Finlandia e Danimarca: vittoria senza precedenti della destra radicale in Danimarca, mentre in Finlandia i partiti moderati tradizionali vengono premiati

di Nina Liljeqvist e Kristian Voss

 

Finlandia

Il Partito dei Finlandesi (PS), populista ed euroscettico, era considerato come un serio sfidante per i partiti tradizionali alle elezioni per il Parlamento Europeo (PE) che si sono tenute in Finlandia la scorsa domenica. Avendo raggiunto un grande successo alle elezioni politiche del 2011, e continuando a cavalcare i sentimenti euroscettici questa primavera, il PS aveva l’obiettivo di incrementare il numero dei seggi al PE da uno a tre dal momento che i sondaggi avevano predetto che avrebbe ottenuto il 21% dei voti. Tuttavia il sentimento euroscettico non si mai affermato in Finlandia. Ciò può essere spiegato in parte dal fatto che il partito non ha avuto un capolista di spicco o piuttosto dal fatto che questo capolista non era il carismatico leader Timo Soini che al contrario ha deciso di concentrarsi sulla politica domestica. Il PS ha aumentato i propri consensi rispetto alle europee del 2009, ottenendo il 12,9% e di conseguenza guadagnando un seggio, ma questo risultato ovviamente si discosta molto da quelle che erano le sue aspettative. Al contrario, gli elettori finlandesi hanno premiato i partiti tradizionali alle elezioni europee di quest’anno. Il Partito della Coalizione Nazionale (KOK) dell’attuale Primo Ministro Jyrki Katainen, di orientamento liberal-conservatore, ha mantenuto la sua presa sull’elettorato con il 22,6% dei voti, conservando così i tre seggi che attualmente ha nel PE. Una spiegazione di questo successo è l’acchiappa-voti Alexander Stubb, attuale ministro per gli affari europei e il commercio estero che da solo ha portato in dote al partito l’8,6% dei voti. Anche se le elezioni finlandesi per il PE tendono ad essere centrate sui candidati grazie alle liste aperte, il risultato di Stubb è comunque degno di nota. Come ex-deputato al PE con un dottorato in politica internazionale e una precedente carriera come funzionario UE, il capolista del KOK Stubb ha portato alla campagna esperienza e know-how senza rendere il partito eccessivamente europeista. Rispetto agli altri partiti di centro-destra europei, il KOK è meno europeista, preferendo, tra le altre cose, un mercato interno più libero da lungaggini burocratiche ed opponendosi alla condivisione del debito e alla trasformazione dell’UE in un’alleanza militare.

Nina Liljeqvist è dottoranda in scienza della politica all’Istituto Universitario Europeo di Firenze e research fellow al Parlamento svedese per la sessione parlamentare 2014/15. I suoi interessi di ricerca si trovano nell’area della politica comparata, e più precisamente riguardano la democrazia rappresentativa, l’integrazione europea e la politica nei paesi nordici.
Kristian Voss ha conseguito un PhD in scienza della politica all’Istituto Universitario Europeo di Firenze. I suoi principali interessi di ricerca sono in generale lo studio dei partiti in chiave comparata, lo studio dell’ideologia politica e della politica Americana, e nello specifico l’ideologia e i partiti politici dell’estrema destra contemporanea e nel periodo tra le due guerre, l’ecologia politica e l’ambientalismo, il patronage e il clientelismo, e il Congresso degli Stati Uniti.

