Senza allarmi e senza (grandi) sorprese. Le elezioni parlamentari portoghesi del 2019

Per molti anni la politica portoghese è stata dominata dagli stessi, resilienti, attori politici. Questo contesto non è stato scosso nemmeno dalla crisi finanziaria dell’Eurozona e dal programma di salvataggio portoghese. La visibilità più elevata che questi partiti hanno ricevuto nei media ed un generalizzato cinismo politico dei cittadini portoghesi (che ironicamente gioca anche contro i nuovi arrivati ​​e i cambiamenti dello status quo) hanno contribuito in modo significativo al mantenimento di questa situazione.

Dal 1999 fino al 2015, il parlamento portoghese (Assembleia da República) è stato composto dagli stessi sei partiti. I due principali attori in parlamento sono il Partido Socialista (PS) di centrosinistra (partito governativo dal 2015) e il Partido Social Democrata di centrodestra (PSD). Soprattutto dal 1987, e nonostante un sistema elettorale di natura proporzionale, il sistema politico portoghese è stato un sistema dominato da questi due partiti, che insieme hanno costantemente ottenuto almeno il 60% dei voti, alternandosi nella guida del governo. Un altro partito che è stato rappresentato in parlamento sin dalle prime elezioni legislative, nel 1976, è il Partido Popular di destra/centro-destra (CDS-PP). Nonostante sia molto più piccolo, questo partito è stato al governo in diverse occasioni, principalmente nei governi di coalizione con PSD, avendo per questo motivo un ruolo e una storia importanti nella politica portoghese. I restanti partiti che hanno avuto una presenza piuttosto costante nel parlamento portoghese sono il Partido Comunista Português (PCP), Bloco de Esquerda (BE) e il Partido Ecologista “Os Verdes” (PEV). Mentre il BE è entrato in parlamento per la prima volta nel 1999, il PCP (il più antico partito portoghese) è sempre stato in parlamento sin dalle prime elezioni legislative libere. Diversamente, il PEV è un partito minore ecologista, il cui reale peso elettorale è di fatto sconosciuto, poiché ha sempre eletto i suoi parlamentari in una coalizione elettorale con il PCP.

La stabilità del sistema partitico portoghese è stata finalmente scossa nel 2015, quando il nuovo partito Pessoas-Animais-Natureza (PAN) è riuscito ad eleggere un parlamentare nella più grande circoscrizione elettorale del paese (Lisbona), unendosi al club dei partiti con seggi parlamentari. La composizione parlamentare risultante dalle elezioni del 2015 e la soluzione del governo trovata in seguito a quelle elezioni sono cruciali per comprendere la campagna ed i risultati elettorali delle ultime elezioni di domenica. Nel 2015, a vincere le elezioni fu la coalizione di centrodestra formata dai due partiti allora al governo (PSD e CDS-PP), che aveva fatto affidamento su un programma incentrato sull’austerità per superare i problemi finanziari ed economici del Paese. Tuttavia, senza una maggioranza assoluta in parlamento, i due partiti non furono in grado di ottenere il sostegno parlamentare per un nuovo governo. L’alternativa (nota come Geringonça) fu allora un governo di minoranza del Partito Socialista, sostenuto dal BE e dal PCP. Con questa inaspettata e originale alleanza, il primo ministro António Costa (leader del PS) è stato in grado, contro la maggior parte delle previsioni, di completare il suo mandato.

