Il voto nelle città: il Movimento 5 Stelle vince in un comune su 3

di Vincenzo Emanuele e Matteo Cataldi

Le elezioni del 24 e 25 febbraio hanno prodotto un vero e proprio terremoto del sistema partitico italiano stravolgendo completamente i fragili equilibri emersi nel 2008. Il sistema quasi bipartitico di 5 anni fa è stato spazzato via dal boom del Movimento 5 Stelle e dalla nascita di altre forze politiche che hanno accresciuto il livello di frammentazione; il sistema bipolare che aveva caratterizzato la storia della Seconda Repubblica, è stato rimpiazzato da un sistema a tre poli competitivi e mezzo (dove il mezzo è il centro di Monti); la mobilità elettorale ha raggiunto il livello massimo della storia della Repubblica, come ci suggeriscono sia l’indice di volatilità aggregata che le stime dei flussi elettorali rilevate in diverse città.

Per comprendere la portata di questi cambiamenti è utile entrare nel dettaglio dei risultati elettorali, scendendo fino al livello comunale attraverso l’utilizzo di un indicatore tanto semplice quanto immediato: il conteggio del primo partito per comune. L’analisi è stata condotta sugli 8.018 comuni italiani (Valle d’Aosta esclusa), disaggregati per Zona geopolitica e dimensione demografica del comune, confrontando i risultati del 2013 con quelli del 2008.

Come possiamo notare osservando la Tabella, 1 la geografia del primo partito per comune nel 2008 faceva emergere nettamente il dominio di Pdl e Pd. Il partito di Berlusconi vinceva in 4587 comuni, mentre quello di Veltroni in 2.435 su 8.047 (in caso di parità di voti in un comune fra due o più partiti il comune viene assegnato a entrambi, per questo il totale dei comuni è leggermente maggiore del numero di comuni sui quali è stata condotta l’analisi). Complessivamente i due partiti maggiori vincevano in più dell’87% dei comuni italiani. Questo dominio era particolarmente evidente nella Zona rossa, in cui il Pd risultava primo in 3 comuni su 4 e nel restante 25% era davanti il Pdl, tertium non datur; ma anche al Sud, in cui il Pdl conquistava il 70% dei comuni mentre il Pd il 27% e nel Nord ovest, in cui la presenza della Lega si fermava ai microcomuni (0-5.000 abitanti), mentre Pdl e Pd insieme prevalevano in quasi il 96% degli enti. La situazione si presentava più eterogenea nel Nord est, grazie alla presenza degli autonomisti altoatesini della Svp, in grado di conquistare 113 comuni e soprattutto per via del forte radicamento della Lega Nord nei piccoli e piccolissimi centri di quest’area: il Carroccio risultava primo in ben 766 comuni (il 28,5%), tutti concentrati in enti inferiori ai 50.000 abitanti, superando il numero di vittorie del Pd. In generale, nessuna delle altre forze politiche nazionali (Idv, Udc, Sa, La Destra) raggiungeva i 30 comuni vinti, e i pochi enti conquistati si concentravano per lo più all’interno della categoria dei comuni inferiori ai 5.000 abitanti del Sud.

Tab. 1 Vittorie dei partiti nei comuni, disaggregati per Zone geopolitiche e categorie di dimensione demografica, politiche 2008.

