Primarie, l’analisi della partecipazione: boom di votanti nelle regioni rosse, forte calo al Sud

di Vincenzo Emanuele

Tre milioni e centomila. Questo il bilancio complessivo (ancorché non definitivo – mancano ancora alcune sezioni, ormai tre giorni dopo la chiusura dei seggi) della partecipazione alle primarie del centrosinistra. Rispetto all’enfasi iniziale posta sulla grande affluenza, dovuta alle prime stime che parlavano di oltre 4 milioni di elettori, il risultato finale costringe a ridimensionare l’entusiasmo un po’ retorico di molti commentatori. Intendiamoci, in tempi di antipolitica portare più di tre milioni di elettori ai seggi è un risultato ragguardevole, ma se confrontiamo questo dato con quello delle primarie del 2009 il numero di partecipanti è praticamente identico (all’ora furono 3 milioni e 34.000). Ma nel 2009 si votò per eleggere il segretario del Pd, per di più in un momento in cui il partito, dopo l’abbandono di Veltroni e la sconfitta alle europee, versava in condizioni disastrose, con i sondaggi che lo stimavano non oltre il 25%. Il 25 novembre si è votato per eleggere il candidato premier dell’intero centrosinistra, in un momento di grazia per il Pd, che secondo tutti i sondaggisti veleggia oltre il 30%.

Per analizzare correttamente la partecipazione al voto è necessario capire qual è il corpo elettorale di riferimento. Trattandosi di primarie del centrosinistra, l’elettorato di riferimento è ovviamente costituito dagli elettori dei partiti di centrosinistra. Come punto di riferimento per stimarne il numero utilizziamo le elezioni politiche del 2008 che, vista l’alta partecipazione al voto (80,5%), sono le più idonee per il calcolo dell’elettorato potenziale delle primarie. A questo punto calcoliamo il rapporto tra votanti alle primarie 2012 e voti ottenuti alle politiche 2008 dai partiti di centrosinistra (Pd, Idv, Ps e Sinistra arcobaleno) e otteniamo un numero, che definiamo Indice di Partecipazione alle Primarie[1]. Esso oscilla tra 0 (nessun elettore vota) e 1 (tutti gli elettori di centrosinistra votano[2]). Dal momento che nel 2008 la sinistra nel suo complesso ottenne poco più di 15 milioni di voti, l’Indice fa segnare, a livello nazionale, il valore di .205, mentre nel 2009 risultava di .201[3]. Insomma, le primarie hanno interessato circa un quinto dell’elettorato di centrosinistra. Disaggregando territorialmente i risultati scopriamo alcuni dati interessanti.

Come vediamo nella Tabella 1[4], la partecipazione è stata altissima in Toscana, in cui quasi un terzo degli elettori di centrosinistra del 2008 si è recato alle urne, con un incremento di 11 punti rispetto al 2009. Seguono altre regioni di solida tradizione progressista, come l’Emilia-Romagna, la Basilicata e l’Umbria. Oltre la media nazionale si trovano anche il Friuli Venezia-Giulia e la Calabria. Tra le regioni con la più bassa affluenza spiccano il Molise (0,119) e il Trentino Alto Adige (0,136), oltre ad alcune importanti regioni del Nord (Piemonte e Veneto) e del Sud (Sicilia, Sardegna e Puglia, in cui la presenza del governatore Vendola come candidato alle primarie non è servita ad accrescere la partecipazione, in calo rispetto al 2009). In generale, il confronto con i dati relativi alle primarie del 2009 svelano una netta frattura territoriale fra il Nord e il Sud del paese: in quasi tutte le regioni centro-settentrionali la partecipazione è aumentata, con l’eccezione di Veneto e Friuli Venezia-Giulia, mentre in tutto il Mezzogiorno il numero di votanti diminuisce, e con esso anche l’Indice di Partecipazione. In alcuni casi il crollo è drammatico: in Basilicata e Calabria, che pure risultano due regioni con affluenza superiore alla media nazionale, il calo rispetto al 2009 è rispettivamente di 11 e 10 punti. Inferiore, ma comunque significativa è la diminuzione della partecipazione in altre regioni meridionali, come la Sardegna, il Molise, la Campania e la Sicilia (tutte comprese fra i 5 e i 7 punti).

