Il voto di preferenza nei comuni capoluogo

di Matteo Cataldi

La legge elettorale con la quale si eleggono i rappresentanti in consiglio comunale e contestualmente il primo cittadino consente all’elettore di indicare il nome di un solo candidato consigliere all’interno della lista del partito votato.

Storicamente gli italiani fanno un uso geograficamente molto differenziato di questa possibilità. Per ragioni storiche e culturali gli elettori del centro-nord sono più riluttanti ad esprimere una preferenza: più spesso assegnano il voto ad un partito senza indicare una preferenza per un candidato al Consiglio. Potremmo quindi ipotizzare che esprimono un voto più “politico” di apprezzamento dell’operato o del programma di una parte politica.

Al contrario nel meridione il voto è maggiormente legato alla persona ed è più spesso espressione di un rapporto personale o di fiducia nei confronti di un candidato consigliere che può perfino prescindere dal partito. Al sud il ricorso all’utilizzo del voto di preferenza è da sempre molto più alto che nel resto del paese.[1]

A questo divario la classe politica locale si è presto adattata adeguando l’offerta elettorale alla diversa propensione ad esprimere una preferenza da parte della popolazione meridionale. La scelta di mettere in campo molte liste (quando fanno parte di una coalizione), e di conseguenza moltissimi candidati consiglieri, corrisponde ad una precisa strategia per catturare il voto di chi, votando solo il candidato consigliere sceglie, di fatto, anche la coalizione e il candidato sindaco[2]

Questo divario nell’utilizzo del voto di preferenza, come mostra la tabella 1 è anche oggi molto ben evidente. Ordinando i comuni capoluogo al voto la primavera scorsa per l’indice di preferenza[3] la graduatoria che ne risulta rispecchia fedelmente la direzione sud-nord con i capoluoghi del meridione invariabilmente davanti a quelli del centro-nord. Nei comuni del sud, in media, oltre il 90% degli elettori esprime una preferenza per un candidato consigliere: praticamente la totalità di chi si reca alle urne. Al centro nord meno di 6 elettori su 10 indicano un candidato consigliere in particolare. La media nasconde tuttavia una eterogeneità interna a questa zona notevole e maggiore di quella riscontrata nel Mezzogiorno: si va infatti dal 29% del tasso di preferenza di Genova al 73,6% di Cuneo, appena 10 punti percentuali dietro Palermo, la città del meridione con il valore dell’indice meno alto.

Tabella 1. Indice di preferenza nei 26 comuni capoluogo: confronto con l’affluenza al primo turno e alla Camera 2008.

La quarta colonna della tabella riporta l’affluenza al primo turno in ciascuno dei capoluoghi. La comparazione tra l’indice di preferenza e la partecipazione elettorale ci mostra l’esistenza di una forte correlazione tra i due fenomeni: maggiore il ricorso alla preferenza, più alta l’affluenza (e viceversa). Questa forte relazione positiva costituisce un indizio importante di come la partecipazione al voto sia, al sud, trainata verso l’alto dal voto personale al candidato consigliere.

Se alla prima tabella affianchiamo il valore dell’affluenza fatto registrare alle politiche del 2008 (quinta colonna della tabella 1) il confronto è sorprendente: alle elezioni per la Camera, dove, è ben noto, le liste sono bloccate e l’elettore non ha la possibilità di esprimere una preferenza, l’affluenza nei comuni del sud è mediamente solo 3 punti e mezzo più alta, nonostante la posta in gioco (la scelta di chi guiderà il paese) sia massima. In alcuni casi addirittura, la partecipazione elettorale si è rivelata più alta che nel 2008 (Agrigento, Lecce, Catanzaro e Trani). Al contrario, nell’area centro-settentrionale del paese la differenza di partecipazione tra i due tipi di elezioni sfiora i 20 punti percentuale (19,8 la media).

A riprova dell’importanza che la scelta del candidato consigliere riveste per gli elettori nel Mezzogiorno, la tabella 3 riporta i livelli di affluenza nei comuni capoluogo al primo e al secondo turno nonché la loro differenza. Ebbene, al sud, venuta meno la possibilità di votare i candidati consiglieri nel passaggio dal primo turno a quello di ballottaggio, l’affluenza cala di oltre 18 punti percentuali mentre al centro nord il calo si arresta a 13 punti.

Tabella 2. Confronto tra affluenza al primo turno e al ballottaggio.

In conclusione, un breve accenno al diverso utilizzo del voto di preferenza tra gli elettori delle varie liste. La tabella 4 mostra l’indice di preferenza (per macroarea) dei principali partiti. Il dato più evidente è indubbiamente il valore molto basso fatto registrare dal Movimento cinque stelle, chiaro segno del fatto che, chi sceglie il movimento animato da Beppe Grillo, compie una scelta fortemente caratterizzata in senso “politico” che prescinde dal profilo dei candidati di lista. Dei partiti presi in considerazione l’Udc di Casini è quello i cui elettori fanno maggiormente ricorso all’indicazione di una preferenza (85 su 100), seguiti dagli elettori “pidiellini” (76%) che si mantengono al di sopra del dato relativo a tutte le liste (67%); scende appena sotto tale soglia il partito di Bersani (63,5). E’ interessante notare che le differenze nei tassi di preferenza di ciascuna lista tra le due zone del paese sono più marcate per il Movimento cinque stelle (48 punti percentuali in più) che per gli altri partiti in particolare l’Udc e il Pdl che sembrano avere una distribuzione territoriale delle preferenze leggermente più omogenea rispetto agli altri partiti.

Tabella 3. Indice di preferenza per i principali partiti nazionali


[1] Per un approfondimento sul tema si vedano, tra gli altri, i lavori di Cazzola (1975), D’Amato (1976), Scaramozzino (1979), Fabrizio e Feltrin (2007).

[2] In Sicilia, a  partire da quest’anno, il cosiddetto “effetto di trascinamento”, ovvero l’attribuzione automatica del voto espresso a favore di un partito (a prescindere o meno dall’indicazione di una preferenza) anche alla coalizione di cui questo fa parte (e al sindaco che essa sostiene) è stato eliminato.

[3] L’indice di preferenza viene calcolato come rapporto tra i voti di preferenza espressi e quelli esprimibili, che essendo uno per ogni elettore nel caso italiano, corrispondono ai voti validi espressi a favore delle liste.

Matteo Cataldi si è laureato presso la Facoltà di Scienze politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze con una tesi sulla competitività delle elezioni italiane. È stato ricercatore presso Tolomeo Studi e Ricerche e ha pubblicato articoli su Polena e Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, è co-autore di un capitolo di Terremoto elettorale (Il Mulino, 2014) e co-curatore di vari Dossier CISE e di numerose note di ricerche apparse nella serie di Dossier. Ha inoltre curato l’appendice al volume Proporzionale se vi pare (Il Mulino, 2010). I suoi interessi di ricerca comprendono lo studio del comportamento elettorale e in particolare il cambiamento della geografia del voto, anche attraverso i più recenti sviluppi degli applicativi GIS in ambito politico-sociale. È membro SISP e dello Standing Group POPE – Partiti Opinione Pubblica Elezioni.