Il voto ai partiti nei comuni: la Lega è rintanata nei piccoli centri, nelle grandi città vince il Pd

di Vincenzo Emanuele

Una delle principali determinanti del voto nel nostro paese è certamente la dimensione demografica del comune di residenza. Come studi recenti hanno sottolineato [Emanuele 2012] la grandezza del comune in cui l’elettore esprime il voto, misurata attraverso il numero dei residenti, è un indicatore della perifericità del comune stesso. E sappiamo quanto la frattura Centro-Periferia, in Italia e non solo, abbia storicamente inciso sulla strutturazione dei sistemi politici e sul consolidamento degli orientamenti di voto.

Nel corso della Seconda Repubblica la dimensione demografica dei comuni si è rivelata una variabile particolarmente incisiva per alcuni partiti italiani, che hanno mostrato con regolarità alcune precise caratteristiche, mantenute nel tempo al di là delle fluttuazioni elettorali. Il Pd, come i suoi progenitori (Pds-Ds), nonché la maggior parte dei partiti di sinistra (dai postcomunisti come Rifondazione fino alla sinistra laica, come La Rete, la Rosa nel Pugno e i Verdi), ma anche altri, come i Radicali e Alleanza Nazionale hanno mostrato un profilo marcatamente urbano, con consensi in crescita all’aumentare della dimensione demografica dei comuni. Viceversa la Lega Nord e tutti i partiti post-democristiani hanno manifestato l’andamento opposto, di forte radicamento nei piccoli centri e graduale indebolimento procedendo verso le grandi città. Altri partiti infine, sono sembrati poco sensibili alla variabile: fra questi, Forza Italia (e successivamente il Pdl), non a caso definito da Diamanti [2009] un partito “senza territorio”, in grado di raccogliere più o meno gli stessi consensi in ogni categoria di dimensione demografica.

Suddividendo gli 8.018 comuni italiani (Valle d’Aosta esclusa) in 5 categorie di dimensione demografica, i microcomuni (fino a 5.000 abitanti), i piccoli centri (fra 5 e 15 mila), i comuni di cintura (15-50 mila), i medi centri urbani (50-100 mila) e le grandi città (oltre 100 mila abitanti), vediamo qual è stato l’andamento dei principali partiti alle politiche 2013.

Come vediamo nella Tabella 1, a livello nazionale il trend  dei partiti tradizionali non si discosta dalle tendenze emerse nel corso della Seconda Repubblica. Il Pd mostra un andamento crescente lungo le 5 categorie di dimensione demografica, sebbene dalla prima alla quarta categoria di comuni inferiori ai 100 mila abitanti la crescita complessiva sia di appena un punto e il partito rimanga, anche nei medi centri urbani, inferiore alla media nazionale (25,4%). E’ infatti nelle grandi città che si verifica un vero e proprio balzo in avanti, con un crescita di quasi 4 punti (28,7%) che lo portano ad essere il primo partito del paese in questa categoria. Anche Sel, Rivoluzione Civile e, in misura minore Fare per fermare il Declino manifestano un trend di crescita verso le grandi città. In particolare il partito di Vendola doppia la Lega (4,2% a 2,1%) la quale, come era prevedibile, segue esattamente l’andamento opposto, mostrando una forza elettorale più che tripla nei microcomuni (6,5%) rispetto alle grandi città. Proprio come nel 2008, il Pdl non sembra particolarmente sensibile alla dimensione demografica, sebbene in queste elezioni si ravvisi un deciso calo nelle grandi città (19,4%), mentre la categoria di maggior forza relativa sono i comuni di cintura (22,9%). Comunque in tutte e 5 le fasce di dimensione demografica, il partito di Berlusconi è terzo dopo M5S e Pd (nel 2008 invece risultava il primo partito ovunque tranne che nelle grandi città). E’ poi interessante osservare l’andamento delle due principali novità di queste elezioni, il Movimento 5 Stelle e la Lista Monti. Dal partito di Grillo, vista l’enfasi posta sulla rete e la campagna condotta attraverso comizi di piazza nei soli capoluoghi di provincia, ci saremmo aspettati un deciso orientamento urbano. Invece la lista a 5 stelle ottiene un risultato inferiore alla media solo nei microcomuni (23,6%), mentre già a partire dai piccoli centri è il primo partito ed è in linea con la propria media nazionale. Il suo risultato migliore risulta quello dei medi centri urbani (27,2%), mentre, un po’ a sorpresa, nelle grandi città, forse per la concorrenza del Pd, il partito di Grillo cala di due punti, scendendo al 25,2%. In generale il Movimento sembra possedere tutte le caratteristiche di un partito “all around” [Emanuele 2012], capace di raccogliere consensi in tutte le città e in tutte le aree del paese (lo vedremo fra poco), proprio come un tempo faceva Forza Italia. Infine all’interno della coalizione montiana, mentre l’Udc, ridotto all’1,8% nazionale (-3,8 punti rispetto al 2008) accentua le proprie caratteristiche di partito “village oriented” [ibidem] (vale il 2,4% nei comuni inferiori ai 5 mila abitanti e appena l’1,2% nella città sopra i 100 mila), Scelta Civica sviluppa un andamento differente. La lista guidata dal premier uscente è infatti attorno all’8% nelle prima 4 categorie di dimensione demografica, mentre nelle grandi città vale un punto in più.