Tab. 1 Indice di Partecipazione alle Primarie per regione, 2009 e 2012.

Aggregando i risultati per macro-area emerge una differenza netta fra la Zona rossa e il resto del paese. Nelle regioni di tradizionale insediamento della sinistra la partecipazione è stata del 28,6%, in crescita di quasi 6 punti dal 2009. Nel resto del paese invece staziona attorno al 18% sebbene con trend opposti fra Nord (in crescita di 3,5 punti), Centro-Sud e Sud (in calo di 2 e 3,5 punti), come vediamo nella Figura 1.

Fig. 1 Indice di Partecipazione alle Primarie per Zona geopolitica, 2009 e 2012.

Dopo aver descritto le differenze territoriali che hanno caratterizzato la partecipazione alle primarie, cerchiamo adesso di comprendere quali sono i fattori che hanno inciso sulla partecipazione stessa.

Il primo fattore che emerge come fortemente associato alla partecipazione è il radicamento elettorale del centrosinistra. L’affluenza ai seggi delle primarie tende ad essere maggiore laddove il centrosinistra è più forte. Vi è infatti una correlazione positiva e significativa (r=.469) tra la percentuale raccolta dai partiti progressisti nel 2008 e l’Indice di Partecipazione (che è costruito in modo da “scontare” questo fattore, dal momento che è frutto di un rapporto al cui denominatore sta proprio il totale dei voti raccolti dal centrosinistra alle politiche). Come vediamo nella Figura 2, le regioni che registrano la maggiore partecipazione sono anche quelle in cui il centrosinistra è più forte (le tre regioni rosse più la Basilicata, vero e proprio feudo democratico del Sud Italia). Due regioni però deviano fortemente rispetto a questa associazione, configurandosi come veri e propri outliers:  il Friuli Venezia-Giulia, che evidenzia una partecipazione altissima rispetto a quanto ci si aspetterebbe sulla base del consenso per i partiti di sinistra, e il Molise che, al contrario, partecipa troppo poco rispetto alla forza della sinistra nell’area (48,4% nel 2008).

Fig. 2 Voti al Centrosinistra nel 2008 e Indice di Partecipazione 2012 per regione.

La letteratura sulle primarie individua nella diffusione sul territorio delle postazioni elettorali [Hazan e Rahat 2010, 93] un altro fondamentale fattore che influenza la partecipazione al voto. Maggiore è il numero di seggi in un territorio, meno costoso risulta il voto per l’elettore [Fiorini e Venturino 2011, 13]. Abbiamo quindi calcolato la densità territoriale dei seggi elettorali per regione, intesa come il rapporto tra il numero di seggi presenti in una regione e l’elettorato potenziale delle primarie (che altro non è che il numero di voti raccolti dai partiti di centrosinistra[1] alle politiche del 2008). Anche in questo caso osserviamo una correlazione positiva (r=.489) tra densità territoriale dei seggi e Indice di partecipazione (Figura 3), il che significa che all’aumentare del numero delle postazioni elettorali disponibili per elettore, la partecipazione cresce. In particolare la Calabria e il Friuli Venezia-Giulia, due regioni in cui l’alta partecipazione alle primarie non è spiegata dall’insediamento elettorale del centrosinistra, risultano fra le regioni con la più alta densità territoriale dei seggi elettorali. Al fondo di questa classifica troviamo la Puglia, il Trentino Alto-Adige, il Piemonte e il Lazio, tutte regioni con partecipazione inferiore alla media. I casi che non rispettano la relazione sono, oltre al Molise (densità più alta della partecipazione), le due regioni rosse per eccellenza, l’Emilia-Romagna, che presenta una densità territoriale dei seggi appena sopra la media nazionale e la Toscana, il cui boom di affluenza non è giustificato dal pur cospicuo numero di sezioni elettorali (circa 1 seggio ogni 1.300 elettori di sinistra).

