I risultati elettorali: il Pd dalla vocazione all’affermazione maggioritaria

di Nicola Maggini

 

Il risultato delle elezioni europee è inequivocabile: il Pd di Matteo Renzi ha vinto in maniera netta raggiungendo la percentuale “record” del 40,8%. Mai nessun partito di centrosinistra aveva ottenuto una percentuale simile. E in generale il Pd è il partito italiano che ha ottenuto la miglior percentuale di sempre da quando si vota per il Parlamento Europeo (ossia dal 1979). E se si guarda alle elezioni politiche, solo De Gasperi nel ‘48 e Fanfani nel ’58 avevano ottenuto vittorie elettorali migliori in termini percentuali. Il discorso è ovviamente diverso se si guarda ai valori assoluti: ad esempio il Pd in queste europee ha ottenuto un milione circa di voti in meno rispetto al Pd di Veltroni nel 2008 (che in termini percentuali si era fermato al 33,2%). Ma in quel caso si trattava di elezioni politiche con un’affluenza pari all’80,5%, mentre a queste europee l’affluenza è stata sul territorio nazionale del 58,7%. Quando la differenza in termini di partecipazione è così alta, il dato percentuale è l’indicatore più appropriato per valutare la performance elettorale di un partito in termini relativi. La disaggregazione dei risultati elettorali per area geopolitica[1] (Tabella 1) rivela alcuni dati interessanti. Il Pd per la prima volta mostra una forza elettorale abbastanza omogenea a livello nazionale: se  è vero che il Pd, come da tradizione, ottiene la migliore percentuale nella (ex) Zona Rossa[2] con il 52,5% (al cui interno spicca il 56,4% ottenuto in Toscana), tuttavia il Pd raggiunge percentuali superiori al 35% anche nelle altre zone geopolitiche. In particolare ottiene il 41,1% nel Nord-Ovest, il 39,1% nel Nord-Est e il 36% al Sud (la zona dove va peggio). Se è vero che il Pd resta sovra-rappresentato nelle regioni della Zona Rossa e sotto-rappresentato al Sud, si deve tuttavia notare l’ottima performance registrata nelle regioni settentrionali. In particolare non era mai successo che il Pd risultasse il primo partito nell’Italia nord-orientale, ossia nella ex zona bianca del paese, dominata nella prima repubblica dalla Dc e nella seconda dal “forzaleghismo” (Berselli 2007). Nel Nord-Est invece il Pd è risultato il primo partito e da solo ha preso più voti di quanti ne abbiano presi insieme tutti i partiti del centrodestra: 39,1 % contro 35,3 %.

    A questo punto occorre confrontare il risultato del Pd con quello ottenuto dagli altri due principali partiti italiani: il M5S di Beppe Grillo e Forza Italia di Silvio Berlusconi. Il movimento di Grillo ha ottenuto il 21,2% a livello nazionale e la zona del paese dove è andato meglio è il Sud dove ha ottenuto il 25%. In particolare il M5S è andato particolarmente bene in Abruzzo (29,7%), nel Molise (27,3%) e nell’Italia insulare, ottenendo il 30,5% in Sardegna e il 26,3% in Sicilia. Nel Nord-Ovest ha ottenuto il 22,7%, mentre le zone dove il M5S è andato peggio sono la Zona Rossa (19,1%) e soprattutto il Nord-Est (17%). Per quanto riguarda Forza Italia, il partito di Berlusconi ha ottenuto quasi il 17% a livello nazionale, con una distribuzione territoriale del voto più simile al M5S che al Pd. Anche Forza Italia, come il movimento di Grillo, ottiene la sua percentuale migliore, ossia il 20,6%, al Sud: in particolare buone percentuali vengono raggiunte dal partito di Berlusconi in Campania (quasi il 24%), in Puglia (23,5%), nel Molise (23,4%) e in Sicilia (21,3%). Per quanto riguarda le altre zone geopolitiche, Forza Italia nella Zona Rossa è oramai divenuto un partito di medie dimensioni (12,2%), ma non va bene neanche nel Nord-Ovest (15,2%) e nel Nord-Est (15,6%). Il dato del Nord-Est è significativo perché comprende il lombardo-veneto, ossia la zona economicamente più dinamica del paese che in passato era stata una delle zone di forza elettorale del partito di Berlusconi. In quest’area del paese né Forza Italia né il M5S ottengono percentuali soddisfacenti. L’analisi della distribuzione territoriale del voto ci mostra quindi che sia Forza Italia sia il M5S sono partiti caratterizzati da una meridionalizzazione del loro elettorato rispetto al Pd di Renzi. Per quanto riguarda gli altri partiti, solo la Lega Nord di Matteo Salvini, il Nuovo Centrodestra-Udc e la lista Un’altra Europa con Tsipras hanno superato la soglia del 4% ottenendo seggi nel Parlamento Europeo. La Lega, cavalcando posizioni euroscettiche simili a quelle cha hanno portato al successo del Front National di Marine Le Pen in Francia e dello Ukip di Nigel Farage in Gran Bretagna, ha ottenuto un buon 6,2% a livello nazionale così distribuito nelle diverse aree del paese: 7,1% nel Nord-Ovest; 14,1% nel Nord-Est (raggiungendo quasi il 20% in Veneto); 3,6% nella Zona Rossa e 1% al Sud (dove comunque si è presentata e ha raccolto voti). L’Ncd-Udc ha preso il 4,4% a livello nazionale, grazie soprattutto alla sua forza al Sud dove ha ottenuto il 6,2%, mentre la lista Un’altra Europa con Tsipras con il 4% è riuscita ad ottenere eletti ed è il partito più nazionale grazie a una distribuzione del voto molto omogenea tra le diverse zone geopolitiche del paese.

