Primarie 2012: Bersani avanti ma costretto al ballottaggio. Renzi trionfa in Toscana.

di Federico De Lucia e Matteo Cataldi

Il primo turno delle primarie del centrosinistra ha confermato i risultati che i sondaggi avevano pronosticato. Bersani ha vinto su Renzi con un distacco piuttosto marcato (circa 9,5 punti percentuali), ma non è riuscito a strappare la vittoria al primo turno, fermandosi al 44,9% dei voti validi. Lo sfidante fiorentino ha ottenuto un buon 35,5%, mentre Vendola, annunciato già in terza posizione da tutte le rilevazioni in circolazione, si è fermato al 15,6%. I candidati minori, Puppato e Tabacci, hanno ottenuto le risicate percentuali residuali, inferiori al 3%.

Le riflessioni interessanti che questi risultati implicano derivano dalla disaggregazione geografica del voto, evidenziata dalle mappe presentate in questo articolo.

Figura 1. Percentuali di voto a Pier Luigi Bersani nelle 110 province italiane

 

Le prestazioni migliori di Bersani si collocano tutte nel Centro-Sud (con l’eccezione della Puglia), nelle Isole, e in Emilia Romagna. Il segretario si difende poi bene in Lombardia e in Liguria. Si trova, invece, in qualche difficoltà in Veneto, in Piemonte, ma soprattutto nelle altre tre regioni della Zona Rossa.

Figura 2. Percentuali di voto a Nichi Vendola nelle 110 province italiane

Anche Vendola ottiene le sue migliori performance al Sud, con punte di particolare rilevanza nella sua Puglia e in Lazio. Al Nord ottiene tutto sommato percentuali in linea con la propria media nazionale, mentre è sottorappresentato nella zona rossa, dove la competizione si è molto bipolarizzata.

Figura 3. Percentuali di voto a Matteo Renzi nelle 110 province italiane

 

Ovviamente, Renzi ha una distribuzione territoriale inversa a quella di Bersani: male al Centro-Sud, dove deve affrontare anche la concorrenza agguerrita di Vendola. Al Nord, soprattutto in Piemonte, ed anche in Emilia Romagna ottiene ottime prestazioni, ma resta dietro a Bersani in tutte le Regioni. La sorpresa, per il sindaco fiorentino, sono le alte percentuali subappenniniche: in Toscana, Marche ed Umbria, è addirittura in testa. Nella sua Regione, addirittura con la maggioranza assoluta dei voti validi.

Renzi è riuscito a prevalere su Bersani in 7 province settentrionali (Cuneo, Asti, Como, Lecco, Verona, Vicenza, Pordenone), oltre che a Perugia, in tre province marchigiane ed in ben 8 province toscane su 10 (Bersani si salva solo a Livorno e a Massa-Carrara). Vendola ha prevalso in tre province pugliesi (Bari, Brindisi e Lecce). Nel resto delle province ha prevalso Bersani.

Il successo di Renzi nella parte meridionale della zona rossa è un dato estremamente significativo, che non può passare inosservato. In particolare, la vittoria toscana del sindaco è un vero e proprio trionfo, che va messo in relazione con il notevolissimo incremento della partecipazione che si è registrato in questa regione: 150.000 voti validi in più rispetto alle primarie del 2009, con un incremento del 52% dei voti validi registrati in tale tornata. Un dato impressionante, e assolutamente non comparabile con nessuna delle altre regioni italiane.

Non può essere un caso che questo incremento straordinario si sia verificato nell’unica regione in cui Renzi ha ottenuto la maggioranza assoluta. In Toscana Renzi è riuscito a portare a votare persone che nel 2009 non si erano espresse. Questa operazione di mobilitazione gli è riuscita molto meno altrove. Non gli è riuscita al Sud, dove, in un contesto di partecipazione in calo, Bersani è riuscito a mantenere posizioni nettamente di vantaggio, anche grazie alle buone prestazioni di Vendola. Gli è riuscita solo parzialmente al Nord, dove ha ridotto ovunque il margine ma senza mai colmarlo interamente. Non gli è riuscita quasi affatto nella Regione di Bersani, l’Emilia Romagna, in un contesto culturalmente affine a quello toscano.