Fig. 3 Densità territoriale dei seggi elettorali  e Indice di Partecipazione 2012 per regione.

Infine abbiamo testato un fattore decisamente più contingente, legato allo specifico contesto di queste primarie, caratterizzate dalla sfida per la premiership che Matteo Renzi, da molti considerato estraneo alla tradizione politica e programmatica dello schieramento progressista, ha lanciato al segretario del Pd Bersani. Si è molto parlato della capacità del sindaco di Firenze di mobilitare elettori che non si sono mai riconosciuti nel centrosinistra ma che risultano tuttavia attratti dalle proposte del giovane rottamatore. E’ pertanto ipotizzabile che la partecipazione sia stata più alta laddove Renzi ha ottenuto le migliori performance, sintomo del fatto che in quelle aree un più ampio numero di elettori indipendenti o di centrodestra si è recato alle urne. Come possiamo osservare nella Figura 4, i dati confermano questa ipotesi. In questo caso la correlazione con l’Indice di partecipazione è più debole ma sempre significativa (r=.399): al crescere della percentuale di Renzi tende ad aumentare la partecipazione al voto, sebbene con alcune importanti eccezioni (fra tutte la Basilicata in cui vi è stata un’alta affluenza nonostante lo scarso risultato del candidato fiorentino, che ottiene appena il 21,4%).

Fig. 4 % Renzi e Indice di Partecipazione 2012 per regione.

Concludendo, possiamo affermare che la partecipazione alle primarie non ha raggiunto livelli entusiasmanti, con l’eccezione della Zona rossa. Al Sud in particolare vi è stata un’affluenza davvero modesta e in forte calo rispetto al 2009: lo scarso radicamento elettorale del centrosinistra e il basso numero di postazioni elettorali in alcune regioni meridionali spiegano solo in parte il risultato. Un fattore decisivo per comprendere la bassa partecipazione del Sud è stata l’incapacità da parte di Renzi di mobilitare elettori d’opinione estranei alla tradizione progressista. In questo modo, la partecipazione ridotta ai minimi termini ha favorito il risultato quasi plebiscitario di Bersani che poteva contare sulla pressoché totale fedeltà dell’apparato di partito e dei quadri dirigenti locali. (Valium) La crescita della partecipazione al Nord rispetto al 2009 è invece probabilmente dovuta proprio al fatto che gli elettori delle regioni settentrionali si sono mostrati più sensibili alle proposte liberal di Renzi, portando così ai seggi un numero di elettori decisamente superiore rispetto alle primarie di tre anni fa. Infine il boom della Zona rossa si spiega con la contemporanea presenza di un forte e radicato apparato di partito in grado di mobilitare un enorme numero di elettori e al contempo con la contrapposta mobilitazione di coloro che, dentro e fuori dai confini del centrosinistra, si battono contro l’apparato stesso e hanno trovato nella campagna “rottamatrice” del sindaco di Firenze un irresistibile richiamo.



[1] Fiorini e Venturino [2011] calcolano l’Indice normalizzando per il numero dei residenti. A noi sembra più appropriato considerare invece il solo elettorato potenziale di centrosinistra. L’Indice è poi moltiplicato per 100 per ottenere una migliore visualizzazione (i risultati del semplice rapporto sono poco superiori allo 0).

 


[1] Per approfondire, v. Emanuele [2012, 23-26].

[2] Da un punto di vista teorico l’Indice può superare 1, nella poco probabile ipotesi che il numero di selettori superi quello degli elettori di centrosinistra delle politiche (ad esempio per una massiccia mobilitazione al voto di elettori di centro-destra).

