L’avanzata elettorale della destra populista ed euroscettica

 di Nicola Maggini

 

 

Le elezioni europee del 2014 si sono ormai concluse con la conseguente ripartizione dei seggi tra i vari partiti a livello nazionale. I partiti nazionali poi dovranno costituirsi in gruppi politici[1] all’interno del Parlamento Europeo (PE). Nel presente articolo analizziamo innanzitutto il risultato elettorale dei partiti che nello scorso PE facevano parte del Gruppo Europa della Libertà e della Democrazia-Europe of Freedom and Democracy (EFD), gruppo politico che raccoglie all’interno del PE i partiti della destra populista ed euroscettica, se non esplicitamente anti-euro ed anti-UE (Taggart 1998; Taggart e Szczerbiak 2004; Szczerbiak e Taggart 2008). Come si può vedere dalla Figura 1, l’EFD ha ottenuto 38 seggi[2] su 751 (ossia il 5,1% dei seggi del PE), incrementando di 7 seggi la propria consistenza parlamentare rispetto alle elezioni del 2009 (quando ottenne 31 seggi).

 

Fig. 1 – Seggi nel Parlamento Europeo dell’eurogruppo Europe of Freedom and Democracy (2009 e 2014).

Come abbiamo visto in un precedente articolo, l’EFD è nato come gruppo politico il 1 luglio 2009 e nelle scorsa legislatura era composto da 13 partiti di 12 Stati membri dell’UE. In particolare, i partiti più importanti erano la Lega Nord, lo United Kingdom Independence Party (UKIP), gli ultra-conservatori greci del Raggruppamento Popolare Ortodosso (LAOS), il Partito del Popolo Danese, il Movimento per la Francia, il Partito Politico Riformato d’Olanda (SGP), il Partito dei Finlandesi (in precedenza noto come Veri Finlandesi) e il Partito Nazionale Slovacco. Oggi i partiti dell’EFD che hanno ottenuto seggi sono passati[3] da 13 a 6, appartenenti ad altrettanti paesi diversi (vedi Tab. 1). All’interno dell’EFD, il partito che ha conquistato più seggi (24) è stato lo UKIP di Nigel Farage che ha conquistato il 27,4% dei consensi divenendo il primo partito in Gran Bretagna e incrementando i propri voti di ben 11 punti percentuali rispetto al 2009 (e di 11 seggi la propria presenza nel PE). Uno degli obiettivi del partito di Farage è indire un referendum per far uscire la Gran Bretagna dall’UE. La seconda delegazione nazionale con 5 seggi all’interno dell’EFD è la Lega Nord di Matteo Salvini che ha ottenuto un soddisfacente 6,2%, perdendo però 4 punti percentuali e 3 seggi rispetto alle europee del 2009. Il Partito del Popolo Danese è la terza delegazione nazionale con 4 seggi (3 seggi in più rispetto al 2009) e con il 26,6% è diventato il primo partito in Danimarca, con un incremento di ben 11,8 punti percentuali rispetto al 2009. Due seggi a testa vanno al lituano Ordine e Giustizia (che mantiene gli stessi seggi del 2009 e col 14,3% aumenta di 2,1 punti percentuali i propri consensi) e al Partito Finlandese che si attesta al 12,9%, guadagnando un seggio pur perdendo 1,1 punti percentuali rispetto alle precedenti europee. Infine, il cartello elettorale olandese composto da Partito Politico Riformato e Unione Cristiana (SGP-CU) ottiene col 7,6% dei voti 2 seggi come nel 2009, di cui uno (quello dell’SGP) appartiene all’EFD.

 

Tab. 1 – Risultati elettorali dei partiti dell’EFD che hanno ottenuto seggi nei paesi membri dell’UE alle elezioni europee (scarti in voti e seggi tra 2009 e 2014).

     Come si è visto in un precedente articolo, la maggior parte dei partiti dell’EFD fanno parte dell’europartito Movimento per un’Europa della Libertà e della Democrazia – Movement for a Europe of Liberties and Democracy (MELD), eccetto lo UKIP. Anche la Lega Nord non fa più parte del MELD, ma dell’europartito Alleanza Europea per la Libertà – The European Alliance for Freedom (EAF), composto da partiti della destra populista ed anti-UE come il francese Front National di Marine Le Pen, il fiammingo Vlaams Belang, il Partito della Libertà Austriaco (FPÖ),  il Partito per la Libertà (PVV) dell’olandese Geert Wilders (tutti partiti non iscritti ad alcun gruppo nel PE),  e i Democratici Svedesi (che fino alle europee del 2014 non aveva eletti nel PE). Alternativa per la Germania (AFD) ha ottenuto 7 seggi col 7% dei voti, ma ha rifiutato di aderire alla nuova alleanza e forse entrerà nel gruppo European Conservatives and Reformists (ECR), mentre i partiti nazionalisti europei più radicali e antisemiti come il Partito Nazionale Democratico di Germania, la greca Alba Dorata e l’ungherese Jobbik non sono stati autorizzati a far parte dell’alleanza. D’altronde in questa sede non ci occupiamo dei partiti della destra radicale e neofascista. Il minimo comune denominatore dei partiti aderenti al MELD e all’EAF è costituito dall’orientamento politico conservatore e xenofobo, dall’avversione nei confronti dell’Europa e dal populismo (Mudde 2007; Pirro e van Kessel 2013). La sfida populista viene spesso lanciata da un Leader carismatico che si considera a capo di un Popolo ritenuto depositario di ogni virtù, contro un Palazzo ritenuto albergo di ogni vizio (Tarchi 2003).

