Con più Europa e accoglienza, ma più a destra sull’economia: l’elettorato Pd è diventato “radicale”?

Che cos’è oggi il Pd? Si tratta di una delle domande più importanti per i futuri assetti del sistema partitico italiano, visto che quello che appariva come uno dei cardini del sistema è anche stato il maggiore sconfitto nel voto del 4 marzo. Un partito che oggi appare indeciso su alcune opzioni cruciali: con quali partner accettare una collaborazione al governo; quali scenari di competizione (e con quali leggi elettorali) immaginare per il futuro; quali prospettive programmatiche e aree di opinione rappresentare.

Questioni lunghe e complesse da analizzare e definire; cui tuttavia può essere interessante contribuire con un’analisi di come è cambiato l’elettorato Pd tra 2013 e 2018. Quel che è certo è che il nuovo gruppo dirigente guidato da Renzi ha impresso al Pd una direzione nuova rispetto al precedente: con il successo delle Europee del 2014, seguito poi da una fase più complessa, caratterizzata da provvedimenti controversi come il Jobs Act e la Buona Scuola. Una fase segnata da sconfitte elettorali (nelle varie tornate amministrative e nel referendum costituzionale), ma al tempo stesso caratterizzata dall’ostinata determinazione di Renzi (anche a volte in tensione col governo Gentiloni) nel voler imprimere al Pd un profilo nuovo, più simile al centrismo di Macron che al vecchio Pd socialdemocratico di Bersani. E’ quindi interessante vedere se c’è traccia di questo cambiamento nell’elettorato Pd. Gli elettori del Pd di Renzi del 2018 sono diversi da quelli del Pd di Bersani del 2013?

Prima di entrare nei dettagli anticipo le conclusioni: l’elettorato del Pd tra 2013 e 2018 si è evoluto in una direzione che lo rende più “radicale”, in due sensi: in un primo senso, le posizioni più nette di questo elettorato nel 2018 lo hanno reso più radicale in senso stretto (quindi meno moderato), allontanandolo dalla posizione media degli elettori italiani (su alcuni temi, più a sinistra, su altri più a destra); in un secondo senso, il profilo dell’elettorato Pd di oggi sembra ricordare per certi versi quello del Partito Radicale di qualche anno fa, che nelle parole di Pannella (che a sua volta si ispirava ai partiti liberal-radicali borghesi di fine Ottocento) era “liberale, liberista, libertario”, ovvero una sintesi originale di posizioni di sinistra sui diritti civili e di destra sull’economia.
Ma andiamo con ordine.

Per analizzare il cambiamento dell’elettorato Pd tra 2013 e 2018 ci basiamo sui dati di un sondaggio CISE (condotto poco prima delle elezioni) che ha la peculiarità di aver incluso un numero di domande molto ampio per rilevare la posizione dell’intervistato su temi d’attualità. Accanto a queste, oltre all’intenzione di voto (che si è rivelata poi prevedere quasi perfettamente il risultato finale, anche se il sondaggio era stato svolto circa un mese prima), avevamo chiesto una domanda sul voto passato, ovvero sul partito votato nel 2013.

Con questi dati diventa possibile un’operazione semplice ma utile. Per ogni partito si possono ricostruire le posizioni sui vari temi di chi l’aveva votato cinque anni fa, e poi confrontarle con quelle di chi l’ha votato oggi. In altre parole, misurare come la base elettorale dei vari partiti è cambiata tra le due elezioni. Il nostro fuoco di analisi principale è sul Pd: ma ovviamente è indispensabile il confronto con gli altri partiti per capire se ci sono cambiamenti specifici del Pd o se si tratta di fenomeni generalizzati.

La tabella 1 presenta anzitutto i dati di partenza. Per ciascuno dei 15 temi esaminati (raggruppati per aree tematiche), la tabella riporta la posizione media degli elettori di ciascun partito, su una scala da 0 a 100 dove 0 rappresenta la posizione più progressista (sinistra) e 100 quella più conservatrice (destra). Per ogni partito abbiamo calcolato separatamente la posizione media di chi l’aveva votato nel 2013 e di chi l’ha votato nel 2018: in questo modo si può vedere facilmente quali elettorati sono cambiati maggiormente, e su quali temi. Infine abbiamo riportato la posizione media dell’intero campione, per permettere di valutare facilmente se l’elettorato di un partito è più a sinistra o più a destra della media, o se addirittura abbia scavalcato l’elettore medio tra 2013 e 2018 (è il caso del Pd sulla libertà di licenziamento: nel 2013 era più progressista della media, oggi è più conservatore della media).

