Maggioritario partita decisiva, possibile sorpresa M5s al Sud

Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 27 ottobre

Nel 1993 è stata la volta della legge Mattarella. Nel 2005 la legge Calderoli. Nel 2015 l’Italicum. Oggi la legge Rosato. Quattro sistemi elettorali in 24 anni. Senza parlare di due sentenze della Consulta che hanno comunque introdotto sistemi diversi da quelli approvati in Parlamento. Questo è uno dei dati che coglie meglio di tante parole la persistente fragilità del nostro sistema politico dopo la crisi della Prima Repubblica. E non è finita. Purtroppo si scoprirà presto che nemmeno il sistema di voto appena varato ci darà la stabilità di cui l paese ha bisogno per affrontare le sfide difficili che ha davanti.

Nei prossimi mesi assisteremo a una campagna elettorale in cui centro-destra, centro-sinistra e M5s faranno credere agli italiani di poter arrivare a governare da soli. È possibile. Non si può assegnare uno zero alla probabilità che uno dei tre contendenti possa arrivare alla maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le camere. Ma è assai poco probabile. Non occorre fare complicate simulazioni per arrivare a questa conclusione. Bastano due tabelle che incrocino le percentuali di seggi proporzionali e di seggi maggioritari necessarie per arrivare alla soglia dei 316 seggi alla Camera e dei 158 seggi al Senato (esclusi i senatori a vita). È un esercizio che abbiamo già fatto per la Camera. Ora lo facciamo anche per il Senato. A differenza della tabella già pubblicata abbiamo inserito nel calcolo 5 seggi (su 12) provenienti dalla circoscrizione estero alla Camera e 3 seggi (su 6) al Senato.

Tab. 1 – Le combinazioni per ottenere la maggioranza dei seggi alla Camerarosatellum camera

Tab. 2 – Le combinazioni per ottenere la maggioranza dei seggi al Senatorosatellum senato

In sintesi, queste tabelle servono a rispondere a questa semplice domanda: quale è la combinazione di seggi maggioritari e proporzionali che può produrre un governo di maggioranza come risultato diretto del voto? La risposta è nei numeri. Alla Camera le percentuali minime sono il 60% di seggi maggioritari e il 45% di quelli proporzionali. Al Senato il 50% per entrambi le categorie di seggi. Con queste percentuali il vincente avrebbe 318 deputati e 158 senatori. Cioè una maggioranza risicata. Eppure si tratta di percentuali rilevanti. Nella storia della Seconda Repubblica non è mai successo che una coalizione sia arrivata al 50% dei voti proporzionali alla Camera. Questa percentuale è stata sfiorata dai due poli berlusconiani nel 1994 e dalle coalizioni di centro-destra e di centro-sinistra nel 2006. Ed erano i tempi del bipolarismo, mentre oggi il formato del sistema partitico è tripolare. Quanto ai collegi uninominali utilizzati tra il 1994 e il 2001, i picchi sono stati registrati dalle coalizioni di Berlusconi nel 1994 alla Camera (63,7%) e al Senato nel 2001 (65,5%). Nessuno è mai arrivato al 70%.

Cosa fa pensare che a marzo del prossimo anno uno dei tre poli possa arrivare a queste percentuali? Per essere ancora più precisi prendiamo come punto di riferimento la percentuale ottenuta dalla Casa delle Libertà di Berlusconi nel 2001 al Senato, e cioè il 65% dei seggi maggioritari. Se uno dei tre poli ripetesse questo exploit alle prossime politiche dovrebbe comunque arrivare ad ottenere alla Camera il 45 % dei voti proporzionali per riuscire ad avere 330 seggi e la stessa percentuale al Senato per avere 165 senatori. Certo, non si può escludere del tutto che questo avvenga. Ma che probabilità è realistico assegnare ad un evento del genere?

Ciò premesso, è giusto tener conto di due fattori che potrebbero giocare a favore di un esito maggioritario. Il primo è una quota particolarmente elevata di voto disperso, cioè di voti dati a partiti che restano sotto la soglia di sbarramento del 3%. Più alto è il voto disperso, più alta è la percentuale di seggi che vanno ai partiti sopra la soglia. Questo vuol dire che il 45% dei seggi proporzionali nella nostra tabella potrebbe essere ottenuto con meno del 45% dei voti. Per esempio con un 10% di voti dispersi un partito con il 40% dei voti otterrebbe il 44% dei seggi. Ma anche in questo caso dovrebbe comunque vincere circa il 60% dei seggi maggioritari per arrivare alla Camera a 318 seggi. Il voto disperso può incidere ma non più di tanto. In ogni caso oggi è difficile da stimare. Si dovrà vedere come si coordineranno tra loro i partiti, cioè quale sarà l’offerta politica. Se il coordinamento sarà efficiente, il fattore-voto disperso potrebbe diventare del tutto ininfluente. E allora la partita si giocherà nei collegi uninominali.

Si dice che l’introduzione dei collegi veri (e non quelli finti del sistema tedesco) avvantaggi centro-destra e centro-sinistra a danno del M5s. Può essere, ma oggi non si può dire con certezza. È vero che nelle regioni del Nord e in quelle della ex-zona rossa il M5s prenderà probabilmente meno seggi di quanti ne avrebbe presi con il consultellum, ma nelle regioni del Sud potrebbe verificarsi l’opposto. Ed è proprio in questa zona del paese che si giocherà la partita decisiva l’anno prossimo. Qui i collegi potrebbero fare la differenza.

Ma anche così bisogna essere inguaribili ottimisti o grandi imbonitori per credere e far credere a un successo schiacciante di uno dei poli. Conquistare il 60-70 % dei seggi maggioritari e il 40-45% di quelli proporzionali a livello nazionale è un traguardo molto difficile da raggiungere nell’attuale contesto. Tanto più che deve essere raggiunto in entrambe le camere. E si sa bene che l’esito del voto al Senato potrebbe differire da quello della Camera per diverse ragioni. In primis la mancata riforma costituzionale per dare il voto ai diciottenni anche al Senato.

In conclusione, continuiamo a dubitare che siano gli elettori a scegliere il prossimo governo. Come ai tempi della Prima Repubblica lo faranno i partiti dopo il voto rimescolando le carte. Aggiungiamo però che in ogni caso il sistema elettorale appena approvato è un passo avanti rispetto ai sistemi confezionati dalla Consulta. In fondo sono tornati i collegi uninominali. Sono pochi. Avrebbero dovuto essere molti di più, come erano con la legge Mattarella. Ma accontentiamoci per ora. Anche così la loro resurrezione è già un piccolo miracolo.

Roberto D’Alimonte (1947) è professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano. Dal 1974 fino al 2009 ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato come visiting professor nelle Università di Yale e Stanford. Collabora con il centro della New York University a Firenze. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano i sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto in Italia. A partire dal 1993 ha coordinato con Stefano Bartolini e Alessandro Chiaramonte un gruppo di ricerca su elezioni e trasformazione del sistema partitico italiano. I risultati sono stati pubblicati in una collana di volumi editi da Il Mulino: Maggioritario ma non troppo. Le elezioni del 1994; Maggioritario per caso. Le elezioni del 1996; Maggioritario finalmente? Le elezioni del 2001; Proporzionale ma non solo. Le elezioni del 2006; Proporzionale se vi pare. Le elezioni del 2008. Tra le sue pubblicazioni ci sono articoli apparsi su West European Politics, Party Politics, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. E’ membro di ITANES (Italian National Election Studies). E’ editorialista de IlSole24Ore. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.