     Nella Tabella 2 riportiamo i risultati dei partiti dell’EAF non facenti parte al momento di nessun gruppo nel PE, mostrando gli scarti in seggi e in voti (in termini percentuali) rispetto alle precedenti elezioni europee. Non si considerano i partiti che non hanno ottenuto seggi. Il partito che ha conquistato più seggi (24) è stato il Front National di Marine Le Pen: con il 25% dei suffragi è divenuto il primo partito in Francia superando gollisti e socialisti e incrementando i propri voti di ben 18,6 punti percentuali rispetto al 2009 (e di 21 seggi la propria presenza nel PE). Bene è andato anche l’FPÖ austriaco che col 19,7% ha conquistato 4 seggi (2 seggi in più rispetto al 2009), incrementando i propri consensi di 7 punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni europee. I Democratici Svedesi (SD), con le loro posizioni euroscettiche e anti-immigrazione, hanno ottenuto il 9,7% dei voti, entrando così nel Parlamento Europeo – per la prima volta – con due seggi. In Olanda il partito populista PVV dell’eurofobo Geert Wilders ha registrato una flessione di 3,5 punti percentuali rispetto alle elezioni europee del 2009 (scendendo al 13,3%) mandando comunque 4 rappresentanti al prossimo Parlamento Europeo, così come era accaduto nel 2009. Infine, in Belgio il partito della destra populista fiamminga Vlaams Belang ha subito rispetto al 2009 una netta flessione di 9,1 punti percentuali, riuscendo col 6,8% a strappare un seggio.

      Sommando i seggi di questi partiti dell’EAF non iscritti ad alcun gruppo con quelli dell’eurogruppo dell’EFD, la destra populista ed euroscettica consta di 73 seggi nel PE (senza includere i partiti euroscettici più moderati che confluiranno nell’ECR o all’opposto quelli dell’estrema destra neofascista). Oltre ai 73 seggi appena menzionati, si deve considerare anche i 4 eurodeputati delle Nuova Destra polacca di Korwin Mikke eletti per la prima volta nel PE dopo aver ottenuto un lusinghiero 7,2% dei suffragi, i due seggi conquistati dai nazionalisti bulgari del nuovo partito Bulgaria Senza Cesura (BBT) che hanno raccolto oltre il 10% dei voti e infine il seggio conquistato dai Greci Indipendenti (ANEL) col 3,5% dei voti. In questa maniera la destra populista ed euroscettica può contare su un’ottantina di eurodeputati.

Tab. 2 – Risultati elettorali dei partiti dell’EAF (non iscritti a gruppi) nei paesi in cui hanno ottenuto seggi alle elezioni europee (scarti in voti e seggi tra 2009 e 2014).

All’indomani delle elezioni, Marine Le Pen si è ritrovata a Bruxelles con il leghista Matteo Salvini, l’olandese Geert Wilders del PVV, i delegati del FPÖ austriaco, dei Democratici Svedesi e del Vlaams Belang fiammingo. L’obiettivo è di dar vita all’Alleanza per la Libertà, il nuovo gruppo parlamentare euroscettico che la Le Pen aveva già anticipato nel marzo scorso. La novità consiste nell’apertura ai movimenti nazionalisti dell’Est Europa e nella definizione di una serie di iniziative congiunte tra cui la richiesta di indire i referendum anti-euro in ciascun Paese e il blocco del Trattato di Libero Scambio UE-USA. Però l’euroscetticismo non ha portato tutti i consensi che lei auspicava. Al di là degli indubbi successi del Front National, dell’ottimo risultato del FPÖ e dei buoni risultati dei Democratici Svedesi e della Lega Nord, gli altri alleati della Le Pen si sono visti fortemente ridimensionati. Niente da fare, poi, per i nazionalisti slovacchi che non sono riusciti ad ottenere alcun seggio parlamentare. Come si è detto in precedenza, per creare un gruppo a Strasburgo si rendono necessari almeno 25 europarlamentari eletti in almeno sette Stati membri. E Marine Le Pen non li ha. O per meglio dire, può contare su 35 eletti ma solo in sei nazioni. Nigel Farage, con il suo UKIP primo assoluto in Gran Bretagna, ha rifiutato l’apparentamento. A questo punto le sole strade percorribili sono rimaste quelle dei Paesi dell’Est. Pronti a entrare nell’Alleanza per la Libertà sarebbero gli europarlamentari della Nuova Destra polacca di Korwin Mikke, i nazionalisti bulgari e alcuni indipendenti eletti in Ungheria tra le fila del partito Fidesz di Viktor Orban. Tutto è ancora in trattativa e niente è definitivo. In ogni caso sulle singole iniziative parlamentari questo gruppo di partiti potrà godere dell’appoggio degli europarlamentari dell’EFD capitanati da Farage, il quale a sua volta sta cercando di stringere un’alleanza con il M5S di Beppe Grillo. (Diazepam)

