Sul voto l’incognita della tenuta di Monti

di Roberto D’Alimonte

pubblicato su Il Sole 24 ore del 22 Febbraio

Il prossimo governo del paese dipenderà dal voto del Senato. Questo è vero sia che alla Camera vinca Berlusconi sia che vinca Bersani, come sembra molto probabile viste le tendenze che avevamo sotto gli occhi fino a qualche giorno fa. In questo ramo del parlamento può succedere di tutto. Nel 2006 la Casa delle Libertà di Berlusconi arrivò prima in 7 regioni su 17 e questo bastò per dare al Cavaliere 155 seggi contro i 154 dell’Unione di Prodi. Andò così perché la Cdl vinse in molte regioni ‘pesanti’: Lombardia, Piemonte, Veneto, Lazio. Puglia e Sicilia (oltre a Friuli-VG). Prodi si salvò grazie alla Campania dove arrivò primo con il 49,6 % dei voti contro il 49,1 % del centrodestra. Senza quello 0,5 % di elettori campani la storia del paese avrebbe preso una altra piega.

Nel 2013 se Berlusconi vincesse nelle stesse 7 regioni otterrebbe 124 seggi, vale a dire 31 in meno. E questo indipendentemente dalla sua percentuale di voti. Questo dato da solo ci dice quanto sia cambiata la situazione oggi rispetto al 2006. La differenza la fanno Grillo e Monti. Nel 2006 la competizione era bipolare, oggi invece è quadripolare. Sono quattro infatti le formazioni capaci di prendere più dell’ 8 % dei voti al Senato e quindi di ottenere seggi. Questo vuol dire che chi perde il premio in una regione perde molti più seggi di quanto accadeva nel 2006 perché non incassa tutti quelli destinati ai perdenti ma li deve dividere con altri due pretendenti. Quindi, per vincere oggi bisogna arrivare primi in molte più regioni. Anzi, bisogna vincere praticamente in tutte le regioni. Solo così si può ottenere una maggioranza consistente.

Ciò premesso, gli esiti possibili della lotteria del Senato sono tre. Il primo è che Bersani e Vendola ottengano la maggioranza assoluta dei seggi come fece Berlusconi nel 2008 quando riuscì a eleggere 174 senatori. E’ difficile che accada questa volta ma non impossibile. In ogni caso c’è maggioranza e maggioranza. Anche quella di Prodi lo era. Immaginiamo ora che il centrosinistra vinca in tutte le 17 regioni. In questo caso arriverebbe a 178 seggi. Un bel risultato. Però Lombardia, Veneto e Sicilia vengono considerate unanimemente regioni in bilico. Basta che Bersani perda la Lombardia e scenderebbe a 162, solo 4 seggi sopra la soglia di maggioranza. Una perdita di 16 seggi in una regione sola sono tanti e illustrano bene il ragionamento fatto sopra. Perdere il premio in regioni pesanti, e la Lombardia è la più pesante di tutte, vuol dire passare dal paradiso all’inferno. Ma la Lombardia da sola non basta. Infatti anche se il centrosinistra vincesse qui ma Berlusconi prevalesse in Veneto e Grillo (o lo stesso Berlusconi) in Sicilia la coalizione di centrosinistra si fermerebbe comunque a 159 seggi. Decisamente pochi per una navigazione tranquilla. Né a Bersani basterebbe vincere in Sicilia per avere una maggioranza assoluta, anche se risicata, se perdesse in Lombardia e Veneto. Insomma la possibilità che Bersani e Vendola riescano a fare maggioranza da soli esiste ma è fragile.

Tab. 1 – La distribuzione dei seggi a Palazzo Madama in base ai diversi possibili risultati del voto.

L’esito più probabile di queste elezioni è che il centrosinistra abbia bisogno di Monti per fare il governo. Questo risultato può scaturire da diversi mix di regioni vinte e perse. Nella tabella in pagina abbiamo fatto alcune ipotesi ma naturalmente se ne possono fare altre. Le ultime due simulazioni fanno vedere cosa succederebbe nel caso in cui il centrosinistra perdesse tutte e tre le regioni in bilico: avrebbe 143 seggi, ma con i 33 della lista Monti la eventuale coalizione di governo potrebbe contare su una maggioranza di 176 seggi. Come si vede, abbiamo anche ipotizzato che Grillo, e non Berlusconi, possa vincere il premio di maggioranza in Sicilia ma non cambierebbe nulla per il centrosinistra. Per Bersani la vittoria in queste regioni è molto importante ma, posto che non sia lui a vincere, è indifferente chi sia il vincitore.

Quello che invece non è indifferente per Bersani è la tenuta di Monti. Nella tabella abbiamo ipotizzato che la lista del premier scenda sotto l’ 8 % in alcune regioni. Il suo totale scenderebbe da 33 a 27 seggi. Una perdita di 6 seggi riduce la maggioranza dell’eventuale futuro governo con Bersani ma non la compromette. Se però dovesse accadere che Monti non superi la soglia dell’ 8 % in altre regioni pesanti, le cose cambierebbero. Per esempio, se alle regioni indicate nella tabella aggiungessimo la Lombardia la lista di Monti scenderebbe a 22 seggi rendendo più difficili eventuali maggioranze post-elettorali con Bersani e aprendo la strada al terzo possibile esito di queste elezioni.

Se Berlusconi dovesse vincere nelle regioni incerte e ribaltare i pronostici in altre in cui attualmente è dato per perdente, e se allo stesso tempo il risultato della lista Monti fosse al di sotto delle attese, la somma dei seggi di Vendola, Bersani e Monti potrebbe non fare 158. In questo caso gli unici governi possibili sarebbero o la grande coalizione (senza Grillo) o un governo con Grillo. Non c’è bisogno di soffermarsi sul rischio di instabilità di un esito del genere. Fortunatamente è lo scenario meno probabile di tutti.

In questi ultimi giorni che ci separano dal voto nulla è veramente sicuro tranne una cosa: Berlusconi non può ottenere la maggioranza assoluta dei seggi al Senato. Questa è una delle poche certezze assolute di queste elezioni. Perché questo accada basta che il centrosinistra vinca- e così sarà- in Toscana, Emilia, Marche, Umbria e Basilicata. E questo porta a una domanda finale. E se Berlusconi vincesse alla Camera come potrebbe fare un governo visto che al Senato non potrà avere la maggioranza assoluta dei seggi? Con chi si potrebbe alleare? E con quali prospettive per il Paese?

Roberto D’Alimonte (1947) è professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano. Dal 1974 fino al 2009 ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato come visiting professor nelle Università di Yale e Stanford. Collabora con il centro della New York University a Firenze. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano i sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto in Italia. A partire dal 1993 ha coordinato con Stefano Bartolini e Alessandro Chiaramonte un gruppo di ricerca su elezioni e trasformazione del sistema partitico italiano. I risultati sono stati pubblicati in una collana di volumi editi da Il Mulino: Maggioritario ma non troppo. Le elezioni del 1994; Maggioritario per caso. Le elezioni del 1996; Maggioritario finalmente? Le elezioni del 2001; Proporzionale ma non solo. Le elezioni del 2006; Proporzionale se vi pare. Le elezioni del 2008. Tra le sue pubblicazioni ci sono articoli apparsi su West European Politics, Party Politics, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. E’ membro di ITANES (Italian National Election Studies). E’ editorialista de IlSole24Ore. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.