Pd e M5s più vicini, ma non sull’Europa

L’Italia sta attraversando una fase storica sicuramente eccezionale, colpita duramente da una pandemia globale che ha forti ripercussioni negative sia dal punto di vista della salute pubblica che dal punto di vista sanitario. E dal punto di vista politico? Cosa pensano gli elettorati dei diversi partiti dell’attuale situazione, in particolare circa l’operato del governo, i rapporti dell’Italia con l’Europa e le misure da adottare in futuro per superare l’emergenza economica-finanziaria? In questa sede ci focalizziamo in particolare sulle opinioni degli elettorati dei due principali partiti che formano il governo, il M5s e il Pd, per capire se e in che misura la comune esperienza di governo di questi mesi, sottoposta alla dura prova della gestione di un’emergenza epocale, abbia forgiato una comunanza di vedute tra i due elettorati che possa fare da base per una futura alleanza elettorale. Il primo dato da cui partire è una breve analisi dei flussi elettorali tra le europee del 2019 e le intenzioni di voto registrate ad aprile 2020 dal sondaggio Winpoll per il Sole24Ore in collaborazione con il CISE[1] (Figura 1).

Fig. 1 – Flussi elettorali fra europee 2019 (sinistra) ed aprile 2020 (destra), percentuali sull’intero elettorato.

Restringendo lo sguardo sui bacini elettorali del M5s e del Pd, si nota subito come la convivenza al governo non abbia comportato flussi di voto tra i due partiti significativi: il Pd ha perso verso il M5s solo il 2% dei suoi elettori delle europee e il 4% degli elettori M5s si è spostato verso il Pd. In altre parole, non si è determinata una competizione sullo stesso bacino elettorale e nessuno dei due partiti sembra aver esercitato una egemonia tale da attrarre una parte significativa degli elettori dell’altro, come invece era successo ai tempi del governo “gialloverde” quando la Lega riuscì a “rubare” molti elettori al M5s (mentre adesso il partito di Salvini soffre la concorrenza di Fratelli d’Italia). Al riguardo c’è da segnalare come anche dopo le europee l’8% degli elettori del M5s oggi voterebbe per la Lega, quota però perfettamente identica a quelle degli elettori leghisti alle europee che oggi voterebbero per il M5s. L’altro flusso in uscita dal M5s di una qualche rilevanza (8%) è quello verso il non voto. L’unico flusso in uscita dal Pd invece significativo (12%) è verso Italia Viva, come era preventivabile visto che il partito di Renzi è nato da una scissione dal Pd. Nonostante ciò, comunque, l’elettorato del Pd di Zingaretti mostra un’alta fedeltà elettorale: l’82% è composto da elettori che lo avevano già votato alle europee. Molto simile è la fedeltà dell’elettorato pentastellato (80%).

Se quindi tra Pd e M5s non sembrano esserci vasi elettorali comunicanti, guardiamo se ci sono delle somiglianze in termini di atteggiamenti politici. Dal punto di vista valoriale, la prima somiglianza emerge dalla domanda che abbiamo posto circa il trade-off tra tutela dell’economia e tutela della salute dei cittadini (Tabella 1). Infatti la netta maggioranza degli elettori del Pd (79%) e del M5s (84,9%) si collocano sul versante della tutela della salute, in maniera nettamente maggiore rispetto alla media (58,7%) e differenziandosi chiaramente dagli elettori degli altri partiti, in particolare del centrodestra, tra cui prevale il principio della tutela dell’economia.

Tabella 1 –  “Lei con quale delle seguenti due affermazioni si trova più d’accordo? Tutelare la salute dei cittadini anche a costo di fermare l’economia; tutelare l’economia anche in presenza di rischi per la salute dei cittadini”.

