Il risultato delle regionali spiegato dal buon governo locale

In Italia il risultato di qualsiasi elezione ad ogni livello viene proiettata sul piano nazionale. Il caso di queste elezioni regionali non è stato da meno. Il commento di giornalisti ed esperti ha virato immediatamente su questioni come la tenuta del governo (durata fino al 2023? Rimpasto?) e gli equilibri interni alle coalizioni e ai partiti (rafforzamento della leadership di Zingaretti; crisi del M5S e di Renzi; OPA della Meloni sul centrodestra; sfida di Zaia a Salvini, etc.). Ciò è, per certi aspetti, inevitabile, soprattutto quando si recano alle urne milioni di italiani da Nord a Sud. Bisogna però stare attenti ad enfatizzare eccessivamente i risultati di queste elezioni regionali in chiave nazionale. Questo voto ha avuto, infatti, innanzitutto un carattere locale. Prima che per mandare un messaggio al governo gli elettori hanno votato per eleggere i governatori delle proprie regioni. E le dinamiche locali, fra le quali soprattutto il giudizio degli elettori sull’operato del governo regionale, hanno giocato un ruolo preminente nell’orientare la scelta di voto. Ciò è quanto emerge dalla nostra analisi.

Nelle settimane precedenti il voto i sondaggi Winpoll/CISE[1] hanno chiesto agli elettori delle sei regioni al voto il proprio giudizio sull’operato dell’amministrazione regionale. Il risultato variava dall’ 85% di giudizi positivi in favore di Luca Zaia al 46% per Emiliano. Tutti i governatori uscenti – compresi Rossi e Ceriscioli che non sono stati ricandidati – godevano della maggioranza assoluta di giudizi positivi, con l’eccezione appunto del Presidente della Puglia. A questo punto abbiamo provato a verificare se il giudizio per l’amministrazione uscente avesse un impatto significativo sulla scelta di voto. Lo abbiamo fatto tramite una serie di regressioni logistiche (una per ciascuna regione) dove la variabile dipendente è il voto per il candidato governatore vincente alle elezioni e la variabile indipendente è appunto il giudizio sull’operato del governo[2]. Le regressioni tengono conto di fattori socio-demografici (sesso, età, titolo di studio, professione) e politici dell’intervistato (scelta di voto alle elezioni europee del 2019). Abbiamo poi anche controllato per un fattore di breve periodo capace di incidere sulle dinamiche di consenso a livello locale, ossia il giudizio sull’operato della Regione nell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19.

I risultati delle analisi confermano la nostra ipotesi. Il giudizio sull’operato del governo regionale ha sempre un impatto positivo e significativo sul voto al candidato Presidente vincente. Come vediamo dai grafici in pagina (Figure 1, 2 e 3), la propensione a votare il candidato governatore è significativamente diversa fra coloro che sono soddisfatti dell’incumbent rispetto a coloro che sono insoddisfatti del governo uscente. Tutti i modelli sono significativi e spiegano fra il 38% e il 51% della varianza del voto al candidato Presidente. In cinque casi il coefficiente è positivo. Ciò significa che la probabilità di voto agli incumbent Zaia, Toti, Emiliano e De Luca aumenta tra coloro che sono soddisfatti dell’operato del governo di questi ultimi. Giani si aggiunge al gruppo, in quanto beneficia del giudizio sul suo predecessore, Enrico Rossi. Nel caso delle Marche, l’unica regione che ha cambiato colore politico, invece, il segno del coefficiente è negativo. Questo perché naturalmente la probabilità di voto di Acquaroli, neo-eletto Presidente per il centrodestra, diminuisce all’aumentare del giudizio positivo per la precedente amministrazione a guida PD.

Fig. 1 – Effetto dell’operato del governo uscente sulle probabilità di votare per il candidato presidente (Veneto e Liguria)

Fig. 2 – Effetto dell’operato del governo uscente sulle probabilità di votare per il candidato presidente (Toscana e Marche)

Fig. 3 – Effetto dell’operato del governo uscente sulle probabilità di votare per il candidato presidente (Puglia e Campania)

Entrando nel dettaglio delle singole regioni, il voto a Zaia è in larga parte dovuto al giudizio eccezionalmente positivo sulla sua amministrazione. In Veneto, infatti, le variabili socio-demografiche non hanno effetti significativi vista la trasversalità del consenso di Zaia (con l’eccezione della propensione negativa a votarlo da parte degli impiegati), e nemmeno la gestione del Covid sembra aver inciso. Il Veneto è infatti l’unica regione nella quale la variabile relativa alla gestione del Covid non mostra un effetto significativo. Ciò avviene perché il giudizio dei veneti sul governatore uscente era già ampiamente positivo prima dello scoppio della pandemia. Quest’ultima è stata gestita bene (82% di giudizi positivi) ma non ha inciso in modo decisivo su una scelta di voto che era già consolidata da tempo. Nelle Marche, lo storico avvicendamento fra Ceriscioli e Acquaroli passa anche per il giudizio sulla gestione del Covid. Il relativo coefficiente mostra un effetto significativo (e ovviamente negativo) sul voto ad Acquaroli che si affianca a quello, analogo, sull’operato del governo uscente. Ciò avviene anche nelle altre regioni. In Liguria Toti viene trascinato dal voto di casalinghe e pensionati, mentre in Campania il voto a De Luca è significativamente maggiore fra le donne e coloro che hanno un basso titolo di studio. Infine, in Toscana e Puglia la mobilitazione degli elettori ha assunto, da parte del centrosinistra, le dimensioni di una vera e propria chiamata alle armi a sostegno dei propri candidati. In queste due regioni, infatti, si nota un effetto positivo sul voto a Giani ed Emiliano non solo da parte degli elettori del centrosinistra (PD, Sinistra, +Europa) ma anche da parte degli elettori di liste minori e addirittura, nel caso di Giani, c’è un effetto positivo e significativo da parte degli elettori di Forza Italia. Un risultato coerente con le analisi effettuate dall’Istituto Cattaneo che ha mostrato la capacità di Giani di pescare dall’elettorato grillino e da quello di Forza Italia, forse spaventato dalla radicalità della proposta elettorale leghista.