[3] Per il 2009 il confronto con l’intero bacino di voti del centrosinistra è improprio. Trattandosi di primarie del solo Pd, sarebbe più corretto il confronto con il totale di voti raccolti dai democratici nel 2008. In questo caso l’Indice sale a 0,251.

[4] La Valle d’Aosta è stata esclusa dall’analisi a causa dell’impossibilità di ricostruire l’elettorato di centrosinistra della regione (l’unico seggio assegnato alla Camera alla Valle d’Aosta è infatti conteso da liste autonomiste).

Nicola Maggini è ricercatore in scienza politica. È membro del laboratorio di ricerca spsTREND "Hans Schadee" presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano, del CISE (Centro Italiano Studi Elettorali) e di ITANES (Italian National Election Study). In precedenza è stato Jean Monnet Fellow presso lo Schuman Centre for Advanced Studies dell’Istituto Universitario Europeo e ha partecipato a due progetti di ricerca europei Horizon 2020: Sirius-Skills and Integration of Migrants, Refugees and Asylum Applicants in European Labour Markets e TransSol-Transnational solidarity at times of crisis. Si è addottorato, con lode, in Scienza della Politica all’Istituto Italiano di Scienze Umane nel marzo 2012. Ha pubblicato articoli in diverse riviste scientifiche italiane e internazionali, tra cui European Political Science Review, Journal of Common Market Studies, West European Politics, American Behavioral Scientist, South European Society and Politics, Italian Political Science Review, Journal of Contemporary European Research, Quality & Quantity, Italian Political Science, Italian Journal of Electoral Studies, International Sociology e Quaderni di Scienza Politica. Ha pubblicato, per Palgrave MacMillan, il libro Young People’s Voting Behaviour in Europe. A Comparative Perspective (Palgrave Macmillan, 2016). È inoltre coautore di diversi capitoli in volumi collettanei e ha co-curato numerosi volumi della serie dei Dossier CISE. Ha curato (con Andrea Pedrazzani) Come siamo cambiati? Opinioni, orientamenti politici, preferenze di voto alla prova della pandemia (Fondazione Feltrinelli, 2021). Infine, è autore di diverse note di ricerca pubblicate nella serie dei Dossier CISE. I suoi interessi di ricerca si concentrano sullo studio degli atteggiamenti e comportamenti socio-politici, dei sistemi elettorali, del comportamento di voto e della competizione partitica in prospettiva comparata.
Vincenzo Emanuele è professore associato in Scienza Politica presso la LUISS Guido Carli di Roma. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienza della Politica presso la Scuola Normale Superiore (ex SUM) di Firenze con una tesi sul processo di nazionalizzazione del voto in Europa occidentale e le sue possibili determinanti. La sua tesi ha vinto il Premio 'Enrico Melchionda' conferita alle tesi di dottorato in Scienze Politiche discusse nel triennio 2012-2014 e il Premio 'Celso Ghini' come miglior tesi di dottorato in materia elettorale del biennio 2013-2014. È membro del CISE, di ITANES (Italian National Election Studies) e del Research Network in Political Parties, Party Systems and Elections del CES (Council of European Studies). I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle elezioni e i sistemi di partito in prospettiva comparata, con particolare riferimento ai cleavages e ai processi di nazionalizzazione e istituzionalizzazione. Ha pubblicato articoli su European Journal of Political research, Comparative Political Studies, Party Politics, South European Society and Politics, Government and Opposition, Regional and Federal Studies, Journal of Contemporary European Research, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. La sua prima monografia Cleavages, institutions, and competition. Understanding vote nationalization in Western Europe (1965-2015) è edita da Rowman and Littlefield/ECPR Press (2018), mentre la seconda The deinstitutionalization of Western European party systems è edita da Palgrave Macmillan. Sulle elezioni italiane del 2018, ha curato la Special Issue di Italian Political Science ‘Who’s the winner? An analysis of the 2018 Italian general election’. Clicca qui per accedere sito internet personale. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.