I quattro partner di coalizione del KOK non hanno avuto un risultato di successo. La più grande delusione potrebbero essere i Social-democratici (SDP) che non sono riusciti affatto a mobilitare i propri elettori, nonostante avessero assunto una posizione pragmatica insistendo sui miglioramenti da apportare all’UE, compresa la continuazione del commercio libero ed equo e l’opposizione alla condivisione dei debiti nazionali, oltre alle posizioni tradizionalmente social-democratiche. Prevedendo di incrementare i propri voti grazie a una rinnovata leadership del partito, l’SDP invece ha perso oltre cinque punti percentuali ottenendo solo il 12,3%. Un risultato deludente per un partito che viaggiava in media attorno al 20% dei voti negli anni novanta. Nonostante ciò, il partito è riuscito ad assicurarsi due seggi nel PE. Anche l’altro partito della coalizione che ha ottenuto seggi e che è collocato al centro dello spazio politico, l’Alleanza Verde, ha perso diversi punti percentuali rispetto al 2009, ed ora beneficia solo del 9% dei voti, perdendo così uno dei suoi due seggi. La situazione sembra migliore per il partner liberal-centrista della coalizione, il Partito del Popolo Svedese, che è fortemente pro-Europa. Nonostante fosse basso nei sondaggi di questa primavera, il partito è riuscito a mantenere il seggio nel PE assicurandosi poco meno del 7% dei voti. L’altro partner di coalizione collocato sulla destra dello spazio politico, ossia i Cristiano-democratici, ha subito un’elezione agrodolce in quanto ha perso il suo unico seggio nel PE pur incrementando i suoi voti di un punto percentuale arrivando al 5,2%.

La situazione non è preoccupante per tutti i partiti del centro politico. Il Partito di Centro (KESK) all’opposizione ha avuto un risultato impressionante dal momento che ha conseguito il 19,7% dei voti, sorpassando così agilmente sia il PS che l’SDP. Affetto da divisioni interne riguardo alle issues relative all’integrazione europea, il partito ha offerto agli elettori un mix domestico di proposte di policy pro e anti Europa. Da un lato, il partito è a favore di una collaborazione più concreta e pragmatica, specialmente nel campo delle politiche agricole. Dall’altro, il KESK è a favore di un ritorno dell’UE più alla sua funzione ipoteticamente originaria di promozione del libero commercio e della pace, che è anche la retorica di molti partiti che esprimono posizioni euroscettiche. Grazie a questa combinazione di messaggi, il KESK è riuscito a mantenere il trend favorevole nei consensi registrato ultimamente, dal momento che è arrivato quarto alle elezioni politiche del 2011, terzo alle recenti elezioni locali e ora emerge come il secondo partito finlandese rappresentato al PE. Inoltre, l’Alleanza di Sinistra (V), che nel marzo scorso aveva abbandonato il governo a sei partiti, ha ottenuto un risultato degno di nota dal momento che ha riconquistato i voti persi nel 2009. Con un aumento di tre punti percentuali, il partito ha ottenuto più del 9% dei voti e un seggio nel PE. Nonostante che il leder di V, Merja Kyllönen, si lamenti del fatto che il successo della sinistra sia avvenuto a discapito dell’SDP, come in larga parte d’Europa, è comunque soddisfatta del fatto che il partito sia tornato sulla scena politica sia finlandese che europea.

 

Tab. 1 – Risultati delle elezioni 2014 per il Parlamento Europeo – Finlandia
Partito

Gruppo PE

Voti (%)

Seggi

Voti (diff. sul 2009)

Seggi (diff. sul 2009)

Röster 2009

Platser

Partito della Coalizione Nazionale (KOK)

EPP

22.6

3

-0.6

+0

23.2

3

Partito di Centro (KESK)

ALDE

19.7

3

+0.7

+0

19

3

Partito dei Finlandesi (PS)

EFD

12.9

2

+3.1

+1

9.8

1

Partito Social-democratico (SDP)

S&P

12.3

2

-5.2

+0

17.5

2

Lega Verde (VIHR)

G-EFA

9.3

1

-3.1

-1

12.4

2

Alleanza di Sinistra (V)

GUE-NGL

9.3

1

+3.4

+1

5.9

0

Partito del Popolo Svedese (SFP)

ALDE

6.7

1

+0.6

+0

6.1

1

Cristiano-democratici (KD)

EPP

5.2

0

+1.0

-1

4.2

1

Altri

n/a

2

0

+0.1

+0

1.9

0

Totale

98.0

13

100

Affluenza al voto (%)

