Il fatidico 26 maggio è alle porte: quali gli interrogativi per l’Italia e l’Europa?

Alla vigilia del voto del 26 maggio, risulta interessante chiarire quali saranno i dati da osservare con particolare attenzione durante la notte elettorale per comprendere le dinamiche del voto sia in Italia che in Europa.

La letteratura sulle elezioni europee ci dice come queste ultime possano essere considerate quali elezioni di “secondo ordine” (Reif e Schmitt 1980). Queste sono tutte quelle consultazioni in cui in gioco non c’è il governo del paese. In questo tipo di elezioni, la posta in gioco è inferiore, e, di conseguenza, i cittadini sono più liberi di esprimere sinceramente il proprio voto, senza considerazioni di tipo strategico (Cox 1997). Sulla base di questa teoria, ci aspettiamo che, a parità di altre condizioni, la partecipazione elettorale sia più basse di quella delle elezioni politiche nazionali (quelle di “primo ordine”). Inoltre, con riferimento ai risultati elettorali dei partiti, ci aspettiamo che, sempre a parità di altre condizioni, subiscano un arretramento elettorale rispetto alle precedenti elezioni politiche: 1) i partiti di governo; 2) i partiti grandi; 3) i partiti ideologicamente moderati. Al contrario, la teoria prevede avanzate elettorali per: 1) i partiti di opposizione; 2) i partiti piccoli; 3) i partiti ideologicamente più estremi.

Inoltre, la letteratura ci dice anche che occorre considerare il momento in cui queste cadono all’interno del ciclo politico nazionale. Sappiamo infatti che la popolarità del governo ha un andamento ciclico nel corso della legislatura (Campbell 1960; Miller e Mackie 1973; Tufte 1975; Stimson 1976), con un alto livello di consenso durante la fase iniziale della “luna di miele”, e un calo via via crescente fino a circa (poco dopo) la metà della legislatura, per poi risalire nella fase finale. Quindi, a parità di altre condizioni, i governi in carica andranno tanto meglio quanto più le elezioni europee si tengono vicine al loro insediamento, e tanto peggio, invece, quanto più sono vicine alla metà della legislatura.

Tenuto conto di queste premesse generali, di seguito elenchiamo quindi i principali temi di interesse e chiavi interpretative di questa cruciale tornata elettorale.

Italia

  • 1.TENUTA DELLA MAGGIORANZA DI GOVERNO

Il primo tema di interesse riguarda la tenuta elettorale dell’area di governo. Un anno fa, alle elezioni politiche del 4 marzo, i due partiti che formano il governo Conte raggiunsero il 50% abbondante dei voti validi, con il M5S al 32,7% e la Lega al 17,4%.

In linea con quanto detto sopra circa il ciclo politico nazionale, cinque anni fa il partito principale del governo appena insediatosi (il PD di Matteo Renzi) raccolse un risultato davvero lusinghiero. Mentre, nella fase della sua luna di miele, i principali partiti dell’opposizione arretrarono vistosamente.

Oggi, a quasi un anno dall’insediamento del governo giallo-verde, dovremo capire se la luna di miele del paese con il governo è ancora in corso, o se è iniziato il calo della popolarità del governo. In questo, la soglia da monitorare sarà quella del voto delle politiche: il 50%. Al di sopra, il governo potrà cantare vittoria, indicando una sintonia con gli umori del paese; al di sotto, invece, registreremmo una sconfitta delle forze di governo.

  • 2. RAPPORTI DI FORZA TRA I PARTITI

Al di là del successo dell’area del governo nel suo complesso, naturalmente sarà importante fare attenzione ai rapporti di forza fra i partiti, all’interno del governo ma non solo. Come ormai nostra consuetudine, noi proponiamo delle soglie benchmark che non derivano dalle aspettative basate sui sondaggi delle ultime settimane. Piuttosto, ci appoggiamo ai veri risultati elettorali del passato, a partire dalla considerazione che molto spesso per sviluppare modelli matematici di un fenomeno è spesso utile partire da assunti elementari (Taagepera 2008). In particolare, ci riferiamo all’indicatore che abbiamo elaborato: i rendimenti elettorali (RE) dei partiti calcolati come capacità di trasporre, in una data elezione di secondo ordine, il proprio consenso elettorale delle elezioni politiche nazionali (De Sio e Paparo 2018).

