Di nuovo esiti diversi dai sondaggi. Abolire il blackout pre-elettorale?

Riproduciamo qui l’articolo apparso oggi su Luiss Open.

Ci risiamo. Di nuovo un’elezione in cui i sondaggi si discostano significativamente dal risultato finale. Non tanto per il referendum, ma per le sfide regionali. E in modo politicamente rilevante per Toscana e Puglia, per cui i sondaggi (e addirittura anche gli exit-poll di poche ore prima…) prevedevano un serrato testa a testa, e che invece si sono chiuse con un netto successo dei candidati di centro-sinistra, con 8 punti di distacco in entrambi i casi. Tanto che addirittura nei social, in questi giorni, c’è chi sospetta un tentativo di manipolazione, che avrebbe dipinto una finta parità per spingere molti elettori al voto utile.

La discrasia tra sondaggi (di inizio settembre)
e risultato finale

Per vedere la portata del problema è sufficiente dare un’occhiata alla Tabella 1, dove presento, accanto al risultato finale, il corrispondente sondaggio Cise (commissionato a Winpoll) di inizio settembre, e una media (ho preso quella calcolata da YouTrend, ma la può calcolare chiunque) degli ultimi sondaggi precedenti al black-out. Già, perché in Italia c’è un black-out: nelle due settimane prima del voto non si possono pubblicare sondaggi. Vedremo dopo quanto questo sia importante.

Tabella 1 – Confronto tra risultato effettivo e sondaggi pre-blackout (CISE e media sondaggi)

La premessa: come si vede, i sondaggi CISE/Winpoll pubblicati a inizio settembre erano sostanzialmente in linea con gli altri sondaggi: tutti vedevano una situazione largamente incerta in Toscana e Puglia, con un lieve vantaggio di Giani in un caso e Fitto nell’altro.

Di qui il dato principale, che ha colpito molti: in queste due regioni le previsioni sono state ben diverse dal risultato effettivo, che ha visto invece un distacco sensibile (otto punti) a favore del centrosinistra . Ma tra l’altro il confronto che presento mette in evidenza che le differenze su Toscana e Puglia non sono neanche state le più gravi. Se infatti in Puglia si vedono differenze di circa 10 punti nel distacco complessivo (ultimo riquadro della tabella), e in Toscana di circa 6-8 punti, in Campania lo iato tra sondaggi e risultato finale è stato addirittura di 20-30 punti.

Spiegare la differenza

Da dove vengono queste differenze? Le spiegazioni possibili sono essenzialmente due.

1. I sondaggi fotografavano correttamente la situazione a inizio settembre; ma in queste ultime due settimane, o forse addirittura negli ultimi giorni a ridosso del voto, la mobilitazione e polarizzazione dell’elettorato è cresciuta (rispetto tra l’altro a sondaggi condotti a fine agosto, con i cittadini ancora distratti). Non solo: proprio la parità prevista dai sondaggi potrebbe avere spinto molti elettori a fare voto utile, abbandonando candidati poco competitivi per andare su Emiliano o su Giani, oppure spinto alcuni dei sostenitori di Caldoro a rinunciare ad andare alle urne di fronte a una sfida persa in partenza.

oppure 2. I sondaggi invece si sbagliavano: magari per motivi tecnici (escludendo il tentativo di manipolazione, che non poteva accomunare tutti gli istituti), non riuscivano a registrare il reale vantaggio dei candidati di centro-sinistra, e di conseguenza hanno presentato dei testa-a-testa inesistenti che sono poi stati smentiti dalle urne.

Capire se è vera la 1 o la 2 sarebbe molto utile. Ad esempio, perché ci direbbe se dobbiamo analizzare come i cittadini si sono mobilitati nelle ultime due settimane, o se invece dobbiamo lavorare per migliorare le tecniche dei sondaggi. (Xanax)

Se il blackout ci impedisce di capire

Il problema vero è che sostanzialmente non abbiamo elementi per capire quale di queste due spiegazioni è più fondata. Per capirlo infatti avremmo bisogno di sondaggi condotti nelle ultime due settimane da istituti affidabili, che ci permetterebbero di vedere la dinamica di mobilitazione dell’opinione pubblica negli ultimi giorni. Tuttavia questi sondaggi non li conosciamo, perché nelle ultime due settimane è proibito pubblicarli. Forse esistono, e i loro committenti (partiti e candidati) se li sono tenuti per sè, non potendo comunque divulgarli. O forse non sono stati neanche fatti, visto che i candidati a fine campagna spendono verosimilmente per altre cose, e nelle ultime due settimane, dato il divieto di pubblicazione, i media sostanzialmente non commissionano più sondaggi.