Nel questionario avevamo poi posto delle domande su quali misure (tra aumenti di tasse e tagli alla spesa) in futuro potrebbero rivelarsi opportune per rientrare dall’aumento del debito pubblico reso necessario per sostenere l’economia. Come si può vedere dalla Tabella 2, la maggioranza degli intervistati reputa che non sia opportuno aumentare le tasse, mentre la maggioranza degli elettori del M5s e soprattutto del Pd reputa che sarà opportuno farlo in futuro. Da questo punto di vista gli elettorati dei due partiti al governo si differenziano dalle posizioni degli elettori degli altri partiti, che sono invece nettamente contrari a un futuro aumento delle tasse (specialmente gli elettori del centrodestra). Da notare che gli elettori del M5s si collocano in una posizione più intermedia (il 44% non vuole nessun aumento di tasse), ma comunque più sbilanciata verso sinistra (nella sua accezione più tradizionale). E il tipo di tassa che incontra chiaramente il maggiore consenso tra i due elettorati è la patrimoniale (escludendo la prima casa): è appoggiata dal 45,7% degli elettori del M5s e dal 65,3% degli elettori del Pd. Nettamente minoritarie tra tutti gli elettori sono invece le posizioni a favore di un aumento di altre forme di tassazione (reddito persone fisiche, prima casa, prelievo sui conti correnti, iva, tasse sulle imprese).

Tabella 2 – “Quali tasse sarebbe giusto aumentare o introdurre?” (Risposte multiple).

La maggioranza degli intervistati senza, grosse distinzioni tra elettori di diversi partiti, sembra al contrario non disdegnare l’opzione dei tagli alla spesa (Tabella 3). In questo caso la voce di spesa più sgradita è quella legata al funzionamento dei ministeri, regioni, comuni e altre amministrazioni dello stato. In questa senso la maggioranza (50,5%) degli elettori del M5s è a favore del taglio di queste spese, mentre tra gli elettori del Pd la percentuale di chi sostiene questa opzione si abbassa al 39,9%. Ovviamente qui pesa la tradizionale retorica “anti-casta” e antipolitica del movimento fondato da Beppe Grillo. Un altro dato interessante è che gli elettori dei due partiti al governo sono accomunati dalla difesa dei sussidi di welfare (sussidi di disoccupazione, ammortizzatori sociali, reddito di cittadinanza), mentre più di un terzo degli elettori degli altri partiti sono per tagliare questa voce di spesa, probabilmente anche a causa della presenza del reddito di cittadinanza tra i sussidi citati, una misura molto connotata politicamente essendo stata la bandiera del M5s (i cui elettori infatti sono i più contrari a ridurre queste misure di welfare). Infine, le altre voci di spesa (in primis servizio sanitario nazionale, ricerca, istruzione e università) non vogliono essere tagliate dalla stragrande maggioranza degli intervistati (con una quota non del tutto insignificante di elettori Pd, forse di convinzioni anti-militariste, che vorrebbe ridurre le spese per forze dell’ordine e forze armate).

Tabella 3 – “Quali prestazioni o servizi sarebbe giusto ridurre?” (Risposte multiple).

Oltre che dalle politiche fiscali, gli elettorati di Pd e M5s sono accomunati anche dal giudizio sul governo Conte II (Tabella 4), anche se con delle sfumature diverse. La stragrande maggioranza degli elettori dei due partiti è soddisfatta di come il governo ha affrontato finora l’emergenza sanitaria (88,4% degli elettori Pd e 95,2% degli elettori M5s), mentre il totale degli intervistati si divide sostanzialmente a metà. Se si prende in considerazione l’operato del governo circa la gestione della emergenza economica, la soddisfazione nei due elettorati permane, ma quello del Pd si mostra più freddo: un terzo infatti si dichiara insoddisfatto. Tra tutti gli intervistati l’insoddisfazione raggiunge i due terzi.

Tabella 4 – “Quanto è soddisfatto di come il governo sta gestendo l’emergenza sanitaria e l’emergenza economica”?