Offerta politica e campagna elettorale

Oltre al PS di Antonio Costa, gli altri attori principali nelle elezioni del 2019 sono stati Rui Rio, leader di PSD dal 2018; Assunção Cristas, il nuovo leader di CDS-PP; Catarina Martins del BE; Jerónimo de Sousa, il leader di CDU; e, infine, il debuttante André Silva, leader del PAN. Oltre a questi cinque partiti, altri 16 partiti minori hanno partecipato alla tornata elettorale, per un totale record di 21 partiti. Con i sondaggi che prevedevano una chiara vittoria del PS (alcuni dei quali a maggioranza assoluta), le sfide e le strategie di campagna di questi diversi attori sono state naturalmente molto diverse. Per Costa e per il PS, era fondamentale vincere queste elezioni al fine di legittimare la Geringonça e il suo governo. Con un vantaggio sostanziale nei sondaggi, Costa ha condotto una campagna di “controllo automatico della velocità” (vale cioè a dire, difensiva e relativamente non informativa), agevolato anche dalle condizioni economiche e finanziarie favorevoli.

Con i sondaggi che prevedevano un risultato storicamente basso per il PSD e con una nutrita presenza di partiti di destra, il principale avversario di Costa, Rui Rio, ha dovuto affrontare un contesto molto più avverso. La sua leadership era stata fortemente contestata all’interno di un partito noto per le sue frequenti controversie interne. Una contestazione che ha portato alla creazione del partito Aliança (guidato dall’ex premier Pedro Santana Lopes) che, in teoria, aveva aperto un nuovo fronte di sfida per il PSD in queste elezioni. Nel complesso, la campagna elettorale portoghese del 2019, come è stato il caso delle più recenti campagne politiche, non è stata particolarmente informativa per l’elettorato, essendo principalmente concentrata su attacchi personali e non-temi (vale a dire, falsi problemi) come i cambiamenti nel menu della mensa universitaria o le indagini in corso relative alla scomparsa di armamenti da una base militare portoghese. I manifesti e le proposte politiche dei partiti, con poche eccezioni, sono rimasti in gran parte ai margini dalla campagna.

Risultati

Per quanto riguarda i risultati (Tab. 1), senza eclatanti colpi di scena, il PS è risultato il vincitore indiscusso con il 36,7% dei voti e 106 seggi parlamentari (almeno 20 seggi in più rispetto al 2015 – 4 seggi devono ancora essere attribuiti nelle circoscrizioni estere). Il secondo partito più votato è stato il PSD con il 27,9% dei voti e almeno 77 (12 in meno rispetto alle precedenti elezioni) dei 230 seggi in parlamento. Ancora una volta, i due principali partiti hanno ricevuto insieme quasi il 65% dei voti e l’80% dei seggi disponibili, rafforzando ancora di più, rispetto al 2015, la natura bipolare del sistema politico portoghese. Il terzo partito più votato è stato il BE con il 9,7% dei voti, che hanno consentito al partito di mantenere i suoi 19 parlamentari. L’altro partner della Geringonça, il CDU, è stato in qualche modo punito in queste elezioni (6,5%), ottenendo 12 seggi e perdendone 5. Il CDS-PP è stato il più grande fiasco delle elezioni (4,3%), perdendo 13 dei suoi 18 seggi parlamentari. Un risultato che rende questo partito -storicamente importante- una presenza quasi insignificante nella prossima legislatura. Il quinto partito più votato è stato ancora PAN, eleggendo questa volta 4 parlamentari con il 3,3% dei voti. Un enorme, ma atteso, successo per questo single-issue party che, in una logica post-ideologica, dichiara di non essere né di sinistra né di destra. Infine, tre nuovi partiti sono entrati in parlamento con un seggio (due dai partiti di destra Iniciativa Liberal (IL) e Chega! e uno dal partito di sinistra LIVRE).

In questo quadro di continuità con il passato, un dato cruciale è senz’altro relativo al livello estremamente basso di affluenza (54,5%), indicativo non solo di un certo disinteresse per la politica diffuso nella società portoghese, ma anche di una scarsa fiducia nei confronti dei partiti politici (secondo gli ultimi dati Eurobarometro di giugno 2019, il 77% dei portoghesi non si fida dei partiti politici) e di una scarsa capacità di questi stessi partiti (in particolare di quelli all’opposizione) di mobilitare una parte consistente dell’elettorato.