40.9

+0.6

Soglia di sbarramento per ottenere seggi (%)

nessuna

Nota sul sistema elettorale: i 13 seggi sono assegnati col riparto proporzionale, usando il metodo d’Hondt; sistema di lista aperta con voto di preferenza, con cui gli elettori votano per un candidato, ma i voti dei candidati sono conteggiati prima di tutto per il partito e in secondo luogo per il singolo candidato. Il paese ha un’unica circoscrizione nazionale.
Abbreviazione dei gruppi al Parlamento Europeo: EPP=European People’s Party; S&D=Progressive Alliance of Socialists and Democrats; ALDE=Alliance of Liberals and Democrats for Europe; G-EFA=The Greens–European Free Alliance; ECR=European Conservatives and Reformists; GUE-NGL=European United Left–Nordic Green Left; EFD=Europe of Freedom and Democracy; NI=Non-Inscrits.

 

A parte il “cannibalismo” a sinistra, si può dire che le elezioni finlandesi hanno mostrato pochi elementi di rilievo. Nonostante una perdita di voti in valori assoluti, il governo a cinque partiti ha avuto una performance sorprendentemente positiva in un contesto generale in cui l’elite politica ha subito una punizione grave da parte dell’elettorato. Negli stati dell’UE vicini, Svezia e Danimarca, i partiti al governo sono andati molto peggio. E, mentre la sinistra non è andata bene come i colleghi svedesi, la vera delusione è stata il nazionalista PS. È stato deludente dal momento che tre principali tendenze della politica finlandese teoricamente avrebbero dovuto giocare a suo favore. Prima di tutto, vi è un forte trend di euroscetticismo in Europa, come del resto in Finlandia. Con sei partiti extra-parlamentari a lottare per ottenere seggi al PE sulla base della critica all’UE, varie opzioni di euroscetticismo erano nel menu. In secondo luogo, facendo il paragone con i precedenti risultati elettorali del PS alle elezioni politiche del 2011 in cui il partito ebbe un successo significativo, molti si aspettavano che il PS mantenesse questo slancio. Con le elezioni nazionali solitamente concentrate sulle questioni europee e non sull’UE, non sembrava inverosimile che il PS potesse migliorare nell’arena elettorale europea. Inoltre, la campagna elettorale del PS non è stata segnata da errori palesi. In terzo luogo, la crisi dell’Euro avrebbe dovuto giocare a loro favore. Pertanto era possibile supporre che l’estrema destra avrebbe avanzato in Finlandia e non ad ovest negli stati nordici vicini. Invece, gli elettori finlandesi hanno sfidato questa tendenza premiando i partiti di centro-destra e di estrema sinistra.

Danimarca

I risultati delle elezioni in Danimarca contrastano nettamente con quanto visto in precedenza, dal momento che il Partito del Popolo Danese (DF), di destra radicale, senza dubbio ha ottenuto una vittoria schiacciante quasi raddoppiando i suoi voti. Con il 26,6% dei consensi, e quattro dei 13 seggi spettanti alla Danimarca, il DF è emerso come il più grande partito danese nel PE. Morten Messerschmidt, il capolista del DF e il politico danese che ha ricevuto più voti di preferenza nella storia, ha interpretato così la vittoria: “La interpreto come una chiara indicazione del fatto che i danesi vogliono che l’UE si rimetta in pista…A giro per l’Europa ci sono alcuni partiti, tra cui il nostro, democratici, civili, ma critici nei confronti dell’UE…che adesso cercano di orientare di nuovo l’Europa verso tutto ciò che dovrebbe essere.” Per il DF, così come per i Democratici Svedesi, l’UE non è nient’altro che il mercato unico interno, di cui entrambi i partiti sono a favore e a cui desiderano avere pieno accesso. Tuttavia, il progetto europeo diviene non desiderabile quando comincia a regolamentare le questioni considerate come nazionali. Quindi, il DF, partito anti- immigrazione e pro legge e ordine, lamenta il declino della sovranità danese, o l’aumento del potere della UE in materia di politica estera, di welfare o di immigrazione e in particolare ritiene che le frontiere aperte abbiano portato ad un significativo aumento dei reati commessi dai cittadini UE dell’Europa centrale e orientale.