Che il giudizio positivo sul governo di Giuseppe Conte sia un elemento che accomuna i due elettorati e li differenzia dagli elettori degli altri partiti, lo si capisce anche dalle risposte circa la possibilità di creare un governo di unità nazionale per gestire la ricostruzione economica (Tabella 5). Infatti, la stragrande maggioranza degli elettori del Pd (84,1%) e del M5s (93,6%) è a favore del mantenimento dell’attuale governo. Significativo è anche il fatto che l’opzione governo di unità nazionale sia minoritaria anche tra gli elettori degli altri partiti, tra i quali prevale nettamente l’opzione elezioni anticipate. Il governo di unità nazionale di cui si parla tanto sui giornali sembra quindi essere al momento un’opzione minoritaria nel paese. E se si dovesse formare un governo di unità nazionale, un terzo degli intervistati vorrebbe che a guidarlo fosse Mario Draghi. Tuttavia, la figura dell’ex presidente della Bce non riscontra i favori degli elettori del primo partito in parlamento: l’87% degli elettori pentastellati vorrebbe infatti che a capo del governo rimanesse comunque Conte. L’attuale Presidente del Consiglio riscuote consensi anche tra gli elettori del Pd, tanto quanto Draghi (33,8% vs 34,2%). In generale si conferma come sia soprattutto l’elettorato grillino quello più soddisfatto dell’attuale governo e della sua guida. Conte, in ogni modo, gode di un forte consenso personale come abbiamo visto in una precedente analisi e appare come il vero trait d’union tra i due partiti, come si evince anche dalla Tabella 6. Infatti, se da una parte è vero che la maggioranza relativa degli elettori grillini (47,2%) e del Pd (36,8%) percepisce Conte come politicamente più vicino al M5s, dall’altra il 20,9% degli elettori del Pd lo percepisce come più vicino al proprio partito. Inoltre, il 38,3% degli elettori del M5s e il 29,7% del Pd pensano che non sia vicino a nessuno dei due. In altre parole, Conte è stato abile a costruirsi un profilo abbastanza autonomo, su cui possano riconoscersi (con gradazioni diverse) gli elettorati dei due maggiori partiti al governo. Tra gli elettori leghisti e di Fratelli d’Italia, invece, il Presidente del Consiglio è nettamente visto (probabilmente in maniera negativa) come un uomo del Pd. Non ci sono al contrario grosse distinzioni tra gli elettorati dei diversi partiti circa l’opportunità per Conte di correre con un proprio partito alle prossime elezioni: circa il 20% reputa che sia opportuno.

Tabella 5 – Opinioni su quale tipo di governo sarebbe più adatto per la gestione del riavvio economico del paese dopo la fine della emergenza sanitaria e su chi dovrebbe essere il Presidente del Consiglio in caso di un governo di unità nazionale.

Tabella 6 – Percezioni sulla affinità politica di Conte e sulla opportunità che crei un suo partito.