Per il momento, è difficile dire che tipo di elettori siano quelli che Renzi è riuscito a mobilitare. Certamente il fatto che il fenomeno di cui stiamo parlando si sia verificato in Toscana in modo estremamente accentuato (il 20% del voto renziano è voto toscano, e in un Italia senza Toscana, Renzi avrebbe perso con quasi 14 punti di svantaggio) suggerisce alcune ipotesi interpretative. Una possibile causa potrebbe essere il particolare radicamento organizzativo che Renzi ha nella propria regione: ma questo fattore, per quanto certamente esistente, non sembra sufficiente. Pare difficile ipotizzare che, in un contesto molto campanilistico e con l’esplicita opposizione della stragrande maggioranza dei quadri locali del partito, il sindaco del capoluogo regionale sia riuscito nel compito di portare alle urne un tale quantitativo di votanti aggiuntivi, diffusi territorialmente in tutta la regione. Un’altra interpretazione possibile potrebbe essere quella contraria: il successo toscano di Renzi si spiegherebbe cioè proprio in contrapposizione alla classe dirigente locale, al potere da decenni. Contro il sistema di potere si sarebbe pertanto mobilitato un elettorato particolare, interessato principalmente, se non esclusivamente, a uno dei temi sui quali Renzi si è concentrato di più: quello del ricambio della classe dirigente. È evidente che ad un tema come questo sia molto più interessata una regione rossa rispetto alle altre. Per l’elettorato toscano Renzi avrebbe quindi costituito una prospettiva di voto abbastanza allettante: costringere il partito a rinnovarsi, continuando tuttavia a votarlo. In questo senso, non è affatto detto che l’elettorato aggiuntivo mobilitato da Renzi sia un elettorato di destra: potrebbe anche essere un elettorato di sinistra, ma non identificato o comunque lontano dall’apparato del partito.

In Emilia Romagna la stessa cosa non si è verificata, forse perché in questo caso il candidato espressione della classe dirigente nazionale era anche espressione della classe dirigente locale, ed è stato pertanto sperimentato direttamente ed, evidentemente, ben valutato dai suoi concittadini.

Ovviamente si tratta di ipotesi, derivanti semplicemente da una analisi superficiale della distribuzione territoriale dei dati aggregati: per avere un valore maggiore, esse andranno provate con dati di sondaggio che gettino una luce sulla natura dell’elettorato renziano. Quello che per ora possiamo dire è che il successo di Renzi, pur verificandosi anche in alcune zone del Nord, sembra trovare in Toscana una sua manifestazione particolarmente accentuata. Se è vera la chiave interpretativa qui esposta, esso potrebbe però dipendere da motivazioni prettamente locali e pertanto, in vista del ballottaggio, di difficile esportazione ad un livello territoriale nazionale.

Nota:

Il “taglio” delle classi delle percentuali di voto riportate nelle mappe è stato effettuato utilizzando il metodo Jenks Natural Breaks che riduce la varianza interna alle varie classi e massimizza quella esterna.

Federico De Lucia ha conseguito la laurea magistrale in Scienza della Politica e dei Processi Decisionali, presso la facoltà di Scienze Politiche all’Università di Firenze, discutendo una tesi dal titolo “Le Regioni a Statuto Speciale nella Transizione italiana. Forma di governo, sistema elettorale, sistema partitico.” Nel periodo degli studi universitari ha svolto tre tirocini presso gli uffici della Regione Toscana, nel Settore di assistenza alla I Commissione (Affari Istituzionali, Programmazione e Bilancio) del Consiglio e nell'Osservatorio elettorale regionale, presso la Presidenza. Ha poi partecipato poi al Seminario di Studi e Ricerche Parlamentari "Silvano Tosi". Dal luglio 2013 al maggio 2018 ha lavorato presso FB & Associati, una società che si occupa di consulenza nel campo delle relazioni istituzionali. In tale società ha fondato e poi diretto per cinque anni FBLab, un Centro studi che si occupa di monitoraggio parlamentare e analisi dello scenario politico. Inoltre, è membro del CISE sin dalla sua costituzione, ha scritto numerosi contributi nei Dossier CISE e ha curato il quarto volume (Le Elezioni Politiche 2013). Oggi è funzionario del Ministero dell'Interno. I suoi principali interessi sono lo studio dell’assetto istituzionale, dei sistemi elettorali e dell’evoluzione storica dei sistemi partitici, nonché la raccolta, la catalogazione ed il confronto dei dati elettorali, a livello locale, nazionale ed internazionale.
Matteo Cataldi si è laureato presso la Facoltà di Scienze politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze con una tesi sulla competitività delle elezioni italiane. È stato ricercatore presso Tolomeo Studi e Ricerche e ha pubblicato articoli su Polena e Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, è co-autore di un capitolo di Terremoto elettorale (Il Mulino, 2014) e co-curatore di vari Dossier CISE e di numerose note di ricerche apparse nella serie di Dossier. Ha inoltre curato l’appendice al volume Proporzionale se vi pare (Il Mulino, 2010). I suoi interessi di ricerca comprendono lo studio del comportamento elettorale e in particolare il cambiamento della geografia del voto, anche attraverso i più recenti sviluppi degli applicativi GIS in ambito politico-sociale. È membro SISP e dello Standing Group POPE – Partiti Opinione Pubblica Elezioni.