Renzi come Blair: vince perché il popolo del Pd è stanco di perdere

di Roberto D’Alimonte          

 La democrazia è come il sesso. Non si insegna a scuola. Milioni di uomini e di donne sono lasciati soli a apprendere quali sono le sue regole. Certo, ci sono i partiti. Ma nemmeno loro hanno interesse o la capacità di svolgere questo compito. Quando va bene parlano della costituzione e dei suoi valori. Ma una cosa sono i valori su cui si fonda un regime democratico e una altra cosa è il suo funzionamento. E così la democrazia si impara per strada nelle discussioni tra gli amici, dalla lettura dei giornali, dalla TV, da internet e soprattutto dall’esito delle elezioni. Elezione dopo elezione, sconfitta dopo sconfitta la gente arriva a capire che per vincere occorre rispettare certe regole. Primo, devi andare a votare anche quando il tuo candidato preferito non è in campo. Secondo, devi avere più voti degli altri e se questi voti non ce li hai devi andare a cercarli anche a costo di qualche compromesso. Sembrano regole banali ma non lo sono affatto. Questo è quello che hanno capito milioni di elettori di sinistra la sera delle ultime elezioni, il 25 Febbraio 2013. Quella sera è morto il vecchio Pd. E si è spianata la strada della segreteria per Matteo Renzi.

E’ un film già visto. Le regole della democrazia non valgono solo in Italia. Mutatis mutandis, in Gran Bretagna è successa la stessa cosa tra il 1979 e il 1997. Il vecchio Labour è arrivato al capolinea il 9 Aprile 1992 quando non riuscì a vincere nemmeno dopo l’uscita di scena della Thatcher. Era la quarta sconfitta consecutiva. Finalmente i suoi militanti e elettori hanno fatto i conti con la realtà. Hanno capito che erano una minoranza che per tornare a vincere doveva allargare i suoi confini rinnovandosi. Questo è stato il ruolo di Blair. Detta così sembra facile ma non lo è stato per niente. Ci sono voluti quasi venti anni per apprendere la lezione.

Nel corso degli ultimi venti anni la sinistra italiana ha vinto solo una volta, nel 1996, e solo perché la destra era divisa. Nel 2001 e nel 2008 ha perso nettamente. Nel 2006 e nel 2013 non ha vinto. Nel frattempo ha continuato a perdere voti. Alle ultime elezioni la coalizione di Bersani si è fermata al 29 %, meno di Veltroni e addirittura di Occhetto (Tabella). Questa è la realtà nuda e cruda. Eppure ci sono voluti 20 anni per capire che la sinistra, così come si è organizzata dal 1989 a oggi, non ha i voti per vincere, se la destra non le dà una mano.

Per più di due decenni dentro il Pd ci si è cullati nella illusione che si potesse vincere senza cambiare, o cambiando il minimo indispensabile. Questa illusione è stata violentemente cancellata dal disastro del 25 Febbraio. La sera di quel Lunedì milioni di persone sono rimaste con il fiato sospeso e le dita incrociate mentre assistevano increduli alla rimonta di Berlusconi nello spoglio dei voti alla Camera. Alla fine il Cavaliere non ce l’ha fatta a superare Bersani. Ma solo per 125.0000 voti. Quella che doveva essere per la sinistra una vittoria netta si è ridotta a un misero vantaggio dello 0,4 % dei voti. La stessa cosa era successa sette anni prima con Prodi.

Quel restare incollati alla TV per ore a vedere quel piccolo margine assottigliarsi sempre di più è stata una dura lezione sul funzionamento della democrazia. Non sarà dimenticata facilmente. Il Pd di Bersani non è riuscito a sconfiggere nemmeno un Berlusconi dimezzato. Dal 2008 il Cavaliere ha continuato a perdere pezzi e alla fine gli è rimasta vicina solo una Lega allo sbando. E nemmeno in questo contesto così favorevole la vecchia sinistra è riuscita a vincere. E’ stato un trauma. Per di più aggravato dalle vicende successive.

E’ allora che, prima inconsciamente e poi sempre più consapevolmente, Il popolo di sinistra ha finalmente deciso di voler vincere e che per farlo doveva accettare Renzi. Entrambe le cose non sono scontate. La voglia di vincere non è un assioma. Ci sono ancora tanti elettori di sinistra che pur di non vincere con Renzi preferiscono perdere. E ce ne sono altri che ancora pensano di poter vincere senza Renzi. Ma la maggioranza oggi è arrivata alla conclusione, per convinzione o per rassegnazione, che Renzi sia la carta da giocare alle prossime elezioni. Ed è vero. Tutti i dati dicono inequivocabilmente che Renzi è l’unico candidato del Pd che può allargare i confini della sinistra andando a prendersi i voti sia tra gli incerti e i delusi sia tra coloro che a Febbraio hanno votato Grillo o Berlusconi. E’ l’unico. Perfino i vecchi militanti del PCI lo hanno capito. Per questo affollano le feste del partito per andare a sentire quello che una volta era il marziano e oggi sembra essere diventato il salvatore.

Solo così si può spiegare quello che fino a pochi mesi fa era assolutamente impensabile: Renzi segretario del Pd. Il nuovo Pd. Quanto nuovo si vedrà. Intanto, a pensarci bene, la cosa è così straordinaria che fa sorridere. Improvvisamente, invece di dover conquistare il partito dall’esterno con il rischio di spaccarlo, Renzi ne diventerà probabilmente il segretario, e non solo il candidato-premier, dall’interno con il consenso di buona parte dell’apparato. Che poi riesca a fare la rivoluzione che ha annunciato e di cui l’Italia ha bisogno è tutto da vedere. Molti ci credono. La voglia di novità, di voltar pagina è tanta. Da tempo è così. Prima Berlusconi e più di recente Grillo ne sono stati i beneficiari. Adesso tocca a Renzi. Molti sono pronti a dargli una chance. Questo è il bello della democrazia. I leader si provano. Se non funzionano si cambiano.

Pubblicato su Il Sole 24 Ore dell’8 settembre

Roberto D’Alimonte (1947) è professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano. Dal 1974 fino al 2009 ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato come visiting professor nelle Università di Yale e Stanford. Collabora con il centro della New York University a Firenze. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano i sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto in Italia. A partire dal 1993 ha coordinato con Stefano Bartolini e Alessandro Chiaramonte un gruppo di ricerca su elezioni e trasformazione del sistema partitico italiano. I risultati sono stati pubblicati in una collana di volumi editi da Il Mulino: Maggioritario ma non troppo. Le elezioni del 1994; Maggioritario per caso. Le elezioni del 1996; Maggioritario finalmente? Le elezioni del 2001; Proporzionale ma non solo. Le elezioni del 2006; Proporzionale se vi pare. Le elezioni del 2008. Tra le sue pubblicazioni ci sono articoli apparsi su West European Politics, Party Politics, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. E’ membro di ITANES (Italian National Election Studies). E’ editorialista de IlSole24Ore. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.