La Tabella 1 mostra sinteticamente quali furono, per i principali partiti italiani, questi rendimenti nelle Europee 2014 rispetto alle politiche 2013 e, quando possibile, nelle Europee 2009 rispetto alle politiche 2008. L’ultima colonna della tabella mostra quale sarebbe il risultato elettorale delle Europee 2019 se quel partito ripeterà, quest’anno rispetto alle politiche dell’anno scorso, il proprio rendimento fatto osservare nei cicli precedenti. In altri termini, si tratta di una stima che mostra quale sia il risultato elettorale atteso per i diversi partiti. Ad esempio, la Lega sia nel 2009 che nel 2014 andò alle Europee meglio che alle politiche. Al contrario, il partito di Berlusconi ha avuto un rendimento negativo alle europee rispetto alle politiche in entrambi i cicli elettorali. Quindi, una certa crescita delle Lega, e un parallelo calo di Forza Italia appaiono ragionevoli da prevedere.

Naturalmente, si tratta di una stima elaborata a partire da solo uno o due cicli passati, quindi inevitabilmente non molto robusta. Tuttavia, questi sono gli unici dati disponibili per i partiti in corsa, molti dei quali non esistevano nella forma attuale prima. Inoltre, si tratta di una stima che non tiene conto del particolare momento di popolarità o meno dei vari partiti. Proprio per questo, però, essa fornisce un benchmark, che ci permette di valutare lo stato di forma elettorale del partito, che sarà positivo se al di sopra della nostra aspettativa, o viceversa negativo se rimarrà al di sotto.

Come si vede, il M5S potrà dirsi soddisfatto se riuscirà a non scendere al di sotto del 27,1%. Sotto questa soglia, saremmo di fronte a una inequivocabile sconfitta elettorale, tanto più grande quanto più ci si dovesse allontanare da tale benchmark. La Lega potrà cantare vittoria, se sarà al di sopra del 23,8%. Siccome per molti mesi, i sondaggi hanno dato il partito di Salvini ampiamente sopra il 30%, con la conseguenza che un risultato al di sotto di tale livello potrebbe non essere percepito come un successo. In realtà, come spesso accade, le aspettative sulla base dei sondaggi portano a delle distorsioni interpretative. Innanzitutto, qualunque risultato al di sopra del 17,4% raccolto alle scorse politiche, sarebbe il miglior della sua storia. Inoltre, anche in considerazione del tradizionale miglior rendimento alle Europee fatto registrare dalla Lega in passato, sopra il 23,8% saremmo di fronte a risultati che vanno al di là di questo tradizionale elemento, ma che segnalerebbero un successo della strategia di Salvini. Per il PD la soglia da monitorare è il 22,4%: al di sopra si potrà dire che la segreteria Zingaretti è partita con un successo. Al di sotto, invece, si dovrebbe di nuovo parlare di flop, anche se, magari, in crescita rispetto alle politiche 2018.

Tab. 1 – Rendimenti elettorali dei principali partiti italiani alle elezioni europee rispetto alle politiche di un anno prima[1]ree

