Sette sistemi per sette regioni: le caratteristiche dei sistemi elettorali

di Aldo Paparo

In questo articolo descriviamo in dettaglio le caratteristiche dei sistemi elettorali con cui si vota nelle sette regioni chiamate alle urne in questa tornata. Come abbiamo già visto, ciascuna regione adotta un sistema diverso dalle altre, anche se tutti poggiano su una base in qualche misura comune.

Per prima cosa, tutti i sistemi elettorali prevedono l’elezione diretta del Presidente della regione, ma in Toscana è possibile che ciò non accada in un turno unico. Se infatti nessun candidato otterrà il 40% dei voti nell’arena maggioritaria si procederà al ballottaggio. Nelle altre sei regioni, invece, il candidato più votato sarà immediatamente eletto Presidente (e consigliere).

Inoltre, guardando a come eleggono il Consiglio, sono tutti sistemi elettorali misti, anche se con rilevanti differenze. In particolare, in Liguria e nelle Marche il sistema non è majority assuring. Nel primo caso, infatti, non è mai stata approvata una legge elettorale regionale e si vota ancora con la legge Tatarella. Come però questa è residuata per effetto di sentenze della Corte Costituzionale: in particolare è stata dichiarata illegittima la possibilità che scattino i seggi aggiuntivi per garantire in ogni caso la maggioranza in Consiglio al vincitore, anche quando il premio del listino regionale non dovesse essere sufficiente[1]. Quindi il Presidente eletto ottiene sì un premio, pari a 6 seggi sui 30 totali del Consiglio; ma se la sua coalizione ne ha raccolti meno di 9 sui 24 distribuiti proporzionalmente, non potrà contare su una maggioranza autonoma[2].

Si legge che occorrerebbe il 35% dei voti per ottenere un numero di seggi sufficienti a governare da soli in virtù del premio, ma in realtà è piuttosto complicato calcolare con precisione questa soglia. Per come funziona il sistema elettorale, infatti, potrebbe essere anche più bassa di diversi punti se ci fosse una quota consistente di voti dispersi su liste che non arrivano al 3-4%. Ad ogni modo, il sistema elettorale ligure è certamente un unicum all’interno dei sette sistemi regionali. Infatti appartiene ai sistemi misti del tipo maggioritario a membro misto, secondo la tipologia di Chiaramonte (2005), mentre tutti gli altri sono sistemi misti del tipo proporzionale con premio di maggioranza, anche se con premi assai diversi diversi fra loro per entità e meccanismi.

Cominciamo dalle Marche, l’altra regione che non garantisce al vincitore una maggioranza in Consiglio: qui il premio è infatti eventuale. Se la coalizione del candidato vincitore ha raccolto meno del 34% dei voti, infatti, la distribuzione dei seggi avviene con un sistema proporzionale puro. Il premio è inoltre variabile. Se il vincitore è stato votato fra il 34 e il 37%, il premio è appena superiore al 53% dei seggi: 16 su 30. Se invece il risultato del Presidente eletto è compreso fra il 37 e il 40% il premio è pari a 17 seggi (57%). Il premio è del 60% (18 seggi) se il vincitore ha ottenuto almeno il 40%.

Variabili – ma non eventuali – sono anche i premi di maggioranza in Puglia, Toscana e Veneto. In Toscana ci sono due possibilità: il 60% dei seggi (24 su 40) se il candidato vincitore ha raccolto almeno il 45% dei voti; il 57,5% (23 seggi) se invece non ottiene il 45% (compreso quindi il caso di eventuale ballottaggio). In Puglia e Veneto ci sono tre possibili entità dei premio in Consiglio. In Puglia la coalizione del candidato vincente ottiene il 58% dei seggi (29 su 50) se ha raccolto almeno il 40%, un seggio in meno (il 56%) se invece il suo risultato è stato compreso fra il 35 e il 40%, e il 54% dei seggi (27) se si è fermata al di sotto del 35%. In Veneto le maggioranze in Consiglio garantite al vincitore sono simili alla Puglia, ma un po’ più generose: i seggi rimangono 28 anche al di sotto del 35%, mentre al di sopra del 50% salgono a 30 (ovvero il 60% dei seggi totali, escluso, come sempre, quello del Presidente eletto).