Il problema ulteriore è che l’assenza di sondaggi affidabili non significa scomparsa in toto dei sondaggi. Nelle ultime due settimane proliferano infatti stime che circolano in modo privato – o finto privato – sotto forma di paginate PDF su WhatsApp, in una sorta di catena di Sant’Antonio in cui ciascuno inoltra un messaggio di cui ignora la provenienza originaria, e senza prendersi la responsabilità del contenuto. Ovviamente si tratta quasi sempre di sondaggi di istituti minori, a volte sconosciuti, spesso con una ricchezza di dati che lascerebbe intuire budget faraonici, e che quindi giustifica più di un dubbio. Anche perché, essendo proibita la pubblicazione, non si può andare a controllare sul sito web ufficiale dell’azione. E in teoria chiunque potrebbe addirittura confezionare un finto PDF con risultati inventati e un logo di un’importante azienda, e spacciarlo come un reale sondaggio, magari con finalità manipolatoria.

Finalità che tra l’altro non sembra così peregrina, visto che molti dei sondaggi circolati clandestinamente negli ultimi giorni indicavano dinamiche di voto opposte a quelle che poi si sono verificate nelle ultime settimane: alcuni indicavano un vantaggio di due punti della Ceccardi in Toscana, e addirittura uno scenario tripolare in Puglia, con Fitto in testa, e Emiliano e Laricchia praticamente appaiati, pochi punti indietro.

Si può pensare di abolire il blackout?

Di fronte a questa situazione, viene da chiedersi se non varrebbe la pena di ragionare su una possibile abolizione del blackout pre-elettorale sui sondaggi.

All’origine, questa misura (introdotta nel 1997) aveva una sua comprensibile ratio: l’obiettivo di impedire l’uso dei sondaggi come strumento di manipolazione dell’opinione pubblica. Obiettivo ispirato dal caso della campagna elettorale del 1994, in cui – in particolare – la Diakron di Gianni Pilo (sondaggista di Berlusconi, che in quelle stesse elezioni era candidato con Forza Italia) aveva prodotto numerosi sondaggi in campagna elettorale con stime altissime di Fi (diverse da tutti gli altri istituti e dal risultato finale), con il verosimile intento di far percepire agli elettori la neonata Forza Italia come un partito già numericamente grande, di successo, e quindi “votabile” senza timore di sprecare il voto.

Il problema è se, quasi trent’anni dopo, in un contesto di ampia diffusione dei sondaggi e di relativa familiarità dei cittadini con i principali istituti di ricerca, il rimedio non potrebbe essere diventato peggiore del male, tenuto anche conto che – secondo un’analisi del 2018 di Giancarlo Gasperoni su Il Mulino – in Europa questo istituto esiste solo in Montenegro e Slovacchia.

L’impressione è che il blackout preelettorale abbia anzitutto l’effetto di ridurre drasticamente il budget complessivo per i sondaggi, allontanando le aziende più affidabili (che sono inevitabilmente più costose) e aprendo la strada a una circolazione clandestina (ormai resa assolutamente rapidissima e pervasiva dai social e dalla messaggistica istantanea) di sondaggi che in teoria potrebbero addirittura essere completamente inventati, e che in ogni caso non sono verificabili in alcun modo.

La conseguenza di tutto questo è che tutti noi veniamo privati di informazioni importanti. E, una postilla, vengono privati di queste informazioni anche i malcapitati sondaggisti che, nel giorno delle elezioni, devono assemblare la complessa macchina degli exit-poll e delle analisi risultanti; e che, di fronte al compito scottante di prendere decisioni sulle ponderazioni da applicare e sulle inevitabili scelte tecniche di ogni ricerca, potrebbero cedere alla tentazione di non credere ai dati, rifugiandosi nella prudenza salomonica di annunciare come incerto un risultato che magari incerto non è. Nessuno è in grado di dire se questo sia mai successo nella storia degli exit-poll; ma l’impressione è che – senza black-out, e magari con l’obbligo di pubblicare informazioni ancora più dettagliate sul sito apposito della Presidenza del Consiglio – anche molti di questi problemi potrebbero essere alleviati; e saremmo tutti più informati.

Pensiamoci e parliamone.

Lorenzo De Sio è professore ordinario di Scienza Politica presso la LUISS Guido Carli, e direttore del CISE - Centro Italiano di Studi Elettorali. Già Jean Monnet Fellow presso lo European University Institute, Visiting Research Fellow presso la University of California, Irvine, e Campbell National Fellow presso la Stanford University, è membro di ITANES (Italian National Election Studies), ha partecipato a vari progetti di ricerca internazionali, tra cui “The True European Voter”(ESF-COST Action IS0806), the “EU Profiler” (2009) e EUandI (2014), e di recente ha dato vita al progetto ICCP (Issue Competition Comparative Project). I suoi interessi di ricerca attuali vertono sull'analisi quantitativa dei comportamenti di voto e delle strategie di partito in prospettiva comparata, con particolare attenzione al ruolo delle issues. Tra le sue pubblicazioni, accanto a vari volumi in italiano e in inglese, ci sono articoli apparsi su American Political Science Review, Comparative Political Studies, Electoral Studies, Party Politics, West European Politics, South European Society and Politics, oltre che su numerose riviste scientifiche italiane. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.