Un ulteriore elemento che occorre tenere a mente è quello della concomitanza con le elezioni amministrative. Infatti, In circa la metà dei comuni italiani, le elezioni Europee si terranno insieme al primo turno delle comunali (3.779 di 7.915), mentre in Piemonte si terranno anche le elezioni regionali. Questo non è un elemento secondario, ma che anzi potrebbe giocare un ruolo importante, soprattutto nella mobilitazione degli elettori. Infatti, dove si vota per le comunali, oltre alla campagna elettorale nazionale, sono in campo i candidati sindaci e i consiglieri comunali. Questo elemento introduce un forte elemento di personalizzazione che tradizionalmente avvantaggia certi partiti e ne svantaggio di altri (Paparo e Cataldi 2014). Soprattutto, sono avvantaggiati i partiti con una storia di radicamento locale sui territori e quelli che possono contare su notabili con un forte consenso personale sul piano locale. Inoltre, la contemporaneità fra Europee e amministrative non è omogenea sul piano nazionale, ma presenta un profilo prevalentemente centro-settentrionale. Infatti, se è vero a livello nazionale, circa la metà dei comuni vota anche per le comunali, una percentuale molto più bassa è chiamata al voto al Sud, mentre assai di più sono quelli della Zona Rossa e del Nord. Mentre per vari partiti questi due fattori tirano in direzione opposta, entrambi questi elementi sembrano invece giocare a favore del PD che, come è noto, è tradizionalmente ben radicato sul piano locale e ha la propria area di forza elettorale proprio nelle regioni maggiormente interessate dal voto amministrativo.

  • 3. PARTITI A SEGGI

Infine, un aspetto cruciale da valutare, al di là delle performance elettorali, risiede nella capacità di ottenere rappresentanza nel Parlamento Europeo. In questo senso, un ulteriore dato da monitorare durante la notte elettorale sarà quello relativo al numero di partiti in grado di superare la soglia di sbarramento del 4%. Gli ultimi sondaggi prima del black-out sembravano suggerire che tale obiettivo potrebbe essere centrato non solo dai quattro partiti principali, ma anche da Fratelli d’Italia e forse Più Europa (De Sio e Angelucci 2019). Al contrario, le forze alla sinistra del PD sembrano avere poche chance di entrare a Strasburgo.

Nel 2014, la soglia fu superata da sei partiti con l’SVP che ottenne un seggio pur senza avere raggiunto la soglia per via delle norme a tutela delle minoranze linguistiche. Questo, nonostante il fatto che un solo partito sia stato in grado di concentrare su di sé il 40% dei voti. Quest’oggi, una simile concentrazione non sembra possibile, cosa che potrebbe lasciare maggiori opportunità per i piccoli partiti (quelli che i sondaggi accreditano fra l’1% e il 4­%) di giocarsi l’accesso ai seggi. Staremo a vedere se davvero sarà così.

Europa

  • 4. GOVERNABILITÀ E MAGGIORANZA

Il principale punto di interesse sul piano europeo riguarda la governabilità dell’Unione, e quindi la presenza di una maggioranza parlamentare politicamente compatibile. Tradizionalmente, l’UE è governata attraverso una grande coalizione fra popolari e socialisti europei. Così è stato anche nell’ultima legislatura europea, retta dalla Commissione Juncker. Sarà ancora così? O il declino elettorale dei socialisti, particolarmente rilevante in taluni paesi – quali Francia, Paesi Bassi, (Emanuele e Paparo 2018) renderà necessario un nuovo formato? E quale potrà essere?

L’ipotesi meno dirompente prevede l’inclusione organica dei liberali dell’ALDE non solo nella composizione della Commissione, ma anche nella maggioranza parlamentare. Tra l’altro, l’ALDE è accreditato dalle proiezioni della vigilia di una grande crescita rispetto al 2014, comparabile con quella dei sovranisti, grazie alla nascita di partiti come En Marche! in Francia e Ciudadanos in Spagna. Questa soluzione garantirebbe una continuità rispetto agli indirizzi tradizionali dell’Unione.

Altri scenari, invece, comporterebbero un più marcato cambiamento delle politiche rispetto al passato. Il primo è un allargamento a sinistra della coalizione di governo, che includa i Verdi, i quali in alcuni paesi hanno recentemente mostrato un ottimo stato di forma (Germania e Francia in primis).

Un’altra possibile opzione, riguarda l’allargamento dell’area di governo verso destra, a costo però di una uscita dei socialisti. Su questo fronte, i possibili partner da includere sono almeno due: i conservatori e i sovranisti. I primi sono il gruppo per lo più formato dai Tories inglesi e dal Pis polacco (oltre che FDI per l’Italia). Il secondo è invece il gruppo dei partiti radicali di estrema destra (Mudde 2007): le Lega per l’Italia, il FN in Francia, AFD in Germania, Vox in Spagna, PVV in Olanda, e probabilmente anche il nuovo Brexit Party di Farage – atteso dai sondaggi a un successo straordinario.