La Tabella 2 riporta invece i risultati delle politiche 2013. Come vediamo, il quadro risulta radicalmente cambiato. Innanzitutto è ben visibile l’aumento della frammentazione: ben 17 liste sono in grado di vincere in almeno un comune (nel 2008 erano 10). (thesaddleroomrestaurant.com) In secondo luogo il nuovo equilibrio tripolare emerge con chiarezza: il partito che vince in più comuni è il Pd (2.800) che accresce il suo bottino rispetto al 2008 pur avendo perso quasi 8 punti percentuali a livello nazionale (dal 33,2% al 25,4%). Un dato che già di per se rivela il radicale mutamento della struttura della competizione avvenuto tra il 2008 e il 2013. Il Movimento 5 Stelle conquista ben 2697 comuni su 8.097 (il 33,3%), un risultato clamoroso per un partito alla sua prima prova elettorale e privo di radicamento nei piccoli centri del paese. I grillini risultano primi in 2.400 comuni inferiori ai 15.000 abitanti, mostrando una distribuzione assolutamente equilibrata lungo le 5 categorie di dimensione demografica, tipica di un partito compiutamente “nazionale”. Il terzo attore del sistema è il Pdl, il partito più ridimensionato in termini di comuni vinti: ne deteneva il 57%, oggi scende a meno del 25%, con una perdita di oltre 2.500 comuni. La sconfitta del Pdl è ben evidenziata dall’arretramento nelle città: nel 2008 era primo in 26 grandi centri su 46, oggi ne vince appena 4, tutti concentrati al Sud. Nei medi centri urbani il declino è di simile portata: il partito di Berlusconi passa da 65 a 26 vittorie, 23 delle quali riguardanti città meridionali. In pratica considerando tutto il Centro-Nord del paese il Pdl vince in appena 3 enti superiori ai 50.000 abitanti su un totale di 67. Non solo, ma allargando lo sguardo fino a comprendere tutti i comuni superiori ai 15.000 abitanti, l’avvicinamento del principale attore del centrodestra italiano al profilo marcatamente village oriented tipico ad esempio della Lega, si fa più evidente: su 391 comuni superiori del Centro-Nord il Pdl è primo in appena 22 (il 5,6%). Numeri preoccupanti e decisamente opposti al trend registrato al Sud, in cui, nonostante le forti perdite in termini percentuali, il partito di Berlusconi è ancora la forza politica più vincente, dal momento che risulta prima in 1042 comuni (più della metà del suo bottino nazionale). Nelle regioni meridionali, inoltre, l’arretramento urbano visto al Centro-Nord non si nota: il partito è primo in 156 comuni superiori su 333 (il 46,8%), a fronte dei soli 22 conquistati nel Centro-Nord.

Tab. 2 Vittorie dei partiti nei comuni, disaggregati per Zone geopolitiche e categorie di dimensione demografica, politiche 2013.

Come detto in precedenza, il Pd cresce in termini di comuni vinti, eppure la distribuzione geografica delle sue vittorie si modifica rispetto al 2008. Il predominio nella Zona rossa rimane inattaccabile, ma gli enti vinti nelle regioni rosse sono 638, 90 in meno rispetto a 5 anni fa. In quest’area il più insidioso competitore dei democratici non è il Pdl, ridotto ad appena 63 comuni (176 in meno rispetto al 2008), ma il Movimento 5 Stelle, che vince nel 27% dei comuni, sfidando la leadership del partito erede del Pci soprattutto nelle 16 città medie (50-100 mila abitanti), in cui il conteggio delle vittore vede il Pd avanti 9-7 sui grillini, mentre le 15 grandi città sono tutte appannaggio del partito di Bersani, proprio come nel 2008. A fronte di una perdita di città nella Zona rossa il Pd compie un grande balzo in avanti nel Nord est. Qui, complice il forte calo della Lega, che perde più di 500 comuni rispetto al 2008 e rimane maggioranza relativa solo in un comune superiore ai 15.000 abitanti (5 anni fa erano 24), il Pd diventa il partito con più comuni vinti nell’area (934, 370 in più rispetto al 2008). In particolare, Bersani fa il pieno nei medi e grandi centri, conquistandone 22 su 26. Anche qui il Movimento 5 Stelle appare come la seconda forza politica più vincente, con 706 comuni ed una notevole concentrazione nei piccoli centri, storica area di consenso della Lega, in cui Grillo supera anche il Pd con 245 vittorie. Il Nord est si presenta come l’area più eterogenea dal punto di vista del colore politico dei comuni, dal momento che questa è l’area di forza relativa della lista Scelta civica di Monti (90 comuni vinti nel  Nord est su 102 complessivamente conquistati in Italia); inoltre qui notiamo la presenza degli autonomisti della Svp (116 comuni vinti).

