Il Pd vince dappertutto, anche nel Nord-Est

di Roberto D’Alimonte

Quello del nuovo Pd di Renzi è, in valori percentuali, il terzo miglior risultato elettorale nella storia della Repubblica. Solo la Dc di De Gasperi nel 1948 e quella di Fanfani nel 1958 hanno fatto meglio. Dopo il 1958 nessun partito ha superato il 40% dei voti. Il Pd di oggi è arrivato al 40,8%. E’ il primo partito in tutte le province, con le sole eccezioni di Isernia (Fi), Sondrio (Lega) e Bolzano (Svp), Primo in 107 province su 110. Mai successo in tutta la storia della Repubblica, sia la Prima che la Seconda.

Fig. 1 – Primo partito per provincia

E’ diventato una forza nazionale con una presenza territoriale omogenea. Questa è la sua distribuzione di consensi nel paese: 41,1% nel Nord-Ovest, 39,1% nel Nord-Est, 52,5% nel Centro, 36% al Sud. Resta sovra-rappresentato nelle regioni della ex zona rossa (il Centro) e sotto-rappresentato al Sud, ma è diventato il primo partito anche nel Nord-Est. Anzi in questa zona, che comprende Lombardia, Veneto, Friuli V.G. e Trentino A.A. ha preso più voti da solo di quanti ne abbiano preso insieme tutti i partiti del centro-destra: 39,1% contro 35,3%. Non era mai successo prima. A confronto, sia Fi che il M5s sono partiti meridionali. Come si vede nella figura 2, Forza Italia ha raccolto il 47% dei suoi consensi al Sud e il M5s il 46%. Per il partito di Renzi il dato è il 34%. In termini di votanti il Sud pesa per il 39% sul totale dell’elettorato italiano. E’ chiara la sovra-rappresentazione del partito di Berlusconi e di quello di Grillo in questa area.

Fig.2 – Composizione per zone geopolitiche dei diversi elettorati

Ma il dato rivelatore è un altro. Nelle elezioni politiche dell’anno scorso hanno votato 35.348.709 di italiani. In queste europee sono stati 28.904.574. Sono quindi rimasti a casa quasi 6,5 milioni di elettori. Eppure il Pd di Renzi ha preso circa 2,5 milioni di voti in più. La affluenza va giù e il Pd va su. Il Pd di Bersani nel 2013 si era fermato a 8.644.187 voti, quello di Renzi è arrivato a 11.172.861. Giusto che si guardi alle percentuali, ma i valori assoluti sono altrettanto importanti. Nelle politiche del 2013 il Pd di Bersani aveva perso quasi 3,5 milioni di voti rispetto a quello di Veltroni del 2008. Adesso la tendenza si è invertita.

Il 40,8% è quindi il risultato di due fenomeni concomitanti: l’aumento dei voti Pd in valore assoluto e la diminuzione dell’affluenza alle urne che è calata di quasi 17 punti percentuali, passando dal 75% delle politiche del 2013 al 59% di queste europee. Le percentuali di voto sono frazioni: se aumenta il numeratore e allo stesso tempo cala il denominatore, la percentuale di voto sale. Nel caso del Pd sarebbe bastato che Renzi avesse preso gli stessi voti di Bersani per avere una percentuale di voti più alta. Invece ne ha presi di più. Da qui il boom. E tutto questo è successo in un contesto elettorale che, come abbiamo scritto prima del voto, non era favorevole al Pd. Infatti nel resto d’Europa i partiti di governo sono andati male. Da noi è stato il contrario.