Naturalmente i numeri saranno decisivi. Cinque anni fa, ad esempio, una maggioranza sovranisti, conservatori e popolari non c’era. Stavolta potrebbe esserci, anche se diverse proiezioni degli ultimi giorni sembrano indicare che ciò sia altamente improbabile. Tuttavia, certo alla luce dei numeri, la scelta strategica decisiva sarà politica, e spetterà ai popolari europei. Il PPE è un agglomerato eterogeneo, al cui interno albergano sia forze vicine alle tradizionali politiche europee (rappresentate perfettamente dalla CDU di Angela Merkel), ma anche forze diverse che di fronte alla concreta scelta se governare con sovranisti o i socialdemocratici, nei loro paesi hanno scelto i primi – Kurz in Austria, ma anche Berlusconi in Italia, per non parlare di Orban in Ungheria.

  • 5. LA BREXIT E LE SUE CONSEGUENZE

L’ultimo elemento che occorre considerare riguarda le conseguenze della Brexit sulla composizione del Parlamento Europeo, e quindi il suo funzionamento. In dettaglio, come nel 2014, saranno eletti 751 deputati europei, compresi i 73 del Regno Unito. Tuttavia, è già previsto che, appena la Brexit sarà finalizzata, di questi 73 seggi, 27 saranno redistribuiti ad alcuni dei paesi membri, mentre 46 non lo saranno[2]. Il Parlamento Europeo diventerà quindi di 705 deputati. Ora, questo impatta sulla governabilità. Infatti, fintanto che la Brexit non sarà ultimata, la maggioranza richiederà 376 deputati (compresi quelli inglesi), mentre dopo ne saranno necessari 353 (ovviamente senza gli inglesi). Ciò potrebbe comportare che la maggioranza post-elettorale pre-Brexit non abbia più i numeri all’indomani della Brexit, tanto più se i partiti con più seggi in Inghilterra saranno parte della maggioranza.

Riferimenti bibliografici

Campbell, A. (1960), «Surge and Decline: A Study of Electoral Change». Public Opinion Quarterly 24 (3): 397–418.

Cox, G. (1997), Making votes count, Cambridge, Cambridge University Press, 1997.

De Sio, L. e D. Angelucci (2019), «Sondaggio CISE: Lega primo partito, ma appena intorno al 30% – e il “sorpasso” PD si allontana». Disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/05/09/sondaggio-cise-lega-primo-partito-ma-appena-intorno-al-30-e-il-sorpasso-pd-si-allontana/

De Sio, L. e A. Paparo (2018), «Comunali: chi potrà dire di aver vinto?». Disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2018/06/06/comunali-chi-potra-dire-di-aver-vinto/

Emanuele, V. e A. Paparo (a cura di) (2018), Dall’Europa alla Sicilia. Elezioni e opinione pubblica nel 2017, Dossier CISE(10), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali.

Miller, W. L., e Mackie, M. 1973. «The Electoral Cycle and the Asymmetry of Government and Opposition Popularity: An Alternative Model of the Relationship Between Economic Conditions and Political Popularity». Political Studies 21 (3): 263–279.

Mudde, C. (2007). Populist radical right parties in Europe. Cambridge, Cambridge University Press.

Paparo, A. e M. Cataldi, «Fi si salva alle Europee anche grazie alla concomitanza con le comunali», in De Sio, L., Emanuele, V. e Maggini, N. (a cura di) Le Elezioni Europee 2014, Dossier CISE(6), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 159-163.

Reif, K., e H. Schmitt. 1980. «Nine Second-Order National Elections–a Conceptual Framework for the Analysis of European Election Results». European Journal of Political Research 8 (1): 3–44.

Shugart, M. S. 1995. «The Electoral Cycle and Institutional Sources of Divided Presidential Government». American Political Science Review 89 (2): 327–343.