Tabella 1 – Posizioni medie su 15 temi (punteggi su una scala 0=progressista – 100=conservatore) degli elettorati di vari partiti nel 2008 e 2013.

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La tabella 1 è utile per fornire le informazioni di partenza. Tuttavia, per rendere più facile l’interpretazione del cambiamento, la tabella 2 (più in basso) riporta direttamente le differenze tra 2013 e 2018 (prime quattro colonne, espresse in punti percentuali). In questo caso sono colorate di rosso o di blu, quando l’elettorato di un partito è oggi più a sinistra rispetto al 2013 (in rosso) o se invece è più a destra (in blu). Inoltre, per comodità, questi cambiamenti sono stati sintetizzati anche in termini di media per ciascuna di quattro aree tematiche: diritti civili, economia, Europa, immigrazione. Infine, questi cambiamenti in ogni area sono sintetizzati in un indice di cambiamento complessivo (in nero, nella riga in fondo alla tabella).

Un primo dato da sottolineare è che la base del Pd è quella che cambia maggiormente tra 2013 e 2018. Lo si può vedere dall’indice di cambiamento complessivo: mentre per gli altri partiti il cambiamento medio nelle quattro aree tematiche è stato di 2 punti (a prescindere se verso sinistra e verso destra), per il Pd è stato di 4 punti.

Ma il punto interessante è vedere come questo cambiamento si è articolato nelle quattro aree tematiche. In fondo gli eventi degli ultimi anni hanno mostrato un Pd che ha preso posizioni decisamente più moderate sull’economia (ad esempio con misure come il Jobs Act), tuttavia dicendo nettamente “qualcosa di sinistra” sui diritti civili. In questo senso, i dati sembrano mostrare una risposta dell’elettorato, con un elettorato Pd del 2018 (che, va ricordato, è di circa il 30% più piccolo rispetto 2013) che in effetti è un po’ più a destra sull’economia e un po’ più a sinistra su altri temi. Le differenze medie per il Pd sono infatti di 1 punto verso sinistra sui diritti civili, di 3 punti verso destra sui temi economici, di 6 punti verso un maggiore europeismo, e addirittura di 7 punti a sinistra sui temi dell’immigrazione.

Tabella 2 – Differenze tra gli elettorati di vari partiti nel 2008 e 2013. Differenze sinistra-destra, e avvicinamento-allontanamento dall’elettore medio (punti, su una scala 0-100 progressista-conservatore)

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L’elettorato del Pd di Renzi del 2018 appare quindi nettamente più europeista rispetto a quello di Bersani del 2013 e nettamente più progressista sui temi dell’immigrazione. Viceversa gli spostamenti sono più contenuti sui diritti civili (gli elettorati Pd di 2013 e 2018 sono molto simili), mentre invece il dato interessante è sull’economia. Qui (ad eccezione della flat tax e del salario minimo, dove non c’è quasi differenza tra elettori Pd 2013 e 2018), l’elettorato 2018 del Pd appare sensibilmente più a destra rispetto al 2013 (abbiamo classificato i temi come “di sinistra” o “di destra” in base alle interpretazioni classiche novecentesche di questi due concetti). I temi su cui si registra un cambiamento più significativo sono anzitutto la promozione della globalizzazione economica (differenza di 7 punti verso destra tra elettori 2013 e 2018) e la maggior libertà per le aziende di assumere e licenziare (differenza di 4 punti). Questo tema, legato ovviamente al Jobs Act registra un cambiamento peculiare, perché questo spostamento di 4 punti si accompagna a uno “scavallamento” di posizione: mentre l’elettorato Pd 2013 è più contrario a questa maggior libertà di licenziamento rispetto alla media del campione, quello del 2018 è invece più favorevole rispetto alla media. Differenze simili si registrano su temi come l’età pensionabile, il reddito di cittadinanza, la riduzione delle differenze di reddito: su tutti questi temi l’elettorato del Pd 2018 ha una posizione media che è un po’ più a destra rispetto a quello del 2013.

Fin qui, quindi una conferma delle aspettative legate al cambio di strategia del Pd degli ultimi anni, in cui si riconosce uno spostamento verso una prospettiva “macroniana”, che coniuga posizioni decisamente più liberiste in economia con posizioni di sinistra su diritti civili (e in parte sull’immigrazione): posizioni simili a quelle tradizionalmente propugnate in Italia dal Partito Radicale fondato da Marco Pannella; un dato che per certi versi è in linea con l’immagine di un Pd che è diventato partito delle élite (analisi che appare peraltro confermata da un confronto – che non pubblico per brevità – con il Pd del 2013, che era ancora nettamente interclassista).

