Conflitto per Le Pen, “problem-solving” per Macron: i modelli di voto svelano due visioni opposte della Francia

E così Macron e Le Pen vanno al secondo turno. Un risultato storico che – come hanno messo in luce praticamente tutti i commentatori – vede escluse entrambe le famiglie partitiche (socialisti e destra neogollista) che avevano dominato decenni di vita politica in Francia.

Tuttavia, ciò su cui i commentatori sono per adesso abbastanza divisi sono le motivazioni del risultato. Da dove viene il successo di Macron? Da dove la sua trasversalità? E l’exploit di Mélenchon? Dalle sue posizioni controverse? O è piuttosto un voto di identità della sinistra francese, delusa dalle primarie? A queste domande è impossibile rispondere basandosi solo sul profilo dei candidati e sulle loro apparizioni mediatiche, ma servono dati. Dati raccolti a livello individuale, possibilmente con molte domande sui temi di attualità.

Proprio dati di questo tipo sono quelli che il CISE ha raccolto poche settimane prima del voto, attraverso un sondaggio pre-elettorale unico nel suo genere, in quanto è praticamente il solo a esplorare un numero molto ampio di temi d’attualità (circa 25 temi!), nell’ambito di un progetto comparato che ha già coperto anche le ultime elezioni in Olanda, e che includerà Regno Unito, Germania e Italia.

E’ su questi dati che, all’indomani del primo turno, abbiamo effettuato delle analisi statistiche specifiche (in termini tecnici: la stima, per le intenzioni di voto a ciascuno dei candidati principali, di una serie di modelli a blocchi di regressione logistica binomiale) con lo scopo di ricostruire quanto hanno pesato, nel voto a ciascun candidato, diversi tipi di caratteristiche e motivazioni.

Per semplicità abbiamo raggruppato le molte variabili analizzate in quattro categorie fondamentali:

  • Caratteristiche socio-demografiche: sesso, età, titolo di studio;
  • Ideologia: autocollocazione dell’intervistato sull’asse sinistra-destra;
  • Posizioni su temi divisivi: la posizione dell’intervistato su una serie di temi controversi, dai matrimoni gay all’uscita dall’Unione Europea;
  • Credibilità dei candidati sui problemi comuni (“valence issues”): il fatto che l’intervistato ritenga o meno credibili i vari candidati per risolvere alcuni problemi fondamentali del Paese (es. protezione da attacchi terroristici, lotta alla disoccupazione, ecc.).

Come si può capire, queste quattro categorie configurano enormi differenze in termini di motivazioni del voto. Qui la domanda fondamentale è relativa alle differenze tra i candidati: la struttura delle motivazioni è simile per tutti, o cambia da un candidato all’altro? In breve: i ragionamenti di chi ha votato Le Pen sono stati radicalmente diversi da quelli di chi ha votato Macron?

Il grafico nella figura 1 presenta la risposta a questa nostra prima domanda. Per ogni candidato, le barre colorate rappresentano la capacità del nostro modello di prevedere il fatto che l’intervistato abbia espresso l’intenzione di votare un certo candidato, in base alle variabili inserite nel modello. Questa capacità di previsione può essere al massimo 1, in caso di previsione perfetta di tutti gli intervistati. Ovviamente raggiungere 1 è impossibile: nella ricerca sui comportamenti di voto, valori da 0.5 in su sono considerati ottimi. La barra di ciascun candidato è divisa in quattro blocchi corrispondenti alle quattro categorie di variabili esplicative. Va detto che alcuni candidati (soprattutto Fillon) hanno un voto più “prevedibile” di altri, come chiaramente visibile nel grafico.

Fig. 1 – Capacità esplicativa dei modelli statistici (intenzioni di voto ai principali candidati), suddivisa per blocchi di variabili (pseudo R2 di Nagelkerke)

fig1modelliUn primo dato sorprendente è quello relativo alle variabili socio-demografiche. Per tre dei quattro candidati considerati queste non hanno praticamente nessun impatto: con un indice di circa 0.03 “spiegano” appena il 3% della varianza (ovvero, delle differenze tra intervistati nell’intenzione di votare il candidato). Ma c’è un’impressionante eccezione: François Fillon. Nel voto per il gollista c’è infatti una forte componente dovuta all’età: le fasce di elettorato più anziane tendono a votarlo molto di più (soprattutto gli over 65). Si tratta di un effetto importante, che spiega circa il 14% delle differenze di atteggiamento tra intervistati rispetto a Fillon.

I due candidati che sono andati al secondo turno sono quelli il cui elettorato è meno caratterizzato in termini ideologici tradizionali

E differenze importanti tra candidati emergono ancora, quando si passa a considerare l’ideologia. Ancora una volta un fattore estremamente rilevante per Fillon (lo votano ovviamente di più gli elettori che si collocano a destra), che contribuisce con un ulteriore 23% a spiegare le intenzioni di voto verso di lui. Ma anche Mélenchon si dimostra un candidato per cui l’ideologia (di sinistra) è estremamente importante (15% di varianza spiegata). Segue Marine Le Pen, con un voto decisamente meno ideologico dei primi due (10% di varianza spiegata), e soprattutto Macron. Quest’ultimo è chiaramente il meno legato al richiamo ideologico: l’inserimento dell’autocollocazione sinistra-destra nel modello predittivo per Macron produce un miglioramento del modello di appena il 6%.
E qui ci troviamo di fronte a un primo importante elemento di interpretazione: i due candidati che sono andati al secondo turno sono quelli il cui elettorato è meno caratterizzato in termini ideologici tradizionali. In questo Le Pen è estremamente simile a Macron.

