Come curare l’instabilità dei governi italiani? L’ipotesi (europea) della sfiducia costruttiva

Policy Brief n.9/2021 della Luiss School of Government

L’Italia si trova puntualmente a dover fare i conti con una delle sue caratteristiche politico-istituzionali più gravose e deleterie: l’instabilità di governo. La recente caduta del secondo Governo Conte è solo l’ultima manifestazione di quella che sembra in modo evidente una patologia del nostro sistema politico. Una patologia che comporta ricadute su ambiti che riguardano anche la capacità di programmazione economica, la gestione dei rapporti internazionali e il livello di disaffezione dell’opinione pubblica nei confronti delle istituzioni.

L’esecutivo guidato da Giuseppe Conte e formato da Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Italia Viva e Liberi e Uguali non si è discostato eccessivamente dalla durata media dei governi italiani, pari circa a un anno. L’instabilità di governo in Italia è una questione attuale, dato il suo assiduo riaffiorare, ma ha radici storiche consolidate. Sin dalla nascita della
Repubblica, le formule di governo che si sono andate a instaurare hanno assunto varie configurazioni, anche molto diverse tra di loro: governi monocolore e multicolore, di minoranza e maggioranza, totalmente e parzialmente tecnici, con ampio supporto parlamentare e con supporto esterno.

Se rivolgiamo la nostra attenzione ad altri Paesi dell’Europa occidentale è senz’altro più comune rilevare maggiori livelli di durata e individuare una tipica e caratteristica formula di governo da associare a determinati Paesi. Ad esempio, la Germania è il Paese della Große Koalition e delle coalizioni di governo formate da due partiti. Il Regno Unito, invece, è noto per la sua alternanza di governo, con il frequente avvicendamento tra conservatori e laburisti.

Se da un lato è vero che in Italia il susseguirsi di molteplici esecutivi non ha provocato necessariamente una instabilità politica, data la presenza costante di un partito pivotale al governo come la Democrazia Cristiana, dall’altro questa anomalia italiana è stata spesso declinata come disfunzione da fronteggiare e attenuare tramite diversi iter di riforma. Giuristi, scienziati politici e sociali si sono infatti interrogati nel corso degli anni circa le possibili modifiche istituzionali utili per incrementare la capacità di sopravvivenza degli esecutivi italiani.

L’ultima proposta avanzata in ordine temporale, resa esplicita direttamente dall’ex Presidente del Consiglio Conte, riguarda l’introduzione della sfiducia costruttiva nell’ordinamento costituzionale italiano. Nello specifico, lo scorso 26 gennaio, Conte auspicava la nascita di una “alleanza […] per approvare una riforma elettorale di stampo proporzionale e le riforme istituzionali e costituzionali, come la sfiducia costruttiva, che garantiscano il pluralismo della rappresentanza unitamente a una maggiore stabilità del sistema politico”. Come sappiamo, il tentativo di Conte di formare una nuova maggioranza è fallito. Tuttavia, il progetto di riforma rimane in vita. Il governo Draghi continuerà su questa strada?

Come funziona la sfiducia costruttiva nei paesi europei

La sfiducia costruttiva è uno degli elementi tipici della razionalizzazione del parlamentarismo. Tra i suoi obiettivi risiede primariamente la funzione di stabilizzazione dei governi. In estrema sintesi, e senza soffermarci sui diversi tipi di sfiducia costruttiva esistenti, l’ipotetica funzione di stabilizzazione si dovrebbe realizzare tramite l’impossibilità di sfiduciare un governo, e quindi portarlo alla caduta, senza accordare la fiducia ad un nuovo esecutivo pronto a subentrargli. Ed è questo l’elemento per l’appunto “costruttivo”. Tuttavia in Europa occidentale sono pochi i Paesi che hanno adottato in Costituzione questo strumento. Il caso originario è costituito dal konstructives Misstrauensvotum tedesco, inserito già nella Legge fondamentale del 1949. Le motivazioni che spinsero il Parlamentarischer Rat, ovvero il Consiglio che elaborò la Costituzione, si poggiavano sull’esperienza dell’instabilità dei governi weimariani. In particolare, fu posto l’accento sull’esigenza di rendere le frequenti crisi di governo maggiormente responsabilizzanti, soprattutto per le forze politiche di opposizione e quelle dissidenti interne alla maggioranza. Una responsabilizzazione perseguita tramite l’espressione, da parte delle forze politiche parlamentari, di un esecutivo alternativo come “soluzione” al problema della caduta del governo.