Tabella 1 Voto ai partiti per categorie di dimensione demografica dei comuni

Vediamo adesso come questi andamenti registrati a livello nazionale si declinano nelle diverse zone del paese, adottando una suddivisione dell’Italia in 4 Zone geopolitiche, con ritaglio regionale.

Nel Nord ovest (Piemonte e Liguria) si assiste al dominio del Movimento 5 Stelle, che è il primo partito nelle 4 categorie di comuni inferiori ai 100 mila abitanti, mostrando un ottimo radicamento perfino fra i 1.257 microcomuni (28,3%) che costituiscono il tessuto portante di quest’area del paese. Nei piccoli centri (5-15 mila abitanti) sfiora il 30%, ma in generale le oscillazioni intercategoriali del partito sono molto contenute. Lo stesso non può dirsi del Pd che cresce di oltre 7 punti fra i microcomuni e le tre grandi città del Nord ovest (Torino, Genova e Novara): qui Bersani raggiunge il 29,6% superando il Movimento 5 Stelle e staccando di ben 13 punti il Pdl che in questa parte del paese sviluppa un andamento somigliante a quello della Lega (perde infatti oltre 5 punti tra microcomuni e grandi città).

Il Nord est (Lombardia, Veneto, Friuli Venezia-Giulia e Trentino Alto Adige) costituisce invece l’area di maggior forza di Monti (10,7%, con un trend di crescita verso le grandi città) nonché di relativa debolezza del partito di Grillo (21,9%), che comunque si piazza primo nei piccoli centri ed è secondo dietro il Pd nelle restanti categorie. Il partito di Bersani è ben 7 punti più forte nelle grandi città (in cui già nel 2008 era risultato il primo partito) rispetto ai microcomuni,  mentre il Pdl rimane ovunque sotto il 20%. Il Nord est rappresenta la zona di forza della Lega (11,2% a fronte di una media nazionale del 4,1%). Sono in particolare i piccoli e piccolissimi comuni di quest’area a costituire la roccaforte del Carroccio: nei microcomuni il partito di Maroni è al 14% e nei piccoli centri è al 12,9% superando in entrambi i casi la Lista Monti (che invece nelle grandi città vale il doppio della Lega) e divenendo il quarto partito italiano (niente a che vedere comunque con il risultato del 2008, in cui, con oltre il 25%, risultava il secondo partito alle spalle del Pdl nei comuni fino a 15.000 abitanti). Queste due categorie rappresentano la cassaforte del partito, dal momento che qui la Lega conquista il 52% dei suoi voti totali.

Nonostante perda 10 punti rispetto al 2008 e non sia più la forza di maggioranza relativa nelle Marche, il Pd continua a rimanere inattaccabile nelle regioni rosse (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche). Qui il principale partito della sinistra è ancora una volta il partito più votato in tutte le categorie e nelle grandi città raggiunge il 37,6%, la sua massima percentuale fra le 20 unità considerate (5 categorie di dimensione demografica per 4 Zone geopolitiche). Si osserva inoltre una riduzione del gap fra le due categorie di storica forza della subcultura rossa (i comuni fra ai 5 e i 50 mila abitanti), oggi in linea con la media della zona, e le due categorie di debolezza relativa (i microcomuni e i medi centri urbani), cosicché l’andamento del partito in quest’area del paese si avvicina sempre più a quello osservato nel Nord, con una tendenziale crescita verso le grandi città (queste ultime invece ai tempi del Pci registravano percentuali inferiori a quelle di piccoli centri e comuni di cintura della Zona rossa). In queste regioni, inoltre, la Lega diventa insignificante (1,5%, era la 4,4% nel 2008) e ciò certifica la definitiva sconfitta del progetto di espansione del partito sotto il Po, mentre il Pdl è circa 4,5 punti sotto la media nazionale e nelle grandi città raggiunge il suo punto più basso fra le 20 categorie considerate (appena il 15,6% dei voti).