Una ulteriore variabile, cui abbiamo accennato ma che è opportuno esaminare in dettaglio, concerne i totali di voti sui quali si calcolano le quote in base alle quali si stabilisce l’entità del premio. Infatti in Toscana si guarda ai voti del candidato vincitore in percentuale dei voti maggioritari, mentre in Puglia e Veneto si guarda alla percentuale della coalizione collegata al vincitore in base ai voti proporzionali. Nelle Marche, infine, si fa riferimento al risultato del candidato; questo però, come detto, coincide con quello che la coalizione utilizza al proporzionale.

In Campania e Umbria, infine, il premio di maggioranza attribuito in Consiglio alla coalizione del Presidente eletto è fisso: in entrambi i casi pari al 60% dei seggi. Inoltre, in entrambe queste regioni è stabilito che in ogni caso la coalizione vincente non possa ottenere più del 65% dei seggi, con il 35% riservato alle opposizioni.

Prima di passare ai meccanismi dell’arena proporzionale, un’ultima notazione preliminare. In Umbria e nelle Marche è stato abolito il voto disgiunto. Non è più quindi possibile votare un candidato Presidente ed una lista che non lo sostenga. In queste regioni, inoltre, le due arene – quella proporzionale e quella maggioritaria – sono fatte coincidere meccanicamente. Infatti, non solo il voto espresso solo per una lista al proporzionale vale anche al maggioritario per il candidato che essa sostiene, ma anche il voto espresso solo per un candidato al maggioritario vale anche al proporzionale per la coalizione che lo sostiene. E’ lo stesso meccanismo che abbiamo già presentato in riferimento alle elezioni comunali in TrentinoAlto Adige e Valle d’Aosta, per effetto del quale i risultati dei candidati e delle relative coalizioni sono fatti coincidere. Anche in Veneto, dove però permane la possibilità di votare in maniera disgiunta fra le due arene, si ha l’estensione del voto espresso per il solo Presidente alla coalizione che lo sostiene.

Veniamo adesso alle caratteristiche relative al funzionamento dell’arena proporzionale. Innanzitutto le regioni si differenziano per il numero delle circoscrizioni: si va dalla circoscrizione unica regionale in Umbria alle 13 circoscrizioni della Toscana, mentre le altre cinque regioni hanno circoscrizioni coincidenti con le province. Per effetto anche della dimensione variabile dei consigli abbiamo quindi una magnitudo media delle circoscrizioni generalmente compresa fra i 6 e i 7 seggi, che però ha punte minime di 3 in Toscana, e massime di 10 in Campania, fino ai 20 dell’Umbria.

L’elemento su cui i legislatori regionali hanno maggiormente trovato modo di dare realizzazione alla propria fantasia è certamente quello delle formule elettorali e, più in generale, della ripartizione dei seggi al proporzionale. L’unica regione in cui non vi è nessun ruolo per le coalizioni è la Liguria. Qui, infatti, partecipano alla assegnazione dei seggi le liste (sopra soglia). Inoltre è l’unica regione in cui la distribuzione è circoscrizionale e non regionale, anche se il recupero dei resti è su base regionale per cui quello che conta davvero è il risultato regionale ottenuto da ciascuna lista. Sintetizzando, in ciascuna provincia si calcolano dei quozienti Hagenbach-Bischoff e si assegnano i seggi interi; si sommano poi, per ciascuna lista, i resti delle diverse province, che concorrono per i seggi rimanenti in base all’Hare a livello regionale. Per cui, anche al netto delle alte soglie implicite circoscrizionali, con poco più del 4% scatta certamente il primo seggio in Consiglio, ma potrebbe anche bastare il 3%.

Nelle altre regioni, invece, la prima distribuzione è fra le coalizioni, e su base regionale. In Veneto, Toscana, Marche e Campania questa avviene attraverso il D’Hondt; in Umbria di usa invece l’Hagenbach-Bischoff. I seggi spettanti alle diverse coalizioni sono ripartiti fra i partiti che le compongono sempre su base regionale: in Toscana a tale fine si usa il D’Hondt ; nelle altre regioni considerate, invece, l’Hagenbach-Bischoff.

