Il M5S “resiste” solo nelle province a maggior richiesta di assistenzialismo

Il Movimento Cinque Stelle ha subito la più grave sconfitta elettorale della sua storia. Si è fermato al 17.1%, cedendo oltre 15 punti percentuali rispetto alle politiche del 4 marzo 2018 e lasciando sul campo oltre 6 milioni di voti. Questo calo è stato più o meno omogeneo fra le diverse aree del paese (fra 13 e 17 punti nelle cinque circoscrizioni) e le diverse province (con un calo mai inferiore ai 10 punti percentuali). Eppure, considerando il profilo territoriale del M5S del 2018, il risultato è una ulteriore accentuazione della meridionalizzazione del partito che, come vediamo nella mappa riprodotta nella Figura 1, quasi scompare dal Nord del paese (11,1% nel Nord Ovest e 10,3% nel Nord Est) mentre, seppur ridimensionato, rimane il primo partito del Sud con poco meno del 30% dei voti. Se assumiamo una prospettiva di comparazione storica, la meridionalizzazione di un grande partito in Italia non è un segno di buona salute. La Democrazia Cristiana e il Partito Socialista nella Prima Repubblica, Forza Italia nella fase terminale della Seconda Repubblica hanno tutti mostrato un forte trend di concentrazione del consenso nelle regioni meridionali che è coinciso con il loro declino elettorale dopo i fasti degli anni di governo.

Figura 1. Mappa del risultato elettorale 2019 del M5S per provincia

Mappa M5sA questo punto, la domanda che ci poniamo, è cosa spieghi oggi il consenso al partito di Di Maio. Alle politiche del 2018, la nostra analisi ecologica sul voto mostrava la forte correlazione con il tasso di disoccupazione (Emanuele e Maggini 2018). In altri termini, tenuto conto della zona geopolitica, il M5S otteneva le sue migliori performance laddove la disoccupazione era più forte. Abbiamo replicato l’analisi dello scorso anno, aggiungendo però due variabili che hanno riguardato l’azione del governo giallo-verde. In particolare, abbiamo aggiunto, ai tradizionali controlli socio-demografici e politici, la percentuale (sul totale della popolazione della provincia) di domande di reddito di cittadinanza e la percentuale (sul totale della popolazione compresa fra 15 e 64 anni della provincia) di domande di quota 100. Il risultato è molto interessante. Come vediamo nella Figura 2, il M5S ottiene le sue migliori performance nelle province nelle quali c’è stato un maggior numero di domande di reddito di cittadinanza. Questo effetto è significativo con una confidenza del 99% anche controllando per una serie di variabili politiche e socio-demografiche. In particolare, nel modello di regressione abbiamo controllato per zona geopolitica, performance del M5S nel 2018 (anche questo effetto è ovviamente positivo e significativo), PIL pro capite, percentuale di disoccupazione, percentuale di stranieri residenti, domande di quota 100. Naturalmente, nel complesso delle province italiane, osserviamo una forte correlazione fra disoccupazione e domande di reddito di cittadinanza. Per questo motivo, abbiamo anche controllato che l’effetto trovato nel modello di regressione non fosse il frutto della multicollinearità fra queste due variabili. Il risultato è confortante da questo punto di vista. Le domande di reddito di cittadinanza spiegano il voto al M5S anche togliendo il controllo della disoccupazione dal modello, mentre il tasso di disoccupazione non spiega il voto al M5S (come invece accadeva nel 2018) anche quando eliminiamo la percentuale di domande di reddito di cittadinanza. Questo ci dice che nel 2018 il M5S era il partito che più di ogni altro riceveva consensi nelle aree con una maggiore domanda di attenzione ai temi sociali. Nel 2019, invece, sembra che il M5S abbia resistito soltanto nelle aree dove è più forte la domanda di assistenzialismo, perdendo la sua capacità di presa nelle aree che, seppur socialmente ed economicamente svantaggiate, sembrano manifestare una domanda di lavoro più che di sussidi.

