La corsa di Berlusconi tra conti reali, defezioni e lo scacco ai suoi alleati

Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 18 gennaio

Per capire quante probabilità ha Silvio Berlusconi di diventare Presidente della Repubblica bisogna partire necessariamente dai numeri prima di arrivare a formulare ipotesi più o meno fantasiose.  La tabella in pagina ci dice come stanno le cose (Tabella 1). Cominciamo dai gruppi parlamentari. Il blocco di centro-destra dispone di 419 tra deputati e senatori. In questo blocco abbiamo fatto rientrare tutti i gruppi parlamentari del centro-destra più i deputati di Noi con l’Italia (Lupi) alla Camera e Idea-Cambiamo! (Toti-Brugnaro) al Senato che non costituiscono un gruppo parlamentare ma solo una componente dei gruppi misti.

Tabella 1 – Consistenze numeriche delle forze in campo tra i grandi elettori per la corsa al Quirinale

Il blocco di centro-sinistra dispone di 438 tra deputati e senatori. In questo blocco abbiamo inserito tutti i gruppi parlamentari del centro-sinistra più i sei senatori di Leu, i sei deputati del Centro Democratico di Tabacci e i tre deputati e i due senatori di Azione +Europa che fanno parte dei gruppi misti di Camera e Senato.

Quindi contando solo i grandi elettori parlamentari il blocco di centro-sinistra è davanti a quello di centro-destra. Quando Salvini dice che il centro-destra ha la maggioranza relativa non si riferisce a questi numeri ma a quelli delle elezioni del 2018 quando la sua coalizione prese alla Camera 262 seggi contro i 226 del Movimento Cinque Stelle e i 116 della coalizione di Renzi. Il primato del centro-sinistra all’interno della assemblea presidenziale resta anche quando ai numeri citati sopra aggiungiamo i grandi elettori regionali. Sono 58 di cui 33 affiliati a partiti del centro-destra e 25 a quelli del centro-sinistra. Aggiungendo questi grandi elettori agli altri il centro-sinistra arriva a 463 e il centro-destra a 452. La somma di queste due cifre fa 915. Per arrivare al totale di 1009, cioè al numero complessivo di grandi elettori, mancano all’appello 94 parlamentari.

Tutto questo naturalmente senza contare le assenze per Covid che comunque non incidono sulla maggioranza assoluta necessari per vincere.

Assumendo che all’interno dei due blocchi non ci siano defezioni questi sono i 94 parlamentari che decideranno la partita, se si andasse allo scontro come nel caso della candidatura di Berlusconi.  Quindi è qui che Berlusconi deve pescare i 53 voti che gli mancano: 53 su 94 significa più del 50%. Una bella sfida che diventa ancora più impervia una volta che si va a vedere chi sono questi 94 grandi elettori potenzialmente decisivi. 

In questo gruppo c’è di tutto e di più, come si vede nella tabella. Soprattutto ci sono elettori più disponibili di altri. Vediamo meglio su quali elettori Berlusconi potrebbe contare, escludendo quelli che sicuramente o molto probabilmente non voteranno per lui. Con questo criterio possiamo sottrarre ai 94 i 16 di Alternativa, i sei senatori a vita, diversi esponenti del gruppo Per le Autonomie, i quattro delle minoranze linguistiche, il senatore di Potere al Popolo e quello del Partito Comunista, più diversi parlamentari di Camera e Senato non iscritti a nessun gruppo. Fatta questa operazione, dei 94 in partenza ne restano una sessantina. Praticamente dovrebbero votare tutti per Berlusconi perché possa arrivare alla soglia magica di 505. Detta in breve, ci sembra poco probabile.