Rimanendo nel circuito dei Paesi europei maggiormente simili all’Italia in termini di modelli di democrazia Lijphartiani, accanto al voto di sfiducia costruttivo della Germania si registrano la moción de censura spagnola e la motion de méfiance constructive belga. Nel disegno istituzionale spagnolo, alla sfiducia costruttiva è riservata una posizione periferica nell’ambito del sistema di governo, se comparato allo strumento tedesco. Tuttavia, la moción de censura appariva un utile mezzo per attenuare l’elevata conflittualità presente nella società negli anni immediatamente successivi alla caduta del regime di Franco. Una conflittualità, che, inevitabilmente, si rifletteva anche nella dialettica interpartitica e che avrebbe potuto favorire l’imprevedibilità delle interazioni tra gli attori di governo.

La medesima esigenza emerge nel caso belga. L’equilibrio tra le varie comunità linguistiche, religiose e culturali, congiuntamente all’esigenza di razionalizzazione dei meccanismi di governo, furono al centro della riforma costituzionale del 1993. Tuttavia, nella scala di centralità nelle varie architetture istituzionali fin qui citate, la sfiducia costruttiva belga appare quella maggiormente marginale.

Il numero di Paesi che hanno adottato questa misura è, dunque, limitato. Oltre a essere rara la presenza di questo strumento all’interno degli ordinamenti dei Paesi europei, la Tabella 2 mostra come sia rara anche l’adozione e il successo nella sua applicazione.

Nello specifico, in Germania il voto di sfiducia costruttivo è stato impiegato due volte a livello federale, con esito negativo nel 1972 e positivo dieci anni dopo, con l’avvicendamento tra Helmut Schmidt e Helmut Kohl. Solo pochi anni fa, nel 2018, la moción de censura spagnola ha registrato la sua prima approvazione con la sfiducia dell’ex Primo Ministro Mariano Rajoy in favore del leader del Partito Socialista Pedro Sánchez. Infine, per quanto riguarda il caso belga, nonostante la presenza della sfiducia costruttiva in costituzione dal 1993, tale voto ad oggi non è mai stato adoperato.

XVIII legislatura e riforme istituzionali: un percorso ancora aperto?

La necessità di inserire il voto di sfiducia costruttivo in Italia è tornata di recente al centro delle proposte di riforma costituzionale. Non si tratta certamente di un dibattito nuovo: dalla Commissione Bozzi, passando per la Commissione De Mita-Iotti, fino alla tentata riforma costituzionale del 2016, sono stati molteplici i tentativi di rafforzare l’esecutivo, partendo dalla sua durata. La sfiducia costruttiva si inserisce in questo dibattito e trova rinnovata attualità alla luce dell’approvazione della riforma sulla riduzione del numero dei parlamentari e di un tentato accordo tra le forze politiche su una legge elettorale di stampo proporzionale con soglia di sbarramento al 5%. La maggioranza che sosteneva il governo Conte II, in particolar modo il Partito Democratico che ne faceva parte, si era posta l’obiettivo di procedere con l’iter di riforme partendo dalla sfiducia costruttiva fino ad arrivare al superamento del bicameralismo perfetto. Non è sicuro che con la nascita del governo Draghi questo percorso debba conoscere necessariamente una battuta d’arresto. Si tratta infatti di un esecutivo a carattere consociativo, adatto dunque (idealmente) a portare a termine riforme quanto più condivise tra i vari attori in gioco. Tuttavia, le emergenze di carattere sanitario dovute alla pandemia, e le evidenti conseguenze economiche che da essa derivano, occupano inevitabilmente le priorità dell’azione di governo.

Rimane, dunque, un interrogativo: sapranno i governi instabili di oggi produrre governi stabili per il futuro?

Marco Improta (Napoli, 1995) è postdoctoral researcher presso l'Università di Siena. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Politics presso la LUISS Guido Carli. È stato Visiting Research Fellow presso il Department of Political Science della Hebrew University of Jerusalem, Visiting PhD presso il Department of Politics and International Relations della University of Oxford e Visiting Researcher presso il Centro de Estudios Politicos y Constitucionales del Ministerio de la Presidencia, Governo di Spagna, Madrid. I suoi principali interessi di ricerca riguardano i governi e la rappresentanza politica in prospettiva comparata. Ha pubblicato articoli su riviste scientifiche internazionali e nazionali, tra cui West European Politics, Political Studies, Parliamentary Affairs, Journal of Legislative Studies, Mediterranean Politics, European Politics and Society, Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, Quaderni di Scienza Politica, Italian Political Science, Journal of Contemporary European Research, Italian Journal of Electoral Studies. È inoltre autore di contributi pubblicati in volumi. È membro del CISE, del CIRCaP e di varie associazioni scientifiche nazionali e internazionali tra cui IPSA, MPSA, CES, SISP, SISE, ISPSA ed ECPR.