Nel complesso, quindi, considerando sia la geografia del voto sia l’analisi ecologica, il M5S è oggi un partito che, rispetto solo ad un anno fa, ha perso centralità nell’elettorato italiano, riducendo la propria forza elettorale alle aree di maggiore perifericità territoriale e sociale.

Figura 2. Associazione fra performance del M5S e domande di reddito di cittadinanza sul totale della popolazione per provincia (N=105)

Reddito figura

 

Vincenzo Emanuele è professore associato in Scienza Politica presso la LUISS Guido Carli di Roma. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienza della Politica presso la Scuola Normale Superiore (ex SUM) di Firenze con una tesi sul processo di nazionalizzazione del voto in Europa occidentale e le sue possibili determinanti. La sua tesi ha vinto il Premio 'Enrico Melchionda' conferita alle tesi di dottorato in Scienze Politiche discusse nel triennio 2012-2014 e il Premio 'Celso Ghini' come miglior tesi di dottorato in materia elettorale del biennio 2013-2014. È membro del CISE, di ITANES (Italian National Election Studies) e del Research Network in Political Parties, Party Systems and Elections del CES (Council of European Studies). I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle elezioni e i sistemi di partito in prospettiva comparata, con particolare riferimento ai cleavages e ai processi di nazionalizzazione e istituzionalizzazione. Ha pubblicato articoli su European Journal of Political research, Comparative Political Studies, Party Politics, South European Society and Politics, Government and Opposition, Regional and Federal Studies, Journal of Contemporary European Research, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. La sua prima monografia Cleavages, institutions, and competition. Understanding vote nationalization in Western Europe (1965-2015) è edita da Rowman and Littlefield/ECPR Press (2018), mentre la seconda The deinstitutionalization of Western European party systems è edita da Palgrave Macmillan. Sulle elezioni italiane del 2018, ha curato la Special Issue di Italian Political Science ‘Who’s the winner? An analysis of the 2018 Italian general election’. Clicca qui per accedere sito internet personale. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.
Nicola Maggini è ricercatore in scienza politica. È membro del laboratorio di ricerca spsTREND "Hans Schadee" presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano, del CISE (Centro Italiano Studi Elettorali) e di ITANES (Italian National Election Study). In precedenza è stato Jean Monnet Fellow presso lo Schuman Centre for Advanced Studies dell’Istituto Universitario Europeo e ha partecipato a due progetti di ricerca europei Horizon 2020: Sirius-Skills and Integration of Migrants, Refugees and Asylum Applicants in European Labour Markets e TransSol-Transnational solidarity at times of crisis. Si è addottorato, con lode, in Scienza della Politica all’Istituto Italiano di Scienze Umane nel marzo 2012. Ha pubblicato articoli in diverse riviste scientifiche italiane e internazionali, tra cui European Political Science Review, Journal of Common Market Studies, West European Politics, American Behavioral Scientist, South European Society and Politics, Italian Political Science Review, Journal of Contemporary European Research, Quality & Quantity, Italian Political Science, Italian Journal of Electoral Studies, International Sociology e Quaderni di Scienza Politica. Ha pubblicato, per Palgrave MacMillan, il libro Young People’s Voting Behaviour in Europe. A Comparative Perspective (Palgrave Macmillan, 2016). È inoltre coautore di diversi capitoli in volumi collettanei e ha co-curato numerosi volumi della serie dei Dossier CISE. Ha curato (con Andrea Pedrazzani) Come siamo cambiati? Opinioni, orientamenti politici, preferenze di voto alla prova della pandemia (Fondazione Feltrinelli, 2021). Infine, è autore di diverse note di ricerca pubblicate nella serie dei Dossier CISE. I suoi interessi di ricerca si concentrano sullo studio degli atteggiamenti e comportamenti socio-politici, dei sistemi elettorali, del comportamento di voto e della competizione partitica in prospettiva comparata.