Nuove regole di voto, governabilità più lontana

di Roberto D’Alimonte

Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 27 gennaio 2017

Dopo la decisione della Consulta sull’Italicum le residue speranze di un esito maggioritario alle prossime elezioni sono legate a due meccanismi che sono sopravvissuti miracolosamente ai due interventi della Corte (Gennaio 2014 e Gennaio 2017). Uno è il premio di maggioranza alla Camera. L’altro sono le soglie di sbarramento al Senato. C’è chi pensa che questi meccanismi possano produrre un esito maggioritario, cioè che possano trasformare una maggioranza relativa di voti in una maggioranza assoluta di seggi nelle due camere. Se così fosse il problema della governabilità del paese sarebbe risolto. Il voto deciderebbe chi governa. E noi – incalliti disproporzionalisti- ne saremmo ben felici. Ma non sarà così.

Per testare il nostro pessimismo abbiamo fatto qualche simulazione che proponiamo qui con tutte le precauzioni del caso. E qui il lettore ci dovrà scusare se entriamo in dettagli tecnici piuttosto noiosi, ma ce l’impone il dovere della trasparenza. Le nostre simulazioni combinano i dati reali delle elezioni del 2013 con i dati virtuali delle intenzioni di voto rilevati nell’ultimo sondaggio CISE-Sole24Ore di fine Novembre. La base di calcolo è il comune. Nel sondaggio di Novembre agli intervistati sono stati chiesti sia l’intenzione di voto a Novembre 2016 che il voto espresso nel 2013. Con questi dati il CISE ha calcolato una matrice di flussi tra il voto 2013 e l’intenzione di voto a Novembre 2016 . Questi flussi sono stati stimati separatamente per il Nord, l’ex zona rossa e il Centro-sud per tener conto delle differenze nel comportamento di voto. Con questi coefficienti di flusso per zona si sono trasformati i voti reali nei comuni nel 2013 nelle intenzioni di voto negli stessi comuni a Novembre 2016 moltiplicando in ogni comune i voti ottenuti da ciascun partito nel 2013 per i coefficienti di zona stimati. A questo punto si sono trasformati i voti in seggi usando le formule previste dalla legge elettorale.

Per la Camera le stime sono più semplici rispetto al Senato. Se un partito arriva al 40% dei voti ottiene automaticamente il 54% dei seggi. Questo è certamente un esito maggioritario. Ma c’è oggi un partito capace di una simile performance? Un partito, o meglio una lista, non una coalizione. Alla Camera infatti le coalizioni non sono ammesse. Rebus sic stantibus, l’esito delle elezioni alla Camera sarà proporzionale, con gli effetti che si vedono nelle due simulazioni in pagina. La prima fatta con la procedura descritta sopra, che probabilmente sottostima Ncd e Fdi e sovrastima i partiti maggiori.

Tab. 1 – Simulazione Camera con risultati dei partiti stimati secondo la procedura CISE

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La seconda usando la media degli ultimi sondaggi[1]. Il risultato è lo stesso: nessuna maggioranza plausibile. Nemmeno una maggioranza Pd, Forza Italia, Ncd. Ma il punto non è tanto questo. Alla fine una maggioranza risicata potrebbe anche venir fuori. Il punto è che in ogni caso la governabilità è a rischio. E in ogni caso, se si potrà fare un governo, dovrà tenere insieme necessariamente Renzi e Berlusconi.

Tab. 2 – Simulazione Camera con i risultati dei partiti ricavati dalla media dei sondaggi

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Al Senato la situazione è più complessa e il risultato delle nostre simulazioni è diverso, ma non troppo. Qui gli effetti maggioritari sono affidati non al premio di maggioranza che non c’è, ma al fatto che ci sia una quota elevata di voti dispersi a causa delle soglie di sbarramento. Come è noto, al Senato le liste singole devono arrivare all’ 8% dei voti per avere seggi. Le liste in coalizione invece godono di uno sconto: gli basta il 3% dei voti a condizione che la coalizione di cui fanno parte arrivi al 20%. Il tutto calcolato a livello regionale. Con queste soglie alcuni partiti potrebbero prendere voti ma non prendere seggi. Sarebbero voti dispersi. Più sono i voti dispersi, più sono i seggi aggiuntivi che vanno ai partiti più grandi e quindi più forte è l’effetto maggioritario del sistema. L’ipotesi è che questo meccanismo possa produrre una maggioranza assoluta di seggi a favore del partito o della coalizione più votati.