Ma naturalmente questo è solo un pezzo della storia. Questo conteggio è fondato sulla assunzione che non ci siano defezioni all’interno dei due blocchi. Dato che il voto è segreto e questo parlamento è ingovernabile, si tratta di una assunzione molto debole. Le defezioni ci saranno di certo. Bisognerà vedere se saranno più nel campo del centro-sinistra o in quello del centro-destra. E qui si entra nel terreno minato delle speculazioni. Se le defezioni a suo favore e quelle contro si elidessero, a Berlusconi servirebbero sempre i soliti 53 voti di cui abbiamo già discusso. Ma l’ipotesi più probabile a nostro avviso è che siano maggiori nel campo del centro-destra. È sotto gli occhi di tutti che la candidatura del Cavaliere non è particolarmente gradita a Salvini e Meloni. E lo sarebbe ancora di meno la sua elezione. L’hanno accettata per mantenere l’unità della coalizione e impedire che il cavaliere sia attratto dalle sirene della riforma elettorale proporzionale o dall’idea di un accordo con il Pd sul nuovo presidente. Anche se solo il 10% dei 452 grandi elettori del centro-destra disertasse, e se queste defezioni non fossero compensate da altre di segno opposto a suo favore, va da sé che l’asticella per essere eletto si alzerebbe ancora di più.

Nella sostanza l’elezione di Berlusconi, se effettivamente deciderà di essere in campo alla quarta votazione, sarebbe il risultato di un gioco di defezioni incrociate. Ma quello che sorprende di più in tutta questa vicenda è che i vari Salvini, Meloni, Tosi, Cesa, Lupi ecc. possano accettare di vedere eletto, dopo Mattarella, e invece di Draghi, e per giunta con una maggioranza risicata, un uomo controverso come Silvio Berlusconi in un momento così difficile per il Paese. I numeri ci dicono che è difficile che accada. È probabile che lo sappia anche il Cavaliere. Forse tutto quello cui stiamo assistendo è l’ennesima pantomima. L’ennesima trovata di un attore geniale, capace di riacquistare ancora una volta la scena grazie alla pochezza dei suoi amici-nemici. Perché questo è il punto. Fino a qualche settimana fa Berlusconi e Forza Italia erano ai margini con il 7-8% delle intenzioni di voto contro il 20 % circa dei due alleati. Oggi danno le carte. Berlusconi ha capito che Forza Italia occupa una posizione strategica da cui Salvini non ha saputo o voluto sloggiarlo. È il partito di cerniera tra la destra e il centro e qualunque sia il sistema elettorale i suoi voti sono indispensabili. Servono per vincere nei collegi uninominali con il Rosatellum e servono per fare una maggioranza di governo dopo il voto con il proporzionale. E così riesce a tenere sotto scacco Lega e Fdi. Per il Cavaliere a questo punto il rischio è uno solo. Se decidesse veramente di andare alla conta al quarto scrutinio e non ce la facesse, rischierebbe di perdere molti dei vantaggi acquisiti finora. Se invece decidesse di fare il king-maker accrescerebbe ulteriormente la sua centralità. Ma non è chiaro se sia un vero dilemma. Forse fin dall’inizio il Cavaliere ha concepito questa machiavellica pantomima.

Roberto D’Alimonte (1947) è professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano. Dal 1974 fino al 2009 ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato come visiting professor nelle Università di Yale e Stanford. Collabora con il centro della New York University a Firenze. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano i sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto in Italia. A partire dal 1993 ha coordinato con Stefano Bartolini e Alessandro Chiaramonte un gruppo di ricerca su elezioni e trasformazione del sistema partitico italiano. I risultati sono stati pubblicati in una collana di volumi editi da Il Mulino: Maggioritario ma non troppo. Le elezioni del 1994; Maggioritario per caso. Le elezioni del 1996; Maggioritario finalmente? Le elezioni del 2001; Proporzionale ma non solo. Le elezioni del 2006; Proporzionale se vi pare. Le elezioni del 2008. Tra le sue pubblicazioni ci sono articoli apparsi su West European Politics, Party Politics, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. E’ membro di ITANES (Italian National Election Studies). E’ editorialista de IlSole24Ore. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.