Ma qui le similitudini si fermano. Infatti a questo punto entriamo nel regno delle issues, ovvero di come i candidati utilizzano in modo dinamico i temi di attualità (al posto dell’ideologia, per definizione statica) per cercare di catturare elettori a tutto campo. Tradizionalmente si distinguono due tipi di temi di attualità: quelli divisivi (temi controversi, su cui i candidati si distinguono in base alle loro diverse posizioni) e gli obiettivi condivisi (anche detti “valence issues”: problemi da risolvere, su cui i candidati si distinguono invece in base alla loro competenza e credibilità).

E qui emerge una differenza importante tra candidati, e in particolare tra Macron e Le Pen. La scelta di voto a Marine Le Pen appare infatti nettamente influenzata da specifiche posizioni su temi controversi: quando si inserisce nel modello la posizione dell’intervistato sui vari temi, la previsione del voto a Le Pen aumenta di oltre il 20%. Gli altri candidati sono staccati in modo nettissimo: sia per Macron che per Fillon il contributo di queste variabili è intorno al 10%, mentre per Mélenchon è addirittura quasi trascurabile. In altre parole: il voto a Le Pen, diversamente dagli altri, è spiegato in modo importante dalle posizioni su temi controversi (vedremo quali).

Mentre per Marine Le Pen il fattore determinante sono i temi controversi, per Macron si tratta della sua competenza e credibilità sui problemi generali della Francia

Infine, l’ultima categoria (ovvero la credibilità dei candidati – attribuita dall’intervistato – per risolvere vari importanti problemi comuni a tutti gli elettori) rivela un’importanza simile tra i vari candidati, con contributi di varianza spiegata superiori al 15%, ma tuttavia con un’importanza nettamente superiore per Macron (21%) e Fillon (20%), contro il 16% di Le Pen e Mélenchon. Ovviamente è un dato che non deve sorprendere: quando si tratta di risolvere problemi comuni della Francia, due uomini di Stato con significativa esperienza di governo come Macron e Fillon si trovano premiati dagli elettori. Ma il dato importante è che per Macron queste sono le motivazioni di voto di gran lunga preponderanti, che da sole contano quanto tutte le altre messe insieme. Si può quindi dire che, mentre per Marine Le Pen il fattore determinante sono i temi controversi, per Macron si tratta della sua competenza e credibilità sui problemi generali della Francia. Fillon e Mélenchon appaiono invece come due candidati dal voto molto più ideologizzato, anche se Fillon può vantare in aggiunta un’importante credibilità personale.

A questo punto, resta solo la curiosità di approfondire meglio il ruolo dei temi divisivi. Quali temi in particolare sono rilevanti per spiegare il voto ai diversi candidati? La Tabella 1 riporta l’effetto dei vari temi (se presente) nel predire l’intenzione di voto ai vari candidati. Per ogni tema viene riportato un segno positivo (se aumenta la tendenza a votare per lui o lei) o negativo (se invece la diminuisce), oppure nessun segno se non c’è effetto statisticamente significativo.

Tab. 1 – Significatività e direzione degli effetti delle posizioni sulle issues sul voto ai principali candidatitab1modelliGuardando la tabella emerge un primo dato fondamentale. Ogni candidato è di fatto specializzato su temi diversi: si tratta di una tendenza sempre più diffusa nelle campagne elettorali contemporanee, in cui i candidati si concentrano su poche issue favorevoli, in grado di attrarre un elettorato trasversale senza prendere posizione in modo molto netto sugli altri temi (che potrebbero far perdere voti).

Per il voto a Macron è molto forte l’europeismo, e piuttosto forte anche le libertà di scelta in materia di diritti. Fa poi segnare un effetto (negativo) anche la riduzione dell’età pensionabile: il che indica che chi vuole aumentare l’età pensionabile è statisticamente più probabile che voti Macron. Di conseguenza il profilo di Macron appare legato in modo chiave all’Europa e a una visione favorevole ai diritti civili, e solo in modo più debole a riforme economiche: il che testimonia l’abilità di Macron nello sfilarsi da questioni estremamente controverse come quella della loi travail.

Per il voto a Le Pen emerge un’importanza maggiore dei temi controversi (maggior numero di temi con effetti rilevanti): fortissimo l’effetto dello sciovinismo del welfare, così come anche la posizione sull’uscita dall’Unione Europea. Non è invece significativa l’uscita dalla moneta unica. Piuttosto forte anche l’effetto negativo delle attuali norme sull’immigrazione, a indicare che chi vuole leggi più restrittive ha votato di più per la candidata del FN. Ci sono poi effetti (positivi), ma più ridotti: limitare la globalizzazione, abrogare i matrimoni gay e proibire il velo islamico nei luoghi pubblici.