Abbiamo controllato questa ipotesi facendo due simulazioni con la procedura CISE. In una tutti i partiti si presentano da soli. Non sarà così. Ma l’abbiamo fatto perché questo è lo scenario in cui il voto disperso è maggiore, cioè è il caso più favorevole ai sostenitori dell’esito maggioritario.

Tab. 3 – Simulazione Senato con risultati dei partiti stimati secondo la procedura CISE e nell’ipotesi che ciascuno corra da solo (CLICCA PER INGRANDIRE)

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Nell’altra simulazione abbiamo ipotizzato che il Pd faccia una coalizione con il Ncd e la Lega con Fdi. In entrambi i casi una maggioranza c’è. E in entrambi i casi la maggioranza deve comprendere Forza Italia.

Tab. 4 – Simulazione Senato con risultati dei partiti stimati secondo la procedura CISE e nell’ipotesi che Pd e Ncd formino una coalizione, così come Lega e Fdi (CLICCA PER INGRANDIRE)

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Ma per Berlusconi, che grazie al fallimento della riforma costituzionale, è tornato ad essere un attore indispensabile non sono comunque tutte rose e fiori. Il Cavaliere ha davanti a sé un dilemma difficile da risolvere, come abbiamo già scritto ieri. Se alle prossime elezioni si presenta da solo per avere le mani libere dopo il voto, rischia di apparire come un perdente e quindi di prendere meno voti di quelli stimati qui. Se entra in coalizione con la Lega Nord e Fdi compromette la sua immagine di leader moderato e rende molto più difficile fare il governo con Renzi dopo il voto.

Questo esempio per dire che alle prossime elezioni entreranno in gioco molte variabili che possono cambiare le stime presentate qui. Ma questo esercizio non è inutile. I voti ai partiti possono essere diversi da quelli stimati qui o in altre sedi. Ma i partiti sono questi e le regole di voto sono queste (a meno che non vengano modificate). Con questi partiti e queste regole si possono anche utilizzare percentuali di voto diverse (in un range plausibile), ma la conclusione è comunque la stessa: sarà difficile dare stabilità al governo nazionale, come invece è stato fatto con le riforme degli anni novanta a livello di comuni e di regioni. Ci si è provato, ma è andata male.


[1] Per calcolare le medie riportate sono stati utilizzati i dati dei 4 sondaggi pubblicati negli ultimi sette giorni: quello svolto da EMG per La7 del 23 gennaio, quello di Winpoll per Huffington Post del 22 gennaio, quello di SWG del 19 gennaio e quello di Technè per Matrix del 17 gennaio.

Roberto D’Alimonte (1947) è professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano. Dal 1974 fino al 2009 ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato come visiting professor nelle Università di Yale e Stanford. Collabora con il centro della New York University a Firenze. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano i sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto in Italia. A partire dal 1993 ha coordinato con Stefano Bartolini e Alessandro Chiaramonte un gruppo di ricerca su elezioni e trasformazione del sistema partitico italiano. I risultati sono stati pubblicati in una collana di volumi editi da Il Mulino: Maggioritario ma non troppo. Le elezioni del 1994; Maggioritario per caso. Le elezioni del 1996; Maggioritario finalmente? Le elezioni del 2001; Proporzionale ma non solo. Le elezioni del 2006; Proporzionale se vi pare. Le elezioni del 2008. Tra le sue pubblicazioni ci sono articoli apparsi su West European Politics, Party Politics, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. E’ membro di ITANES (Italian National Election Studies). E’ editorialista de IlSole24Ore. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.