Rimanendo sempre al Nord, ma spostandoci verso Ovest (Piemonte e Liguria), la situazione è più omogenea. Qui il Pd perde 42 comuni, mentre il Pdl subisce un tracollo (-929 comuni) pur restando di poco sopra i democratici. A beneficiarne è il Movimento 5 Stelle, che diventa la forza politica dominante dell’area, con ben 824 comuni vinti, il 56% del totale. Più di un comune su due nel Nord ovest ha abbracciato la proposta dell’ex comico genovese. Il dato è ancor più impressionante se pensiamo che quest’area è caratterizzata dalla presenza diffusa di un tessuto di piccolissimi comuni: ebbene, su 1413 enti inferiori ai 15.000 abitanti i grillini ne conquistano 789, una cifra incredibile per un partito privo di radicamento sul territorio, alla sua prima prova elettorale.

Infine nel Sud, in cui il Pdl nonostante le forti perdite e un dimezzamento in termini di comuni vinti, rimane la forza di maggioranza relativa, il partito di Bersani guadagna 121 comuni (da 800 a 921) e rimane la seconda forza del Mezzogiorno. Si nota tuttavia uno spostamento della forza del partito che, contrariamente al resto del paese, arretra nelle città (è primo solo in 13 comuni superiori ai 15.000, nel 2008 23) e avanza nei piccolissimi centri (con 832 vittorie è la forza dominante nei microcomuni). Il Movimento 5 Stelle, invece, vince in 902 comuni mostrando un profilo marcatamente urbano, a differenza di quanto avveniva nel Nord: qui il partito di Grillo ha la maggioranza relativa in 163 enti superiori ai 15.000 abitanti e soprattutto in 11 grandi città su 17. Infine, come già era accaduto nel 2008, è proprio nel Sud, e in particolare nei microcomuni di quest’area, che si concentrano la quasi totalità delle vittorie di alcuni piccoli partiti (Fratelli d’Italia, La Destra, Grande Sud, Udc, Centro democratico, Sel e Rivoluzione Civile).

Vincenzo Emanuele è professore associato in Scienza Politica presso la LUISS Guido Carli di Roma. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienza della Politica presso la Scuola Normale Superiore (ex SUM) di Firenze con una tesi sul processo di nazionalizzazione del voto in Europa occidentale e le sue possibili determinanti. La sua tesi ha vinto il Premio 'Enrico Melchionda' conferita alle tesi di dottorato in Scienze Politiche discusse nel triennio 2012-2014 e il Premio 'Celso Ghini' come miglior tesi di dottorato in materia elettorale del biennio 2013-2014. È membro del CISE, di ITANES (Italian National Election Studies) e del Research Network in Political Parties, Party Systems and Elections del CES (Council of European Studies). I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle elezioni e i sistemi di partito in prospettiva comparata, con particolare riferimento ai cleavages e ai processi di nazionalizzazione e istituzionalizzazione. Ha pubblicato articoli su European Journal of Political research, Comparative Political Studies, Party Politics, South European Society and Politics, Government and Opposition, Regional and Federal Studies, Journal of Contemporary European Research, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. La sua prima monografia Cleavages, institutions, and competition. Understanding vote nationalization in Western Europe (1965-2015) è edita da Rowman and Littlefield/ECPR Press (2018), mentre la seconda The deinstitutionalization of Western European party systems è edita da Palgrave Macmillan. Sulle elezioni italiane del 2018, ha curato la Special Issue di Italian Political Science ‘Who’s the winner? An analysis of the 2018 Italian general election’. Clicca qui per accedere sito internet personale. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.
Matteo Cataldi si è laureato presso la Facoltà di Scienze politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze con una tesi sulla competitività delle elezioni italiane. È stato ricercatore presso Tolomeo Studi e Ricerche e ha pubblicato articoli su Polena e Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, è co-autore di un capitolo di Terremoto elettorale (Il Mulino, 2014) e co-curatore di vari Dossier CISE e di numerose note di ricerche apparse nella serie di Dossier. Ha inoltre curato l’appendice al volume Proporzionale se vi pare (Il Mulino, 2010). I suoi interessi di ricerca comprendono lo studio del comportamento elettorale e in particolare il cambiamento della geografia del voto, anche attraverso i più recenti sviluppi degli applicativi GIS in ambito politico-sociale. È membro SISP e dello Standing Group POPE – Partiti Opinione Pubblica Elezioni.