Tra gli altri partiti solo la Lega può essere soddisfatta. Ha aumentato i suoi voti sia in percentuale che in valori assoluti, rispettivamente più 2,1 punti percentuali e più 300.000 voti. Per le altre formazioni le perdite sono significative. E’ vero che si trattava di europee e non di politiche, ma Pd e Lega hanno guadagnato e gli altri hanno perso. Tra gli altri le perdite più pesanti riguardano la coalizione di Monti e in particolare Scelta civica che nella sua versione europea ha preso solo 200.000 voti. Ma anche Forza Italia e il M5s hanno subito pesanti defezioni nell’ordine di milioni di elettori. Nonostante ciò, sia l’uno che l’altro restano forze significative nel panorama politico italiano. Nel caso di Forza Italia non vale solo il dato di questo partito. Facendo la somma di tutte le formazioni del centro-destra si arriva al 31%. Non è poco, viste le condizioni precarie di questo schieramento. Ed è comunque una percentuale sufficiente per andare ad un eventuale ballottaggio. Quanto al partito di Grillo ha preso più voti – in valore assoluto- del Fronte Nazionale in Francia e dell’ UKip in Gran Bretagna. Il M5s ha perso ma non è crollato.

Come si è prodotto questo risultato? Solo l’analisi dei flussi potrà darci una risposta attendibile. Ma non la si può fare ora perché mancano i dati delle oltre 60.000 sezioni elettorali. Al momento si possono fare solo delle ipotesi. La più semplice e parsimoniosa è che la vittoria di Renzi sia il frutto di un mix di fattori. In primo luogo l’astensionismo che ha colpito più il centro-destra che il centro-sinistra e il M5s. Una cifra di 6 milioni e mezzo di elettori che hanno votato alle politiche e non hanno votato alle europee pesano sul risultato finale. In tante elezioni l’astensionismo asimmetrico è stato il fattore decisivo. Questa volta però c’è dell’altro.

Il Pd di Renzi ha certamente conquistato nuovi consensi. Molti elettori della coalizione di Monti nel 2013 questa volta hanno votato Pd. Una parziale conferma di questo fenomeno ci viene da Torino, unica città dove è stato possibile calcolare i flussi. Il 50% degli elettori torinesi di Monti ha votato il partito di Renzi. Ma il Pd ha preso voti- in misura inferiore- sia dal M5s che da Fi. Un unico caso è troppo poco per arrivare a conclusioni certe. Ma è plausibile che la vecchia formazione di Monti abbia svolto un ruolo importante nel traghettare elettori moderati verso il centro-sinistra. E’ noto che i passaggi di voto diretti da uno schieramento all’altro sono stati un fenomeno limitato nella Seconda Repubblica. Scelta civica ha funzionato da ponte.

Prima ci sono state le primarie. Adesso queste elezioni. Il nuovo Pd comincia a prender forma. Ma la strada è lunga. Di questi tempi i voti vanno e vengono. L’incertezza, la volubilità delle opinioni e dei comportamenti è il tratto saliente della politica italiana. Insieme alla rabbia e alla speranza. Fa bene Renzi a predicare prudenza e umiltà, anche nel momento del trionfo. Solo una efficace azione di governo coerente con gli obiettivi annunciati potrà consolidare il successo di oggi creando intorno al Pd e al suo leader un nuovo blocco sociale stabile. Ci vogliono le riforme. A cominciare da quelle istituzionali per rendere il paese finalmente più governabile, più giusto e più europeo.

Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 27 maggio 2014

Roberto D’Alimonte (1947) è professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano. Dal 1974 fino al 2009 ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato come visiting professor nelle Università di Yale e Stanford. Collabora con il centro della New York University a Firenze. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano i sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto in Italia. A partire dal 1993 ha coordinato con Stefano Bartolini e Alessandro Chiaramonte un gruppo di ricerca su elezioni e trasformazione del sistema partitico italiano. I risultati sono stati pubblicati in una collana di volumi editi da Il Mulino: Maggioritario ma non troppo. Le elezioni del 1994; Maggioritario per caso. Le elezioni del 1996; Maggioritario finalmente? Le elezioni del 2001; Proporzionale ma non solo. Le elezioni del 2006; Proporzionale se vi pare. Le elezioni del 2008. Tra le sue pubblicazioni ci sono articoli apparsi su West European Politics, Party Politics, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. E’ membro di ITANES (Italian National Election Studies). E’ editorialista de IlSole24Ore. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.