Se le misure del governo, a partire da quelle di lockdown, sono apprezzate dagli elettori di Pd e M5s, il loro impatto sul reddito dei rispettivi elettorati non è il medesimo (Tabella 7). Solo il 2,6% degli elettori del Pd infatti dichiara un azzeramento del proprio reddito, contro l’11,5% degli elettori del M5s. Così come coloro che dichiarano un reddito invariato/aumentato sono oltre il 67% degli elettori Pd, a fronte di quasi il 50% degli elettori del M5s (in media con il resto del campione). Questo è sicuramente il segnale di un diverso profilo sociale dei due elettorati (altri dati, qui non riportati, mostrano come tra gli elettori del M5s i disoccupati e gli operai siano molto più numerosi che tra gli elettori del Pd). Tuttavia, quando si guarda alle aspettative circa la futura situazione economica, sia dal punto di vista del reddito della propria famiglia che del paese (Tabella 8), i due elettorati tornano ad assomigliarsi, pur con delle differenze. Nel caso delle aspettative sul proprio reddito familiare la maggior parte degli elettori di Pd e M5s credono possa tornare ai livelli pre-crisi tra 6 mesi-1anno (27,4% degli elettori Pd e 26% degli elettori M5s) o tra 2-4 anni (14,8% vs 18,8%). Gli elettori più pessimisti (che pensano ci vogliano più di 4 anni) sono nettamente minoritari, anche se un po’ più numerosi tra gli elettori del M5s, che del resto mostrano ancora una volta una più difficile situazione socio-economica rispetto a quella degli elettori del Pd (il 39,3% dichiara che il suo reddito familiare non è stato intaccato, a fronte del 53,6% degli elettori del Pd). Nonostante ciò, quando si guarda alle prospettive del Paese, gli elettori del M5s si mostrano più ottimisti, anche rispetto a quelli del Pd e in generale alla media degli intervistati. Il 21,9% degli elettori pentastellati ritiene che entro 6 mesi-1 anno l’Italia possa tornare alla situazione economica pre-pandemia (la percentuale si abbassa al 10,4% tra gli elettori Pd e la media è pari all’11,9%). La maggioranza assoluta di entrambi i partiti ritiene che ci vogliano  tra i 2 e i 4 anni. Gli elettori degli altri partiti sono invece più pessimisti. Anche in questo caso le aspettative sull’Italia sono probabilmente influenzate dalla fiducia verso il governo, che nel caso degli elettori del M5s sembra anche contare di più rispetto alla effettiva condizione economica personale.

Tabella 7 – Impatto delle misure di distanziamento sociale sul proprio reddito personale.

Tabella 8 – Aspettative sui tempi di recupero economico del Paese e della propria famiglia.

Su quasi tutti i temi analizzati fin qui si può concludere che  gli elettorati dei due partiti abbiano opinioni abbastanza simili tra loro e abbastanza difformi da quelle degli elettori dei partiti di opposizione. Sull’Europa però questo non è più vero.  Sono cinque le domande del sondaggio dedicate ai temi del rapporto tra Italia e Unione Europea. La prima (Tabella 9) riguarda l’aiuto che i singoli paesi dell’Unione stanno dando all’Italia. Il giudizio negativo è prevalente in tutti i partiti, compreso il Pd che è certamente il partito più filo-europeo. Questo atteggiamento diffuso rende meno evidente la distanza che separa gli elettori del Movimento da quelli del Pd, ma anche in questo caso i primi sono decisamente più vicini agli elettori dei partiti di opposizione (che rientrano nella categoria “altri” nella tabella 9) che a quelli del partito alleato.

Tabella 9 – Sull’aiuto degli altri paesi della Unione Europea

Questa divergenza  diventa più ampia, e più  rilevante sul piano politico,  quando agli intervistati si chiede se le istituzioni della UE nel loro complesso stiano aiutando l’Italia. In questo caso la maggioranza degli elettori del Pd, il 53%, dà un giudizio positivo (Tabella 10) mentre è così solo per  il 13,6%  di quelli del M5s che anche su questo tema sono chiaramente più vicini agli elettori di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia.  Considerando le posizioni storiche del Movimento sull’Europa, sempre molto critiche, non sorprende la distanza che separa i due maggiori partiti di governo. Resta il fatto che una simile divergenza è un fattore di debolezza dell’attuale governo. I prossimi mesi saranno caratterizzati da tutta una serie di decisioni che verranno prese nelle diverse sedi europee in merito alla ricostruzione delle economie dei paesi membri. Su queste decisioni il governo italiano dovrà prendere posizione. Va da sé che in questi casi la compattezza fa la differenza. I nostri dati dicono che c’è ancora molto lavoro da fare per il Presidente del Consiglio al fine di amalgamare le posizioni dei due maggiori partiti che lo sostengono. Lo si è già visto nelle scorse settimane sulla questione del  MES.  E lo si vede bene anche nel nostro sondaggio.