Infine, nella macroarea del Sud (comprendente tutte le regioni dal Lazio in giù) si assiste al crollo del Pdl, che perde quasi 20 punti rispetto a 5 anni fa (era al 45%, oggi è al 25,6%) che viene superato dal Movimento 5 Stelle (27,3%). Il Pd è solo terzo con il 22%. Questa è inoltre la zone di forza relativa sia di Sel (3,9%) che dell’Udc (che nei microcomuni meridionali raggiunge il 4,1%) nonché di Rivoluzione Civile che ottiene la sua massima percentuale nazionale nelle grandi città (3,3%), mentre la Lista Monti (6,5%) e Fare (0,5) realizzano al Sud la propria peggiore performance. A differenza del Centro-Nord, i tre principali partiti assumono al Sud un andamento del tutto diverso lungo le 5 categorie di dimensione demografica. Come possiamo notare osservando la Figura 1, nei microcomuni meridionali il primo partito è il Pd con il 25,1%. Una caratteristica già osservata in altre elezioni della Seconda Repubblica, ma che nel 2013 si accentua, tanto che il partito di Bersani riceve qui una più alta percentuale anche rispetto alle grandi città (24,9%), categoria che in tutto il resto del paese rappresenta la sua area di forza relativa. Nei piccoli centri e nei comuni di cintura, invece, mentre il Pd perde terreno scendendo fino al 19,3%, sia Pdl che M5S crescono fino a superare il 28%, con il Pdl sempre leggermente davanti ai grillini. Nei medi centri urbani avviene il sorpasso del Movimento 5 Stelle (che, a differenza che nel resto del paese, nel Sud mostra un andamento crescente all’aumentare della dimensione demografica dei comuni), mentre il Pdl accusa una perdita di quasi tre punti rispetto alla categoria precedente, a cui si aggiungono altri 3,3 punti persi nelle grandi città, che fanno precipitare il partito di Berlusconi al 22,4%, terzo alle spalle del Pd, il quale invece risale di oltre 4 punti rispetto ai medi centri, ma non tanto da insidiare il consolidato primato del M5S (27,9%).

Figura 1 Andamento di Pdl, Pd e M5S nei comuni del Sud.

In conclusione, nelle 20 categorie di dimensione demografica dei comuni, il Pd è primo in 11 (l’intera Zona rossa, le grandi città del Nord ovest, tutto il Nord est ad eccezione dei piccoli centri e i microcomuni del Sud), il Movimento 5 Stelle è primo in 7 categorie (tutto il Nord ovest tranne le grandi città, i piccoli centri del Nord est, medi e grandi centri del Sud), mentre il Pdl è primo solo in 2 categorie, piccoli centri e comuni di cintura del Mezzogiorno (nel 2008 era  primo in ben 13 categorie su 20).

Vincenzo Emanuele è professore associato in Scienza Politica presso la LUISS Guido Carli di Roma. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienza della Politica presso la Scuola Normale Superiore (ex SUM) di Firenze con una tesi sul processo di nazionalizzazione del voto in Europa occidentale e le sue possibili determinanti. La sua tesi ha vinto il Premio 'Enrico Melchionda' conferita alle tesi di dottorato in Scienze Politiche discusse nel triennio 2012-2014 e il Premio 'Celso Ghini' come miglior tesi di dottorato in materia elettorale del biennio 2013-2014. È membro del CISE, di ITANES (Italian National Election Studies) e del Research Network in Political Parties, Party Systems and Elections del CES (Council of European Studies). I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle elezioni e i sistemi di partito in prospettiva comparata, con particolare riferimento ai cleavages e ai processi di nazionalizzazione e istituzionalizzazione. Ha pubblicato articoli su European Journal of Political research, Comparative Political Studies, Party Politics, South European Society and Politics, Government and Opposition, Regional and Federal Studies, Journal of Contemporary European Research, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. La sua prima monografia Cleavages, institutions, and competition. Understanding vote nationalization in Western Europe (1965-2015) è edita da Rowman and Littlefield/ECPR Press (2018), mentre la seconda The deinstitutionalization of Western European party systems è edita da Palgrave Macmillan. Sulle elezioni italiane del 2018, ha curato la Special Issue di Italian Political Science ‘Who’s the winner? An analysis of the 2018 Italian general election’. Clicca qui per accedere sito internet personale. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.