Tab. 1 – I risultati elettorali alle europee 2014 disaggregati per zona geopolitica, in valori assoluti e percentuali

   

Per avere un quadro ancora più completo del risultato di queste elezioni europee, si è deciso di procedere al confronto tra i voti ottenuti dai principali partiti in queste elezioni europee e i voti ottenuti nelle precedenti elezioni europee del 2009 e alle politiche del 2013, riportando nelle tabelle 2 e 3 sia i valori assoluti che le variazioni percentuali, disaggregate per zona geopolitica. Tra il 2009 e il 2014 il sistema partitico italiano è profondamente mutato: sulla scena sono entrati nuovi attori politici, in primis il M5S e altri partiti hanno cambiato nome, altri sono sorti da scissioni e così via. Ad esempio l’Ncd di Alfano è nato da una scissione del Pdl (poi tornato a chiamarsi Forza Italia) e alle recenti europee si è presentato in alleanza elettorale con l’Udc. Per procedere al confronto, si è pertanto deciso di riaggregare alcuni partiti dello stesso blocco politico (Chiaramonte 2007) prendendo come punto di riferimento l’offerta politica alle europee del 2014. Pertanto i voti di Forza Italia delle recenti europee sono stati sommati ai voti dell’Ncd-Udc: in questa maniera si può comparare i voti dell’area allargata di Forza Italia con quelli ottenuti in passato dal Pdl e dall’Udc[3]. Una procedura analoga è stata seguita nel caso di Scelta Europea, ossia un cartello elettorale a sostegno del candidato dell’Alde alla Commissione UE Guy Verhorstadt composto da Centro Democratico, Fare per Fermare il Declino e Scelta Civica. Pertanto i voti di Scelta Europea sono stati confrontati con la somma dei voti ottenuti alle elezioni politiche del 2013 dai partiti che hanno dato vita a questo cartello elettorale (con l’aggiunta dei voti di Fli, alleato di Monti nel 2013). Infine l’ultimo aggregato di partiti è quello dei partiti a sinistra del Pd, composto dalla somma dei voti di Un’altra Europa con Tsipras, Verdi ed Idv[4].

 

Tab. 2 – Perdite e guadagni dei principali partiti disaggregati per zona geopolitica, europee 2014 e politiche 2013 (valori assoluti e variazioni percentuali)


Tab. 3 – Perdite e guadagni dei principali partiti disaggregati per zona geopolitica, europee 2014 ed europee 2009 (valori assoluti e variazioni percentuali)

Nelle elezioni politiche dell’anno scorso l’affluenza è stata del 75,2%. In queste europee, come detto in precedenza, la partecipazione al voto si è fermata sotto al 60%. Sono quindi rimasti a casa quasi 6,5 milioni di elettori. Ciononostante, il Pd di Renzi non solo ha migliorato la propria performance in termini percentuali passando dal 25,4% al 40,8%, ma ha addirittura preso circa 2,5 milioni di voti in più. Con un calo così marcato dell’affluenza, sarebbe bastato che Renzi avesse preso gli stessi voti di Bersani per avere una percentuale di voti più alta. Invece ne ha presi di più. Da qui il successo “storico” del Pd, che ha distanziato il partito arrivato secondo (il M5S) di circa 20 punti percentuali. Rispetto ai voti ottenuti alle politiche, quindi, il Pd ha incrementato il proprio elettorato del 29,3%. La zona dove il Pd ha registrato l’incremento migliore è stato il Nord-Est, dove il partito di Renzi ha aumentato i propri voti del 36,3% rispetto alle politiche. Ancora una volta si deve sottolineare quindi l’ottima performance elettorale del Pd nella zona produttiva del paese, dove in passato la sinistra non aveva mai “sfondato” in termini elettorali. Al Sud invece l’incremento è stato del 21,9%, meno che nelle altre aree del paese. Se il termine di paragone sono le europee del 2009, il miglioramento del Pd è stato ancora più netto, prendendo oltre 3 milioni di voti in più (+40%). E ancora una volta è il Nord-Est la zona dove l’incremento di voti è più marcato, pari al 66,7% dei suoi consensi del 2009.