Tabella 10 –Sull’aiuto delle istituzioni dell’Unione Europea

Alla domanda se l’Italia dovrebbe chiedere il prestito agevolato che il MES mette a disposizione per finanziarie le spese sanitarie senza vincoli stringenti l’83,6% degli elettori Pd è d’accordo contro il 20,0% di quelli  del M5s (Tabella 11). Su questo tema il Pd si trova più vicino a Forza Italia che al suo alleato. Si sa che il MES per il Movimento è un tema di grande importanza simbolica da usare anche in chiave identitaria. Ma il vero problema è che non si tratta solo di questo strumento. È la posizione complessiva degli elettori Cinque Stelle nei confronti dell’Unione che fa la differenza tra i due partiti. Sulla questione europea il Movimento continua a voler cavalcare  la diffidenza, se non l’aperta ostilità, nei confronti della UE da parte di una larga fetta dell’elettorato italiano. Così facendo si mette in competizione con la Lega e Fratelli d’Italia che puntano proprio sull’euro-scetticismo e sull’anti-europeismo per raccogliere consensi in questa fase in cui l’immigrazione è diventata una issue meno saliente.

Tabella 11 – Chiedere o no il prestito ‘sanitario’ del MES senza vincoli stringenti?

Da molti anni il rapporto tra gli italiani e l’Europa è mutato. Prima della introduzione dell’Euro la partecipazione alla Unione era considerata un fatto positivo dalla larghissima maggioranza. L’atteggiamento è cambiato progressivamente ma costantemente e oggi i dati di questo sondaggio (Tabella 12) dicono che solo il 35% degli italiani dà un giudizio positivo della nostra appartenenza alla UE anche alla luce di quello che è successo con questa crisi. La maggioranza relativa, il 42,5%, ha maturato una opinione negativa mentre il restante 20,5%  resta su una posizione di indifferenza.  Disaggregando i dati sulla base delle intenzioni di voto degli intervistati si vede che solo gli elettori del Pd sono decisamente schierati a favore della Unione, 81,7%, mentre solo il 29,7% di quelli del Movimento condivide il giudizio positivo. Anche su questa domanda dunque il profilo del M5s è più vicino a quello della Lega e di FdI. C’è da dire però che mentre nel caso di questi due partiti il giudizio negativo è largamente maggioritario, con percentuali superiori al 70%, per una fetta rilevante dell’elettorato del Movimento, il 28,6% per la precisione,  l’appartenenza alla Unione è un fatto né positivo né negativo. Nella sostanza molti elettori pentastellati restano alla finestra aspettando gli eventi. L’indifferenza può essere interpretata come una disponibilità futura. Dipende da quello che avverrà a livello europeo,  da quanto il governo Conte riuscirà a ottenere, e da come il rapporto con l’Europa verrà comunicato sui media. Di questi tempi la narrativa spesso conta più della sostanza, soprattutto quando si tratta di temi complessi in cui le emozioni pesano più delle informazioni.

Tabella 12 – Anche alla luce di quello che è successo con questa crisi, l’appartenenza alla Unione è un fatto positivo o no?

La pandemia può essere l’occasione per invertire la tendenza negativa nel rapporto tra gli italiani e l’Europa o per rafforzarla. Per ora dobbiamo constatare sulla base dei dati della tabella 13 che nel complesso la maggioranza degli elettori ha un orientamento sfavorevole nei confronti del rimanere nell’Euro: si tratta del 51,6%. È  la somma del 33,4% che aderisce esplicitamente a un’affermazione relativa a uscire dall’ Unione (e quindi, pur se solo implicitamente, dall’Euro) e il 18,2% che dichiara di voler uscire dall’Euro, ma restare nell’Unione. Come va interpretato questo dato? Nell’ultimo sondaggio dell’Eurobarometro fatto a novembre 2019, alla domanda se fossero a favore o contrari alla Unione Economica e Monetaria con l’Euro come moneta unica, l’Italia – tra  tutti i membri dell’Eurozona – è risultata il paese con la percentuale di rispondenti meno a favore, ma era pur sempre il 61%, quindi ancora in maggioranza a favore. La nostra domanda non è direttamente confrontabile con quella Eurobarometro, perché nel nostro caso attribuiamo implicitamente il desiderio di uscire dall’Euro anche a chi risponde semplicemente di voler uscire dalla UE. Sul piano logico l’operazione sarebbe lecita (non è concepibile di uscire dalla UE restando nell’Euro), ma sul piano dello stimolo psicologico della domanda, è plausibile che un’affermazione esplicita di voler uscire “dalla UE e anche dall’Euro” avrebbe forse registrato un consenso inferiore. Di conseguenza è difficile confrontare i due risultati. E’ verosimile che la pandemia abbia accentuato il trend negativo, ma non è possibile usare la nostra domanda per trarre conclusioni così nette.