Il secondo partito sono i Social-democratici, il partito del Primo Ministro Helle Thorning Schmidt che ha ricevuto il 19,1% dei voti e tre seggi, diminuendo di due punti percentuali rispetto al 2009. Questo è un risultato deludente, ma non così deludente come quello dei Liberali, il partito al governo dal 2001 al 2011 che ha subito un calo relativamente umiliante fino al 16,7% dei voti e due seggi, provocando una riflessione interna alla ricerca dell’anima perduta. Il Partito del Popolo Conservatore e il Partito del Popolo Socialista plausibilmente hanno entrambi perso voti a favore del DF, declinando nei consensi rispettivamente all’11% e al 9,1%, ottenendo un seggio ciascuno. Gli unici altri partiti di successo sono stati i Liberali Sociali, partito di centro-sinistra al governo, e l’Alleanza Liberale di centro-destra, dal momento che entrambi hanno aumentato i propri voti di oltre 2 punti percentuali. Ma questo è stato sufficiente ai primi per rientrare al PE per la prima volta dalle elezioni del 2004. Infine, il trasversale Movimento del Popolo contro l’UE è riuscito a mantenere il suo consenso di oltre l’8% dei voti e un seggio, anche se questo risultato impallidisce in confronto ai grandi successi ottenuti alle elezioni durante gli anni ottanta, quando l’estrema destra si è impossessata dell’euroscetticismo.

In altre parole, mentre i partiti tradizionali sono superati dall’estrema destra nella relativamente benestante Danimarca, abbiamo visto un quadro diverso nella Finlandia colpita dalla crisi dell’Euro-zona. Guardando più da vicino questi casi, tuttavia, non è sorprendente. In Danimarca, come probabilmente nella maggior parte dei paesi europei, la dimensione socio-economica sinistra-destra è sempre più oscurata da una dimensione diversa, ossia quella che contrappone ciò che è internazionale a ciò che è nazionale. Sia che l’Europa venga considerata come un’opportunità sia che venga percepita come una minaccia. Il Partito del Popolo Danese è un maestro nell’arte di capitalizzare questa trasformazione della politica, mentre i partiti tradizionali non lo sono. Riguardo a ciò, c’è una evoluzione relativa a come i partiti si rivolgono ai sentimenti euroscettici degli elettori. In questo caso c’è stato un considerevole spostamento attraverso lo spettro sinistra-destra. Negli anni settanta, ottanta e anche novanta era la sinistra, o il centro-sinistra, che forniva agli elettori un’alternativa critica nei confronti dell’UE rispetto ai partiti europeisti di centro e centro-destra. Il primo eurodeputato del Partito del Progresso, da cui si è scisso nel 1995 il Partito del Popolo Danese, è stato Mogens Camre, che nei primi anni settanta fu un deputato dei Social-democratici e assieme ad altri diversi social-democratici votò contro l’adesione della Danimarca alla CE. Tuttavia, appena il progetto europeo si è modificato portando con sé un cambiamento che faceva appello al campo della sinistra, anche l’opposizione all’UE ha avuto un segno differente. E gli elettori, e in effetti uomini di partito come Camre, hanno seguito questo spostamento. Con il declino del trasversale Movimento del Popolo contro l’UE, che collabora con qualsiasi partito collocato lungo la dimensione sinistra-destra eccetto l’estrema destra, il DF è quindi percepito come l’alternativa più semplice per gli euroscettici. Ma (e questa è una differenza significativa) l’euroscetticismo in questo caso è inserito all’interno di un’ideologia di estrema destra.