     Il M5S ha perso invece quasi 3 milioni di voti per strada rispetto alle politiche, ossia il 33,3% dei suoi consensi del 2013. Il Nord-Ovest è la zona del paese dove l’arretramento del M5S è stato nettamente più marcato: in questa aerea del paese 308.937 elettori hanno abbandonato il partito di Grillo, ossia il 44,3% di chi aveva votato il M5S nella parte nord-occidentale del paese. Le perdite minori si sono invece registrate al Sud (-31,6%). L’area allargata di Forza Italia (Fi + Ncd-Udc), rispetto alle politiche del 2013, ha perso quasi 2 milioni e mezzo di voti, ossia il 29% del suo elettorato nel 2013. Le perdite maggiori si registrano in questo caso al Sud, con un decremento pari 32,1%. Se il Sud è la Zona del paese dove questo blocco di centrodestra ottiene le percentuali migliori, è però anche la zona dove subisce le defezioni maggiori rispetto alle scorse politiche. Se il termine di paragone sono le europee del 2009, il peggioramento è stato ancora più netto, lasciando per strada quasi 7 milioni di voti (-54,5%). In questo caso l’area allargata di Forza Italia subisce le perdite maggiori, pari al 62%, nella Zona Rossa.

     Tra gli altri partiti solo la Lega può essere soddisfatta. Ha aumentato i suoi voti sia in percentuale che in valori assoluti, rispettivamente più 2,1 punti percentuali e più 300.000 voti, ossia un incremento del 21,3% rispetto ai suoi elettori del 2013. In particolare è al centro (+109,1%) e al Sud (+306,3%) che il partito di Salvini registra gli incrementi maggiori, pur attestandosi in queste zone su percentuali di voto comunque basse. Può essere in ogni caso un segnale di come la campagna anti-euro della Lega sia servita a farla uscire dalle proprie zone di tradizionale radicamento, utilizzando una issue spendibile a livello nazionale e non solo regionale. Anche Fratelli d’Italia-An di Giorgia Meloni ha fatto la campagna elettorale puntando sull’euroscetticismo, non riuscendo però a raggiungere la soglia del 4% (fermandosi al 3,7%). Tuttavia ha aumentato i propri voti rispetto alle politiche del 2013 (+50,7%), con gli incrementi maggiori nel Nord-Est (+68,9%) e nella zona Rossa (+63,7%).

    Tra gli altri partiti le perdite più pesanti riguardano Scelta Europea che ha preso solo 200.000 voti, lasciando per strada più di tre milioni di voti rispetto alle politiche, ossia il 94,4% del suo elettorato, con una débâcle totale nel Nord-Ovest. Anche l’aggregato della sinistra radicale ha perso il 17,6% dei suoi elettori rispetto alle politiche, registrando le perdite maggiori al Sud (-35,9%), mentre nel Nord-Ovest aumenta i propri voti (+2,7%). Se il termine di paragone sono le europee del 2009, le perdite sono state ancora più nette, lasciando per strada quasi 3 milioni di voti (-65,5%).

 

Fig. 1 – Perdite e guadagni 2014-2013 in valore assoluto

  