Come dimostrano queste analisi, dunque, il voto è stata soprattutto una questione locale. La forza del buon governo e i giudizi sull’operato degli incumbent hanno indirizzato la competizione verso l’uno o l’altro schieramento, e questi fattori sembrano aver pesato di più delle divisioni politiche tradizionali e per certi aspetti sembrano anche averle scavalcate, introducendo una trasversalità di voto per i governatori che difficilmente potrà replicarsi in caso di elezioni politiche. Appare infatti improbabile pensare che, quando voteremo per le nuove Camere, il centrodestra possa ottenere più dei tre quarti dei voti in Veneto, o che il centrosinistra possa sfiorare il 70% in Campania.

Più che una lezione politica, i partiti nazionali dovrebbero trarre da questo voto una lezione istituzionale. Un sistema istituzionale efficiente come quello delle regioni che bilancia governabilità (elezione diretta del Presidente e premio di maggioranza) e rappresentatività (proporzionale di lista con preferenze) favorisce quel meccanismo di accountability e responsiveness tramite il quale gli elettori scelgono i propri rappresentanti e poi ne giudicano l’operato a fine mandato. Dall’altra parte gli eletti, sapendo di dover rendere conto del proprio operato, tendono a comportarsi in conformità agli impegni presi con gli elettori. Un meccanismo che a livello nazionale si è inceppato da tempo. Chissà che non possano riattivarlo la riforma costituzionale appena entrata in vigore e la riforma elettorale che probabilmente seguirà.


[1] Soggetto committente: Sole 24 Ore – Cise. Soggetto realizzatore: Winpoll – Cise. Periodo di realizzazione interviste: 19-22 agosto 2020 (Veneto); 20-22 agosto 2020 (Campania); 24-25 agosto 2020 (Liguria); 25-27 agosto 2020 (Marche); 27-28 agosto 2020 (Toscana); 28 agosto-1 settembre (Puglia). Popolazione di riferimento: popolazione della regione, maschi e femmine dai 18 anni in su, segmentata per sesso, età, comuni capoluogo e non, proporzionalmente all’universo della popolazione della regione. Metodo di campionamento: stratificato per provincia, comuni capoluogo e non, casuale ponderato per genere, fasce di età e voto alle ultime europee. Metodologia delle interviste: mista. Numero di interviste: Veneto: 1008 (508 cati-cami; 500 cawi); Campania: 1002 (502 cati-cami; 500 cawi); Liguria: 1000 (500 cati-cami; 500 cawi); Marche: 1000 (500 cati-cami; 500 cawi); Toscana: 1000 (500 cati-cami; 500 cawi); Puglia: 1000 (500 cati-cami; 500 cawi). Margine di errore con intervalli di confidenza al 99%: 2,4%.

[2] Sebbene si tratti di analisi svolte su dati di sondaggio pre-elettorali non perfettamente rappresentativi del risultato finale del voto, in questa analisi ci siamo soffermati sulle relazioni tra variabili. Queste ultime risentono meno severamente della reale distribuzione della popolazione.

Vincenzo Emanuele è professore associato in Scienza Politica presso la LUISS Guido Carli di Roma. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienza della Politica presso la Scuola Normale Superiore (ex SUM) di Firenze con una tesi sul processo di nazionalizzazione del voto in Europa occidentale e le sue possibili determinanti. La sua tesi ha vinto il Premio 'Enrico Melchionda' conferita alle tesi di dottorato in Scienze Politiche discusse nel triennio 2012-2014 e il Premio 'Celso Ghini' come miglior tesi di dottorato in materia elettorale del biennio 2013-2014. È membro del CISE, di ITANES (Italian National Election Studies) e del Research Network in Political Parties, Party Systems and Elections del CES (Council of European Studies). I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle elezioni e i sistemi di partito in prospettiva comparata, con particolare riferimento ai cleavages e ai processi di nazionalizzazione e istituzionalizzazione. Ha pubblicato articoli su European Journal of Political research, Comparative Political Studies, Party Politics, South European Society and Politics, Government and Opposition, Regional and Federal Studies, Journal of Contemporary European Research, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. La sua prima monografia Cleavages, institutions, and competition. Understanding vote nationalization in Western Europe (1965-2015) è edita da Rowman and Littlefield/ECPR Press (2018), mentre la seconda The deinstitutionalization of Western European party systems è edita da Palgrave Macmillan. Sulle elezioni italiane del 2018, ha curato la Special Issue di Italian Political Science ‘Who’s the winner? An analysis of the 2018 Italian general election’. Clicca qui per accedere sito internet personale. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.
Davide Angelucci is a lecturer at the Department of Political Science of Luiss University, Rome. He has been a visiting student at Royal Holloway University of London and at the Instituto de Ciências Sociais da Universidade de Lisboa. He is currently a member of the Italian Centre for Electoral Studies (CISE) and part of the editorial board of the journal Italian Political Science (IPS). His research interests include elections and electoral behaviour, party politics, class politics, and public opinion. His work has been published in journals like European Union Politics, West European Politics, South European Society and Politics, Swiss Political Science Review and others.