Stimson, J. A. 1976. «Public Support for American Presidents A Cyclical Model». Public Opinion Quarterly 40 (1): 1–21.

Taagepera, R. (2008), Making social sciences more scientific: The need for predictive models, Oxford, Oxford University Press.

Tarli Barbieri, G. (2019), ‘Requiem per una defunta… C’era una volta la riserva di legge in materia elettorale’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/05/25/requiem-per-una-defunta-cera-una-volta-la-riserva-di-legge-in-materia-elettorale/

Tufte, E. R. 1975. «Determinants of the Outcomes of Midterm Congressional Elections». American Political Science Review 69 (3): 812–826.


[1] Per il 2008 e 2009 i risultati di Forza Italia e Fratelli d’Italia sono quelli del PDL, la lista unitaria che li conteneva entrambi.

[2] Tra questi, 3 seggi in più andranno all’Italia, portando il totale della nostra delegazione a Strasburgo a 76 unità. Ciò ha creato un vuoto normativo circa come vadano eletti questi 3 eurodeputati italiani aggiuntivi, che è stato recentemente colmato dalla Corte di Cassazione – non senza polemiche (Tarli Barbieri 2019).

Vincenzo Emanuele è professore associato in Scienza Politica presso la LUISS Guido Carli di Roma. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienza della Politica presso la Scuola Normale Superiore (ex SUM) di Firenze con una tesi sul processo di nazionalizzazione del voto in Europa occidentale e le sue possibili determinanti. La sua tesi ha vinto il Premio 'Enrico Melchionda' conferita alle tesi di dottorato in Scienze Politiche discusse nel triennio 2012-2014 e il Premio 'Celso Ghini' come miglior tesi di dottorato in materia elettorale del biennio 2013-2014. È membro del CISE, di ITANES (Italian National Election Studies) e del Research Network in Political Parties, Party Systems and Elections del CES (Council of European Studies). I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle elezioni e i sistemi di partito in prospettiva comparata, con particolare riferimento ai cleavages e ai processi di nazionalizzazione e istituzionalizzazione. Ha pubblicato articoli su European Journal of Political research, Comparative Political Studies, Party Politics, South European Society and Politics, Government and Opposition, Regional and Federal Studies, Journal of Contemporary European Research, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. La sua prima monografia Cleavages, institutions, and competition. Understanding vote nationalization in Western Europe (1965-2015) è edita da Rowman and Littlefield/ECPR Press (2018), mentre la seconda The deinstitutionalization of Western European party systems è edita da Palgrave Macmillan. Sulle elezioni italiane del 2018, ha curato la Special Issue di Italian Political Science ‘Who’s the winner? An analysis of the 2018 Italian general election’. Clicca qui per accedere sito internet personale. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.
Aldo Paparo è ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università di Firenze. È stato assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Politiche alla LUISS Guido Carli. Dopo il conseguimento del dottorato è stato W. Glenn Campbell and Rita Ricardo-Campbell National Fellow presso la Hoover Institution alla Stanford University, dove ha condotto una ricerca sulla identificazione di partito in chiave comparata. Ha conseguito con lode il dottorato di ricerca in Scienza della Politica presso la Scuola Normale Superiore (ex SUM) di Firenze, con una tesi sugli effetti del ciclo politico nazionale sui risultati delle elezioni locali in Europa occidentale. Ha conseguito con lode la laurea magistrale presso Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze, discutendo una tesi sulle elezioni comunali nell’Italia meridionale. Le sue principali aree di interesse sono i sistemi elettorali, i sistemi politici e il comportamento elettorale, con particolare riferimento al livello locale. Ha co-curato numerosi volumi della serie dei Dossier CISE; e ha pubblicato articoli scientifici su South European Society and Politics, Italian Political Science, Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, Contemporary Italian Politics e su Monkey Cage. È stato inoltre co-autore di un capitolo in Terremoto elettorale (Il Mulino 2014). È membro dell’APSA, della MPSA, della ESPA, della ECPR, della SISP e della SISE. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.