Per il voto a Fillon ci sono addirittura più temi con coefficienti significativi, ma questi sono mediamente assai più piccoli di quelli di Le Pen, ecco perché l’aumento complessivo della varianza è più basso. Gli effetti più forti sono per lo sciovinismo del welfare, l’abrogazione dei matrimoni gay, e restare nell’UE – ecco la differenza con Le Pen. Appare poi chiaro il suo profilo di candidato del libero mercato in campo economico: effetto positivo per la liberalizzazione del mercato del lavoro e negativo per la riduzione dell’età pensionabile e delle diseguaglianze di reddito.

Infine, Mèlenchon è il candidato il cui voto è meno influenzato da opinioni sulle issues (la sua forza, come visto in precedenza, è l’ideologia). Appena due sono significative, entrambe in esclusiva, cioè senza fare segnare alcun effetto nei modelli relativi al voto per gli altri tre candidati principali. Si tratta della riduzione della diseguaglianza e dell’abbandono dell’energia nucleare.

In quest’epoca post-ideologica alcuni partiti cavalcano i grandi conflitti legati alle trasformazioni della nostra epoca, mentre altri li nascondono, presentandosi come semplici problem-solver competenti

Ecco quindi emergere quattro profili diversi per i quattro candidati. Ma quali insegnamenti possiamo trarne? Il primo è che i due finalisti del secondo turno hanno un tratto in comune: per entrambi contano poco l’ideologia e la rappresentanza di specifici blocchi sociali. Questi candidati si conquistano i loro voti in modo nuovo, ovvero sfruttando i temi d’attualità, le varie questioni sul tavolo dell’agenda politica francese. Ma qui le analogie finiscono e emerge una rilevante differenza. Per Le Pen la forza di mobilitazione viene dal prendere posizione su questioni controverse, mentre il successo di Macron sembra chiaramente prodotto dalla sua percezione come competente e credibile per affrontare i problemi di tutti i francesi. E qui troviamo il secondo insegnamento: in quest’epoca post-ideologica non tutti i partiti e i candidati sono uguali; dobbiamo aspettarci sempre più un confronto asimmetrico e strabico, in cui alcuni partiti sottolineano e cavalcano i grandi conflitti legati alle trasformazioni della nostra epoca, mentre altri tendono a nasconderli, presentando invece una visione consensuale, che richiede semplicemente dei problem-solver competenti. Ecco perché nel voto del secondo turno, che si svolgerà il 7 maggio, a confrontarsi non saranno solo due candidati, ma due diverse visioni della Francia e – per certi versi – delle grandi trasformazioni della realtà contemporanea. Staremo a vedere.

 

Lorenzo De Sio è professore ordinario di Scienza Politica presso la LUISS Guido Carli, e direttore del CISE - Centro Italiano di Studi Elettorali. Già Jean Monnet Fellow presso lo European University Institute, Visiting Research Fellow presso la University of California, Irvine, e Campbell National Fellow presso la Stanford University, è membro di ITANES (Italian National Election Studies), ha partecipato a vari progetti di ricerca internazionali, tra cui “The True European Voter”(ESF-COST Action IS0806), the “EU Profiler” (2009) e EUandI (2014), e di recente ha dato vita al progetto ICCP (Issue Competition Comparative Project). I suoi interessi di ricerca attuali vertono sull'analisi quantitativa dei comportamenti di voto e delle strategie di partito in prospettiva comparata, con particolare attenzione al ruolo delle issues. Tra le sue pubblicazioni, accanto a vari volumi in italiano e in inglese, ci sono articoli apparsi su American Political Science Review, Comparative Political Studies, Electoral Studies, Party Politics, West European Politics, South European Society and Politics, oltre che su numerose riviste scientifiche italiane. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.
Aldo Paparo è ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università di Firenze. È stato assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Politiche alla LUISS Guido Carli. Dopo il conseguimento del dottorato è stato W. Glenn Campbell and Rita Ricardo-Campbell National Fellow presso la Hoover Institution alla Stanford University, dove ha condotto una ricerca sulla identificazione di partito in chiave comparata. Ha conseguito con lode il dottorato di ricerca in Scienza della Politica presso la Scuola Normale Superiore (ex SUM) di Firenze, con una tesi sugli effetti del ciclo politico nazionale sui risultati delle elezioni locali in Europa occidentale. Ha conseguito con lode la laurea magistrale presso Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze, discutendo una tesi sulle elezioni comunali nell’Italia meridionale. Le sue principali aree di interesse sono i sistemi elettorali, i sistemi politici e il comportamento elettorale, con particolare riferimento al livello locale. Ha co-curato numerosi volumi della serie dei Dossier CISE; e ha pubblicato articoli scientifici su South European Society and Politics, Italian Political Science, Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, Contemporary Italian Politics e su Monkey Cage. È stato inoltre co-autore di un capitolo in Terremoto elettorale (Il Mulino 2014). È membro dell’APSA, della MPSA, della ESPA, della ECPR, della SISP e della SISE. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.