stati pubblicati in una collana di volumi editi da Il Mulino: Maggioritario ma non troppo. Le elezioni del 1994; Maggioritario per caso. Le elezioni del 1996; Maggioritario finalmente? Le elezioni del 2001; Proporzionale ma non solo. Le elezioni del 2006; Proporzionale se vi pare. Le elezioni del 2008. Tra le sue pubblicazioni ci sono articoli apparsi su West European Politics, Party Politics, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. E’ membro di ITANES (Italian National Election Studies). E’ editorialista de IlSole24Ore. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.