Caso a parte è la Puglia. Qui l’assegnazione decisiva avviene su base regionale alla luce del vincitore del maggioritario, proprio come nelle altre regioni – ad eccezione della Liguria. La particolarità risiede nel fatto che prima di procedere alle relative operazioni, si ha una prima assegnazione di seggi, 23 sui 50 complessivi, su base circoscrizionale. Questa è identica al disposto della Tatarella, appena descritto con riferimento alla Liguria: Hagenbach-Bischoff circoscrizionale e recupero regionale dei resti con Hare. Dopodiché si procede all’assegnazione dei rimanenti 27 seggi, per coalizione e su base regionale. Si tiene quindi conto di chi ha vinto, di quanti seggi gli spettino in tutto di premio in base a quanti voti ha preso, di quanti ne abbia già presi nei primi 23, e gliene si assegna la differenza. Si ha quindi un D’Hondt regionale fra i perdenti per aggiudicarsi quei seggi fra i 27 non assegnati alla coalizione vincente. I 27 seggi così ripartiti fra le coalizioni sono poi suddivisi fra i partiti che le compongono attraverso un D’Hondt regionale, come in Toscana.

Un ulteriore elemento interessante è rappresentato dalla necessità di calare, in tutte le regioni a parte la Liguria e l’Umbria, il risultato determinato a livello regionale nelle singole circoscrizioni, con la possibilità o meno di slittamenti di seggi. In Puglia si usa la graduatoria dei resti della precedente distribuzione provinciale (quella dei 23 seggi), usando i resti non ancora utilizzati ed eventualmente ricominciando il giro. In Campania, Marche e Veneto si calcolano dei quozienti Hagenbach-Bischoff circoscrizionali per cui si dividono i risultati circoscrizionali delle liste, con più alti resti. In Toscana si usano invece dei quozienti naturali sia per il passaggio dal livello regionale alle province e che poi per il passaggio dalla provincia di Firenze alle circoscrizioni sub-provinciali.

Fermo restando che il risultato regionale non è mai calato interamente, perché in tutte le regioni il candidato Presidente secondo classificato entra in Consiglio prendendosi uno dei seggi regionali delle sue liste (tranne che in Veneto dove gli viene assegnato un seggio a parte), occorre precisare alcune particolarità della legge toscana. Qui infatti per ogni coalizione o lista perdente cui spetti almeno un seggio, il primo va al candidato alla presidenza, per cui diminuiscono più sensibilmente che altrove i seggi da calare. Inoltre, i partiti possono presentare, oltre alle liste circoscrizionali, anche una lista regionale, di massimo tre nomi. Questo listino è bloccato e i suoi componenti sono, nell’ordine di presentazione, i primi eletti per il partito che li candida. Quindi vengono calati nelle circoscrizioni solo i seggi ancora da attribuirsi ai partiti dopo l’elezione di questi candidati “regionali” e dei candidati sconfitti.

Quanto agli slittamenti di seggi, nelle Marche, in Campania e in Veneto  sono espressamente vietati: si vanno ad assegnare i seggi mancanti alle liste fino al completamento dei seggi spettanti alle circoscrizioni. Ciò significa che una lista può ottenere il seggio dove è più debole. In Puglia solo i primi 23 seggi sono ripartiti fra le province in base alla relativa popolazione: non è prevista una norma che eviti gli slittamenti da una circoscrizione all’altra, anzi sono piuttosto probabili; tuttavia è impossibile che una provincia abbia alla fine meno seggi di quelli che le spettavano sui 23, per via della successiva ripartizione degli ulteriori 27 seggi.

In Toscana, come abbiamo visto, il quadro è doppiamente più complicato per la presenza del listino regionale e di circoscrizioni sub-provinciali, che implicano un passaggio in più. In ogni caso, non è mai stabilito un totale di seggi spettante a ciascuna circoscrizione, per cui non è proprio possibile parlare di slittamenti. L’unica norma prevista a tutela della rappresentanza dei diversi territori è che non possa non scattare nessun seggio in una circoscrizione[3].