Cosa significano questi risultati per la politica e il governo portoghesi? In buona sostanza, tutto rimarrà (quasi) invariato. Senza una maggioranza assoluta, Costa ha già espresso il desiderio di rinnovare l’alleanza (Geringonça) con la sinistra (dato lo scarso risultato dei CDS, l’improbabile -ma non senza precedenti- cooperazione tra PS e CDS appare oggi impossibile). La differenza più grande è che, questa volta, il PS ha bisogno solo del sostegno di uno dei partiti che formavano il precedente governo di coalizione (il BE o la CDU) per avere la maggioranza assoluta in parlamento. Anche questi due partiti hanno espresso, non senza porre alcune condizioni, la volontà di aprire i negoziati, in particolare il BE che (in quanto terzo partito più votato) ha anche un certo margine di vantaggio rispetto alla CDU. Pertanto, ciò che non è chiaro ora è con chi e con quali condizioni (coalizione governativa o accordi di negoziazione su base annuale), il PS negozierà. Tutto ciò che sappiamo è che il Portogallo continuerà ad avere un governo ideologicamente schierato a sinistra e il fatto che, questa volta, il PS sia stato anche il partito più votato alle elezioni legittimerà maggiormente le soluzioni di governo proposte da questo partito. Se decidesse di dar vita ad un altro governo di minoranza, questa volta il PS potrà presentare non una, ma tre diverse possibili coalizioni (PS+BE, PS+BE+CDU, BS+CDU).

Data la storia politica portoghese, la tenuta della nuova Geringonça dipenderà in gran parte dall’evoluzione della situazione economica del paese (che è improbabile che si mantenga stabile come nei quattro anni precedenti). Pertanto, una coalizione di governo tra PS e BE potrebbe probabilmente offrire ai socialisti le migliori prospettive.

Per quanto riguarda il futuro degli altri partiti, il PSD, attraverserà molto probabilmente una nuova serie di controversie interne per la sua leadership. Benché il suo risultato non sia stato così negativo come previsto dai sondaggi, le richieste di un cambiamento al vertice sono già emerse dalle fazioni ideologicamente più radicali del partito. Assunção Cristas ha immediatamente annunciato la sua intenzione di lasciare la guida di CDS. È certo che nei prossimi anni il nuovo leader dovrà affrontare una sfida enorme per risollevare questo partito dalla sua quasi totale insignificanza politica. È probabile, invece, che tutti gli altri partiti più rilevanti mantengano la propria leadership.

Infine, due aspetti meritano di essere menzionati sui risultati di queste elezioni e sulle prospettive della politica portoghese. Il primo aspetto è che il Portogallo, con l’ingresso di Chega! nella politica del paese, si è unito per la prima volta all’ormai vasto club di paesi europei con partiti di estrema destra rappresentati in parlamento. Se questo possa costituire un motivo di allarme è difficile da dire, sebbene non pare vi siano oggi margini di crescita rilevanti per il partito. Il secondo aspetto è che il Portogallo, da quando è diventato una democrazia nel 1974, non ha mai avuto così tanti partiti (10) in parlamento. La presenza di un maggior numero di partiti (e quindi di prospettive) rappresentate in parlamento potrebbe favorire una maggiore vitalità del sistema politico e ridurre l’apatia politica dei cittadini portoghesi. Un numero maggiore di partiti con maggiore visibilità mediatica potrebbe infatti avere un effetto positivo sull’affluenza alle prossime elezioni, affluenza che questa volta si è fermata al 54,5% degli aventi diritto.

Tiago Silva ha conseguito un dottorato in Scienze Politiche e Sociali presso l'Istituto Universitario Europeo (EUI). Di recente è stato coinvolto in numerosi progetti che analizzano le elezioni europee, in particolare le campagne elettorali dei partiti politici. I suoi principali interessi di ricerca sono la comunicazione politica, le campagne elettorali online e l'integrazione europea. Attualmente è post-doc nell'ambito del progetto MAPLE (ICS-Lisboa).