Le perdite e i guadagni dei vari partiti tra politiche ed europee in termini assoluti sono riportate per facilitare il lettore anche nella Figura 1, da cui il successo del Pd risulta ancora una volta più evidente. E tale successo si è verificato in un contesto elettorale che non era favorevole al Pd. Infatti le elezioni europee sono “second order elections” (Reif e Schmitt 1980), in cui la posta in gioco è minore (o è percepita come tale) rispetto alle elezioni politiche (quando invece in palio c’è il governo del proprio paese) e gli elettori si sentono più liberi nelle loro scelte elettorali, nel caso punendo nelle urne i partiti di riferimento quando si ritiene che non stiano svolgendo un’azione politica efficace e consona alle proprie aspettative. Secondo questa prospettiva, quindi, le elezioni per il PE sono un’arena elettorale particolarmente favorevole per i partiti all’opposizione e per quelli di protesta, mentre i partiti al governo (come il Pd) di solito sono svantaggiati in base alla teoria del ciclo elettorale (Reif e Schmitt 1980; van der Eijk e Franklin 1996), a meno che le europee non si tengano a ridosso delle ultime elezioni politiche, quando il governo è di solito ancora in “luna di miele” con il proprio elettorato. Da questo punto di vista è vero che il governo Renzi si è insediato da poco più di due mesi ed è ancora in una fase in cui riscuote una grande fiducia, ma allo stesso tempo Renzi portava il “peccato originale” di essere arrivato al governo senza passare dalla legittimazione del voto popolare, in una fase per di più di crisi economica ed alta disoccupazione. Nel resto d’Europa la teoria sulle elezioni di secondo ordine è stata confermata dal momento che i partiti di governo sono andati male (con la parziale eccezione della Cdu di Angela Merkel). Da noi è stato il contrario. Non solo il Pd ha vinto, ma ha incrementato i propri voti rispetto alle politiche divenendo il primo partito in termini di seggi all’interno del Partito Socialista Europeo (31 seggi su 191 del PSE, ossia il 16% del partito europeo di riferimento) e il primo partito in Europa in valori assoluti. Il paradosso italiano è che allo stesso tempo il M5S, che rispetto alle politiche ha perso quasi tre milioni voti in un’arena elettorale potenzialmente favorevole come quella delle europee in base alla teoria delle elezioni di secondo ordine, è comunque risultato, in valori assoluti, il primo partito anti-establishment in Europa. Sicuramente quindi l’Italia rappresenta un caso interessante e peculiare nel contesto europeo. La schiacciante e “storica” vittoria elettorale del Pd rappresenta una forte legittimazione per il governo di Matteo Renzi, che ha saputo condurre il Pd a un risultato sopra le attese. Questo non significa che il Pd ha prenotato la vittoria alle prossime elezioni politiche. Come le ultime elezioni del 2013 hanno dimostrato, l’incertezza e la volatilità elettorale è il tratto saliente della politica italiana ai nostri giorni. I voti, una volta presi, vanno mantenuti e questo dipenderà dall’efficacia dell’azione di governo e dalla sua capacità riformatrice.


[1] Le zone in questione sono il Nord-Ovest (Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta), il Nord-Est (Lombardia, Veneto, Friuli V. G. e Trentino A. A.), la Zona Rossa (Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria) e il Sud (Lazio, Molise, Abruzzo, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna).

[2] Per un approfondimento sulle caratteristiche della subcultura rossa e sul comportamento elettorale delle regioni che ne fanno parte si veda Baccetti e Messina (2009), Diamanti (2010), Floridia (2010) e De Sio (2011).

[3] In particolare, alle europee del 2009 si considera la somma dei voti di Pdl e Udc, alle politiche del 2013 la somma dei voti di Pdl, Udc, Grande Sud e Mir (questi ultimi due partiti hanno presentato propri esponenti all’interno delle liste di Forza Italia alle Europee del 2014).

[4] Alle europee del 2009 questo aggregato corrisponde alla somma dei voti di Prc e Comunisti Italiani, Sinistra e Libertà, Idv; alle politiche del 2013 corrisponde alla somma dei voti di Sel e Rivoluzione Civile.

Nicola Maggini è ricercatore in scienza politica. È membro del laboratorio di ricerca spsTREND "Hans Schadee" presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano, del CISE (Centro Italiano Studi Elettorali) e di ITANES (Italian National Election Study). In precedenza è stato Jean Monnet Fellow presso lo Schuman Centre for Advanced Studies dell’Istituto Universitario Europeo e ha partecipato a due progetti di ricerca europei Horizon 2020: Sirius-Skills and Integration of Migrants, Refugees and Asylum Applicants in European Labour Markets e TransSol-Transnational solidarity at times of crisis. Si è addottorato, con lode, in Scienza della Politica all’Istituto Italiano di Scienze Umane nel marzo 2012. Ha pubblicato articoli in diverse riviste scientifiche italiane e internazionali, tra cui European Political Science Review, Journal of Common Market Studies, West European Politics, American Behavioral Scientist, South European Society and Politics, Italian Political Science Review, Journal of Contemporary European Research, Quality & Quantity, Italian Political Science, Italian Journal of Electoral Studies, International Sociology e Quaderni di Scienza Politica. Ha pubblicato, per Palgrave MacMillan, il libro Young People’s Voting Behaviour in Europe. A Comparative Perspective (Palgrave Macmillan, 2016). È inoltre coautore di diversi capitoli in volumi collettanei e ha co-curato numerosi volumi della serie dei Dossier CISE. Ha curato (con Andrea Pedrazzani) Come siamo cambiati? Opinioni, orientamenti politici, preferenze di voto alla prova della pandemia (Fondazione Feltrinelli, 2021). Infine, è autore di diverse note di ricerca pubblicate nella serie dei Dossier CISE. I suoi interessi di ricerca si concentrano sullo studio degli atteggiamenti e comportamenti socio-politici, dei sistemi elettorali, del comportamento di voto e della competizione partitica in prospettiva comparata.