Anche sulle soglie di sbarramento le diverse normative regionali si differenziano sensibilmente. Le uniche due a presentare clausole identiche sono il Veneto e le Marche. Qui la soglia è per le coalizioni: devono avere almeno il 5% dei voti proporzionali oppure avere al proprio interno una lista del 3% per essere tali, altrimenti si rompono e le liste corrono separatamente, ciascuna con i propri voti. Altre due regioni hanno una clausola per le coalizioni: Toscana e Puglia. Nel primo caso per essere tale occorre avere almeno il 10% dei voti ed almeno una lista del 3% all’interno. In Puglia, invece, la soglia è dell’8%, a prescindere da come sia composto fra le liste costituenti la coalizione.

Vi sono poi le soglie per le liste, presenti in cinque regioni, ad eccezione di Marche e Veneto. La più bassa è in Umbria, pari al 2,5%. In Liguria e Campania la soglia è del 3%, ma può essere aggirata se si è collegati ad un candidato del 5% e del 10% rispettivamente. In Toscana e Puglia, infine, le soglie sono differenziate a seconda che la lista corra da sola o all’interno di una coalizione (che abbia fatto le relative soglie). In entrambi i casi le liste coalizzate hanno uno sconto: dall’8% al 4% in Puglia, dal 5% al 3% in Toscana.

Ulteriore differenziazione si ha sul totale di calcolo delle soglie di sbarramento appena elencate. In Puglia le soglie sono tutte calcolate come percentuali dei voti al maggioritario, sia quelle per le liste che per le coalizioni. Al contrario, in Toscana tutte le soglie si calcolano come percentuali sui voti proporzionali. Nelle Marche, in Veneto e in Umbria i totali dei presidenti e delle coalizioni coincidono, per via del meccanismo della doppia estensione dei voti incompleti fra le due arene; non però quello per le liste, che è inferiore in misura dei voti al solo Presidente. Le soglie del 5% per le coalizioni sono calcolate sul totale maggioriario/coalizionale; quelle del 2,5 o del 3%, per le liste, sui voti validi alle liste. Infine in Liguria e Campania la clausola del 3% è sui voti alle liste; mentre nelle norme di aggiramento della soglia per le liste collegate ad un candidato che abbia ottenuto una certa percentuale, questa è naturalmente calcolata sui voti maggioritari.

Un ultimo piano di analisi concerne la presenza di voto di preferenza e norme a tutela della rappresentanza di genere. In tutte le regioni gli elettori avranno a disposizione la preferenza per i candidati consiglieri. In tre di queste (Toscana, Umbria e Campania) gli elettori disporranno di due preferenze da potersi esprimere per candidati della stessa lista ma di genere diverso. Nelle altre quattro regioni, invece, si ha una sola preferenza. Ricordiamo inoltre che in Toscana oltre alle liste circoscrizionali ciascun partito può presentare anche una lista regionale contenente fino a tre candidati bloccati, i quali saranno eletti nei primi seggi assegnati al partito. Quindi le preferenze possono contare solo parzialmente, o anche assai poco – a seconda delle scelte dei partiti di presentare o meno questi listini bloccati.

Solo in Liguria non è prevista alcuna tutela per la rappresentanza femminile. Abbiamo infatti già detto come, ancora in attesa dell’approvazione della legge elettorale regionale, si voti con la Tatarella, come però attualmente in vigore a seguito di sentenze della Consulta. Nello specifico, la legge del 1995 prevedeva che le liste non potessero avere più dei due terzi dei candidati dello stesso genere, ma una sentenza della Corte Costituzionale dello stesso 1995 ha dichiarato tale norma illegittima[4]. La composizione delle liste è quindi libera, e in effetti ve ne sono più di una senza neppure una donna su tre o quattro candidati nelle province minori, o con due donne su tredici candidati a Genova.