     In conclusione, le recenti elezioni europee hanno rappresentato nel complesso un momento di avanzata elettorale per i partiti della destra populista anti-europeista, anche se tale avanzata non è avvenuta in maniera uniforme all’interno della UE. In alcuni paesi, come si è visto, i partiti della destra euroscettica sono al contrario arretrati rispetto al 2009.  Nel complesso comunque, anche considerando il solo gruppo dell’EFD, la presenza nel PE di questo tipo di partiti si è senza dubbio rafforzata. Tutto ciò si spiega da un lato con il fatto che le elezioni europee costituiscono un contesto tradizionalmente favorevole per i partiti di opposizione e di protesta in base alla teoria delle “second order elections” (Reif e Schmitt 1980), secondo cui alle europee la posta in gioco è minore (o è percepita come tale) rispetto alle elezioni politiche (quando invece in palio c’è il governo del proprio paese) e gli elettori si sentono più liberi nelle loro scelte elettorali, nel caso punendo nelle urne i partiti tradizionali di riferimento quando si ritiene che non stiano svolgendo un’azione politica efficace e consona alle proprie aspettative. Dall’altro lato, sulla scia della più dura crisi economica dalla seconda guerra mondiale, in diversi paesi europei vi è stato un aumento dei partiti anti-establishment che apertamente si oppongono alle politiche di austerità dell’UE e all’integrazione europea. Le tematiche riguardanti l’Unione Europea sono state poste al centro della campagna elettorale soprattutto dai partiti euroscettici: in questa maniera, raccogliendo molti voti in Europa contro l’Europa, questi partiti hanno reso queste elezioni più vicine ad elezioni di primo ordine.  

 


 

[1] La sovrapposizione tra gruppo e partito europeo non è totale, come sottolineato da Bardi (2002). Alcuni partiti nazionali fanno parte di un gruppo parlamentare nel PE pur non essendo membri dell’europartito.

[2] Si ricorda che ciascun gruppo politico deve essere composto da 25 eurodeputati provenienti da almeno 7 Stati membri. Al momento l’EFD raccoglie deputati da 6 paesi: per continuare ad esistere deve provare a far iscrivere al gruppo almeno un eurodeputato di un paese diverso dai sei paesi attuali.

[3] Tra gli esclusi eccellenti ci sono i cristiano ortodossi greci del LAOS e il Partito Nazionale Slovacco.

Nicola Maggini è ricercatore in scienza politica. È membro del laboratorio di ricerca spsTREND "Hans Schadee" presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano, del CISE (Centro Italiano Studi Elettorali) e di ITANES (Italian National Election Study). In precedenza è stato Jean Monnet Fellow presso lo Schuman Centre for Advanced Studies dell’Istituto Universitario Europeo e ha partecipato a due progetti di ricerca europei Horizon 2020: Sirius-Skills and Integration of Migrants, Refugees and Asylum Applicants in European Labour Markets e TransSol-Transnational solidarity at times of crisis. Si è addottorato, con lode, in Scienza della Politica all’Istituto Italiano di Scienze Umane nel marzo 2012. Ha pubblicato articoli in diverse riviste scientifiche italiane e internazionali, tra cui European Political Science Review, Journal of Common Market Studies, West European Politics, American Behavioral Scientist, South European Society and Politics, Italian Political Science Review, Journal of Contemporary European Research, Quality & Quantity, Italian Political Science, Italian Journal of Electoral Studies, International Sociology e Quaderni di Scienza Politica. Ha pubblicato, per Palgrave MacMillan, il libro Young People’s Voting Behaviour in Europe. A Comparative Perspective (Palgrave Macmillan, 2016). È inoltre coautore di diversi capitoli in volumi collettanei e ha co-curato numerosi volumi della serie dei Dossier CISE. Ha curato (con Andrea Pedrazzani) Come siamo cambiati? Opinioni, orientamenti politici, preferenze di voto alla prova della pandemia (Fondazione Feltrinelli, 2021). Infine, è autore di diverse note di ricerca pubblicate nella serie dei Dossier CISE. I suoi interessi di ricerca si concentrano sullo studio degli atteggiamenti e comportamenti socio-politici, dei sistemi elettorali, del comportamento di voto e della competizione partitica in prospettiva comparata.