 

Tab. 2 – Risultati delle elezioni 2014 per il Parlamento Europeo – Danimarca
Partito

Gruppo PE

Voti (%)

Seggi

Voti (diff. sul 2009)

Seggi (diff. sul 2009)

Partito del Popolo Danese (DF)

EFD

26.6

4

+11.3

+2

Social-democratici (S)

S&D

19.1

3

-2.4

-1

Liberali (V)

ALDE

16.7

2

-3.5

-1

Partito Socialista del Popolo (SF)

G-EFA

11

1

-4.9

-1

Partito del Popolo Conservatore (K)

EPP

9.1

1

-3.6

+0

Movimento del popolo contro l’UE (N)

GUE-NGL

8.1

1

+0.9

+0

Radicali Liberali (RV)

ALDE

6.5

1

+2.2

+1

Alleanza Liberale (LA)

NI

2.9

0

+2.3

+0

Totale

100

13

Affluenza al voto (%)

56.4

-1.3

Soglia di sbarramento per ottenere seggi (%)

nessuna

Nota sul sistema elettorale: viene utilizzato il metodo d’Hondt per la ripartizione proporzionale dei seggi. Il paese ha un’unica circoscrizione nazionale.
Abbreviazione dei gruppi al Parlamento Europeo: EPP=European People’s Party; S&D=Progressive Alliance of Socialists and Democrats; ALDE=Alliance of Liberals and Democrats for Europe; G-EFA=The Greens–European Free Alliance; ECR=European Conservatives and Reformists; GUE-NGL=European United Left–Nordic Green Left; EFD=Europe of Freedom and Democracy; NI=Non-Inscrits.

 

Conclusioni

Il confronto dei casi danese e finlandese ci dice che il successo dell’estrema destra può essere spiegato da fattori economici, da un euroscetticismo non economico, da come i partiti di destra radicale hanno condotto senza errori la campagna elettorale così come dal modo con cui gli altri partiti hanno reagito alla loro presenza. In sostanza, il modo con cui partiti mainstream rispondono alla sfida dell’estrema destra gioca un ruolo importante. In Danimarca gli altri partiti non hanno risposto in maniera adeguata alle opinioni euroscettiche degli elettori, né offrendo soluzioni in termini di policy né affrontando il dibattito, così che il DF rimane come il partito più genuino o che si distingue di più per ciò che concerne l’euroscetticismo. In Finlandia, uno sviluppo ben diverso ha avuto luogo nel corso degli ultimi anni. Consapevole dell’appeal del PS e dell’euroscetticismo, il governo finlandese ha irrigidito la propria posizione nei negoziati dell’UE, come ad esempio richiedendo l’unanimità per le decisioni riguardanti il Meccanismo Europeo di Stabilità e bloccando l’entrata della Romania e della Bulgaria nell’area Shengen. In altri termini, non appena l’euroscetticismo era diventato evidente a chiunque a causa del successo del PS alle elezioni politiche del 2011, i partiti al governo avevano modificato le proprie posizioni circa le politiche nazionali dell’UE. È troppo presto per dire se questo segna l’inizio di un cambiamento fondamentale nella politica di integrazione finlandese, ma per lo meno sembra che questo spostamento di atteggiamenti verso l’UE abbia assorbito alcuni dei sentimenti euroscettici, che solo tre anni fa sembravano così diffusi. Ancora una volta, questo sta a dimostrare che il successo dell’euroscetticismo e dei partiti di estrema destra è in parte spiegato dalla natura e dal livello della risposta dei partiti tradizionali di centro-sinistra e di centro-destra. Tradizionalmente ritenuti come un gruppo molto omogeneo di paesi, questa storia ci dice tra le altre cose quanto in realtà siano differenti i paesaggi politici nell’angolo(angoli) del Nord Europa.

 

Referimenti bibliografici

Green-Pedersen, C. (2012), A Giant fast Asleep? : Party Incentives and Politicization of European Integration. Political Studies, in “Political Studies”, vol. 60, pp. 115-130.

Raunio, T e Wiberg, M (2008), Too little, too late? : Comparing the Engagement of Nordic Parliaments in European Union Matters, in G. Barrett (a cura di), National Parliaments and the European Union: the Constitutional Challenge for the Oireachtas and Other Member State Legislatures, Dublin, Clarus Press, pp. 379-92.