Il problema tuttavia (e questo potrebbe essere una parte della spiegazione del disastro elettorale del Pd) è sapere quanto queste posizioni siano diffuse e maggioritarie nella società italiana. Per cercare di valutare la questione, nella parte più a destra della tabella (ultime 4 colonne) presento una diversa valutazione del movimento di ciascun elettorato: non più se sia andato verso sinistra o verso destra, ma se si sia avvicinato o allontanato dalla posizione media dell’elettore italiano. Stavolta il verde indica un avvicinamento all’elettore medio (la distanza si riduce), mentre il rosso indica un allontanamento (la distanza aumenta). E qui in effetti forse si inizia a capire da dove potrebbero essere venuti un po’ di problemi per il Pd. Soprattutto confrontando con gli altri partiti, si vede che il Pd è l’unico partito a essersi allontanato dall’elettore medio su tutte le 4 aree tematiche considerate: per certi versi quindi, un partito più radicale, ovvero un partito con un elettorato che oggi è più lontano dalla posizione media degli italiani su molti temi.

Il dato è notevole sui temi dell’immigrazione e sull’Europa: sull’immigrazione, l’elettorato di oggi del Pd è di sette punti più lontano dalla media degli italiani rispetto a quello del 2013 (ad esempio con un indice 58 – leggermente favorevole – per ridurre il numero di rifugiati, contro il 64 degli elettori Pd 2013, ma a fronte di un 75 dell’elettore medio italiano); sull’Europa, di 6 punti più lontano. Differenze più contenute – ma sempre in direzione sfavorevole – si registrano sui diritti civili (1 punto di allontanamento). Infine veniamo all’economia: qui la media (su sette temi) è di 2 punti di allontanamento dall’elettore medio, che però nel dettaglio rivelano 7 punti di allontanamento sul promuovere la globalizzazione economica (il Pd del 2018 è l’unico partito con un elettorato favorevole, con Fi sulla posizione neutrale di 50 e gli altri partiti che invece la vogliono limitare), e 3 punti di allontanamento dalla media su pensioni e reddito di cittadinanza. Lo spostamento sulla libertà di licenziare invece non produce un aumento di distanza (anzi, la distanza dalla media si riduce) semplicemente perché i 4 punti di spostamento a destra si traducono in uno “scavallamento” (vedi sopra) per cui la distanza è ancora molto bassa. Tuttavia l’interpretazione complessiva è molto chiara: rispetto agli altri partiti, il Pd di oggi è un partito con un elettorato più piccolo e più radicale rispetto al 2013: più a favore di Europa e immigrazione, più di destra sull’economia. Una “piccola radicalizzazione” che però produce il risultato paradossale per cui (cifre non riportate qui per brevità) il Pd e la Lega sono oggi i due partiti più radicali, ovvero che hanno posizioni più distanti dall’elettore medio; mentre Fi e M5S, che hanno elettorati meno estremi e caratterizzati. Si tratta di un risultato che vale in tutte e quattro le aree tematiche considerate.

Se dovessimo applicare la teoria economica della democrazia di Anthony Downs (1957), ci riterremmo autorizzati a pensare che questo allontanamento del Pd dall’elettore medio sia tra le cause del disastro elettorale del 4 marzo. Tuttavia per giungere a queste conclusioni sono ancora necessarie ulteriori analisi. Per adesso tuttavia non si può non registrare che oggi – rispetto al 2013 – l’elettorato del Pd è più radicale, e ricorda maggiormente il vecchio Partito Radicale.

Lorenzo De Sio è professore ordinario di Scienza Politica presso la LUISS Guido Carli, e direttore del CISE - Centro Italiano di Studi Elettorali. Già Jean Monnet Fellow presso lo European University Institute, Visiting Research Fellow presso la University of California, Irvine, e Campbell National Fellow presso la Stanford University, è membro di ITANES (Italian National Election Studies), ha partecipato a vari progetti di ricerca internazionali, tra cui “The True European Voter”(ESF-COST Action IS0806), the “EU Profiler” (2009) e EUandI (2014), e di recente ha dato vita al progetto ICCP (Issue Competition Comparative Project). I suoi interessi di ricerca attuali vertono sull'analisi quantitativa dei comportamenti di voto e delle strategie di partito in prospettiva comparata, con particolare attenzione al ruolo delle issues. Tra le sue pubblicazioni, accanto a vari volumi in italiano e in inglese, ci sono articoli apparsi su American Political Science Review, Comparative Political Studies, Electoral Studies, Party Politics, West European Politics, South European Society and Politics, oltre che su numerose riviste scientifiche italiane. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.