Riguardo alle differenze tra i partiti, sono sostanzialmente quelle che abbiamo visto in precedenza. La quasi totalità degli elettori Pd, 94,6%, non ne vuole sapere di uscire né dalla UE né dall’Euro. Quelli del Movimento in maggioranza vorrebbero restare nella UE. È  la somma del 35,5% che vuole restare nella UE più il 27,9% che vuole restare nella UE, ma non nell’Euro. Il totale fa 63,4%, con un 13,1% che non sa o non risponde alla domanda. Quest’ultimo dato sulle non risposte è decisamente più elevato che nel caso degli altri partiti ed è un ulteriore segnale, dopo quello sulla indifferenza che abbiamo visto nella tabella 12, della incertezza che regna nel Movimento rispetto al rapporto con l’Europa. Nessuna incertezza invece nel campo degli altri partiti. In questo caso non si può parlare nemmeno di euroscetticismo ma di atteggiamento chiaramente negativo nei confronti della UE. E questo vale soprattutto per gli elettori della Lega e di FdI. Nel complesso il 47,6% degli ‘altri’ vuole uscire dall’Unione (e quindi, seppur implicitamente, dall’Euro) e il 21,9 vuole restare nella Unione, ma uscire dall’Euro. Sommando i due dati la conclusione è che quasi il 70%, in questi due partiti, condivide un orientamento negativo verso il rimanere nell’Euro. 

Tabella 13 –Uscire o non uscire dalla UE e/o dall’Euro, anche alla luce di quello che è successo con questa crisi

In conclusione, cosa si può dire sulla distanza che separa Pd e Movimento sui problemi che il governo da loro sostenuto deve affrontare in questa fase e soprattutto nella prossima quando si dovrà mettere mano alla ricostruzione dell’economia italiana? Detto in altro modo,  l’esperienza di governo fatta in questi mesi ha avvicinato o meno i due partiti? Va da sé che la domanda è rilevante non solo con riferimento ai problemi sul tappeto ma più in generale per capire se questa alleanza, che quando è nata è sembrata a molti una alleanza innaturale e contingente, possa trasformarsi in una alleanza strategica a cominciare dalle prossime elezioni regionali e amministrative che prima o poi si terranno.  Dai dati che abbiamo analizzato qui a noi pare che si possa con molta cautela trarre la conclusione che su molti temi i due partiti sono meno distanti che in passato. Resta però la divisione sull’Europa. Naturalmente non è una divisione da poco. Ci sono pochi dubbi che l’Europa sarà nei prossimi mesi/anni la issue intorno alla quale si definiranno i rapporti all’interno della coalizione di governo e tra questa e i partiti di opposizione.