In tutte le altre regioni, al contrario, le liste devono rispettare delle proporzioni numeriche definite nei rapporti fra candidati dei due generi. Nelle Marche ed in Campania le proporzioni sono quelle della legge Tatarella, in Umbria e  in Puglia nessuno dei due generi può avere più del 60% dei candidati, mentre in Toscana e Veneto le liste devono essere alternate fra i due generi – e quindi i due sono rappresentati, nei limiti del possibile, in misura uguale nelle liste. Nel caso toscano questa disposizione si applica sia alle liste circoscrizionali sia alle eventuali listini regionali.

E’ possibile stilare una vera e propria classifica: la Toscana è quindi la regione più sensibile alle pari opportunità, prevedendo sia la doppia preferenza di genere che l’alternanza di genere nelle liste. Seguono molto vicine l’Umbria e poi la Campania, dove le liste possono essere un poco meno equilibrate. Nella corsa alla tutela della rappresentanza di genere sono più staccati, non avendo la doppia preferenza di genere, Veneto, Marche e Puglia; assai vicini fra loro. Sono separati infatti solo da piccole differenze relativamente alle quote nelle liste. Maglia nera, e staccata dal gruppo, la Liguria che, come detto, non ha alcuna norma in merito.

 

Riferimenti bibliografici:

Chiaramonte, Alessandro. 2005. Tra Maggioritario E Proporzionale. L’universo Dei Sistemi Elettorali Misti. Bologna: Il Mulino.

 


[1] Infatti il d.l. 138 del 2011, per contenere i costi della finanza pubblica, ha introdotto precisi criteri che agganciano il numero dei consiglieri regionali alla popolazione delle regioni, poi recepiti dagli Statuti regionali. La fissazione in Statuto del numero dei seggi rende inapplicabile la norma della legge Tatarella relativa ai seggi aggiuntivi. Cfr. sentenza Corte Costituzionale n. 188 del 2011 sul caso pugliese.
[2] La legge prevede che il premio si dimezzi, da 6 a 3 seggi, se la coalizione del candidato vincente ha già ottenuto 15 dei seggi sui 24 proporzionali. Nel caso, gli altri 3 seggi sono distribuiti proporzionalmente alle minoranze nel collegio unico regionale e quindi, di rimando, nelle relative liste circoscrizionali. Appare francamente impossibile che questa evenienza si verifichi in queste elezioni, ma è comunque opportuno ricordare questo particolare della Tatarella ancora in vigore in Liguria.
[3] Se ciò accade risulta eletto il candidato con più preferenze della lista sopra soglia più votata nella circoscrizione, e il seggio si toglie al candidato della stessa lista eletto in corrispondenza del resto più basso, entro la provincia se possibile e purché non fosse a sua volta l’unico seggio di quella circoscrizione.

[4] Cfr. sentenza n. 422 del 1995.

Aldo Paparo è ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università di Firenze. È stato assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Politiche alla LUISS Guido Carli. Dopo il conseguimento del dottorato è stato W. Glenn Campbell and Rita Ricardo-Campbell National Fellow presso la Hoover Institution alla Stanford University, dove ha condotto una ricerca sulla identificazione di partito in chiave comparata. Ha conseguito con lode il dottorato di ricerca in Scienza della Politica presso la Scuola Normale Superiore (ex SUM) di Firenze, con una tesi sugli effetti del ciclo politico nazionale sui risultati delle elezioni locali in Europa occidentale. Ha conseguito con lode la laurea magistrale presso Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze, discutendo una tesi sulle elezioni comunali nell’Italia meridionale. Le sue principali aree di interesse sono i sistemi elettorali, i sistemi politici e il comportamento elettorale, con particolare riferimento al livello locale. Ha co-curato numerosi volumi della serie dei Dossier CISE; e ha pubblicato articoli scientifici su South European Society and Politics, Italian Political Science, Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, Contemporary Italian Politics e su Monkey Cage. È stato inoltre co-autore di un capitolo in Terremoto elettorale (Il Mulino 2014). È membro dell’APSA, della MPSA, della ESPA, della ECPR, della SISP e della SISE. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.