Su questo punto azzardiamo una ipotesi tornando ai dati sui flussi elettorali da cui siamo partiti in questo articolo. Come si è visto sopra tra Pd e M5s non si è verificato nel corso di questa esperienza di governo un significativo passaggio di consensi. Dal punto di vista della stabilità del governo questo è un fattore positivo. Si pensi a quanto è successo invece nel caso del Conte 1. Tutti i sondaggi condotti nelle ultime settimane confermano che la collaborazione al governo non ha cambiato in maniera netta i rapporti tra i due maggiori protagonisti della coalizione. L’ipotesi che azzardiamo è che almeno in parte questo sia avvenuto grazie alla differenziazione di posizioni sull’Europa tra Pd e M5s. L’euroscetticismo del Movimento potrebbe essere la ragione della sua tenuta elettorale. A sostegno di questa ipotesi si può anche citare il fatto che un certo numero di sondaggi recenti danno il movimento di Grillo in leggera ascesa proprio in concomitanza con le sue prese di posizioni critiche sul MES. Se questa ipotesi fosse valida, saremmo di fronte ad un altro dei paradossi della politica italiana: la divisione sull’Europa sarebbe un fattore di stabilità della coalizione di governo e non il contrario. Naturalmente le cose non sono così semplici. La divisione peserà sulla azione di governo e metterà a dura prova le capacità di mediazione del Presidente del Consiglio. Lo si è visto nelle scorse settimane e lo si vedrà ancora di più nelle prossime. Ma intanto, nonostante tutto, il calabrone vola.


[1] Il sondaggio è stato realizzato con metodo CAWI tra il 21/04/2020 ed il 23/04/2020 su un campione (N=1643) della popolazione maschile e femminile italiana dai 18 anni in su, stratificato per genere, età e provincia di residenza in proporzione all’universo della popolazione italiana.

Nicola Maggini è ricercatore in scienza politica. È membro del laboratorio di ricerca spsTREND "Hans Schadee" presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano, del CISE (Centro Italiano Studi Elettorali) e di ITANES (Italian National Election Study). In precedenza è stato Jean Monnet Fellow presso lo Schuman Centre for Advanced Studies dell’Istituto Universitario Europeo e ha partecipato a due progetti di ricerca europei Horizon 2020: Sirius-Skills and Integration of Migrants, Refugees and Asylum Applicants in European Labour Markets e TransSol-Transnational solidarity at times of crisis. Si è addottorato, con lode, in Scienza della Politica all’Istituto Italiano di Scienze Umane nel marzo 2012. Ha pubblicato articoli in diverse riviste scientifiche italiane e internazionali, tra cui European Political Science Review, Journal of Common Market Studies, West European Politics, American Behavioral Scientist, South European Society and Politics, Italian Political Science Review, Journal of Contemporary European Research, Quality & Quantity, Italian Political Science, Italian Journal of Electoral Studies, International Sociology e Quaderni di Scienza Politica. Ha pubblicato, per Palgrave MacMillan, il libro Young People’s Voting Behaviour in Europe. A Comparative Perspective (Palgrave Macmillan, 2016). È inoltre coautore di diversi capitoli in volumi collettanei e ha co-curato numerosi volumi della serie dei Dossier CISE. Ha curato (con Andrea Pedrazzani) Come siamo cambiati? Opinioni, orientamenti politici, preferenze di voto alla prova della pandemia (Fondazione Feltrinelli, 2021). Infine, è autore di diverse note di ricerca pubblicate nella serie dei Dossier CISE. I suoi interessi di ricerca si concentrano sullo studio degli atteggiamenti e comportamenti socio-politici, dei sistemi elettorali, del comportamento di voto e della competizione partitica in prospettiva comparata.
Roberto D’Alimonte (1947) è professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano. Dal 1974 fino al 2009 ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato come visiting professor nelle Università di Yale e Stanford. Collabora con il centro della New York University a Firenze. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano i sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto in Italia. A partire dal 1993 ha coordinato con Stefano Bartolini e Alessandro Chiaramonte un gruppo di ricerca su elezioni e trasformazione del sistema partitico italiano. I risultati sono stati pubblicati in una collana di volumi editi da Il Mulino: Maggioritario ma non troppo. Le elezioni del 1994; Maggioritario per caso. Le elezioni del 1996; Maggioritario finalmente? Le elezioni del 2001; Proporzionale ma non solo. Le elezioni del 2006; Proporzionale se vi pare. Le elezioni del 2008. Tra le sue pubblicazioni ci sono articoli apparsi su West European Politics, Party Politics, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. E’ membro di ITANES (Italian National Election Studies). E’ editorialista de IlSole24Ore. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.