La Puglia si prepara a una nuova tornata elettorale con un verdetto che sembrerebbe difficilmente ribaltabile. Antonio Decaro, figura centrale del centrosinistra regionale e nazionale, parte da una posizione di vantaggio, forte del risultato – l’ultimo in ordine di tempo – centrato alle europee dello scorso anno (quasi mezzo milione di preferenze, di cui 352 mila raccolte proprio in Puglia). A fronte di una competizione che pare meno aperta del passato, resta centrale capire come si distribuirà il consenso, quale sarà il livello di partecipazione e che ruolo giocheranno le dinamiche locali. Per orientarsi al voto del 2025, è essenziale allora ripercorrere la traiettoria politica della regione e la profonda trasformazione che l’ha attraversata negli ultimi vent’anni.
Da terra conservatrice a fortezza rossa
La storia politica della Puglia è stata lineare per decenni interi, fino ad una svolta inattesa giunta venti anni fa. Per tutta la Prima Repubblica, la guida della regione rimase saldamente nelle mani della Democrazia Cristiana, con un’unica eccezione nel 1992, ormai agli sgoccioli di quella stagione politica. Con la riforma della legge elettorale regionale nel 1995 seguita poi dall’introduzione dell’elezione diretta del Presidente, il centrodestra, in continuità con l’egemonia della Dc, prese le redini per un ulteriore decennio: prima con Salvatore Distaso, poi con Raffaele Fitto, entrambi al governo per un solo mandato. Il vero spartiacque arrivò quindi nel 2005: Nichi Vendola, esponente allora di Rifondazione Comunista, batté Fitto per soli 14.000 voti, uno scarto dello 0,6%. Quella del 2005 fu, per intensità dello scontro, una delle elezioni più marcatamente bipolari della storia italiana: gli altri due candidati non arrivarono all’1% complessivo. Da allora, la Puglia è diventata pian piano un baluardo progressista, con due mandati ciascuno per Vendola ed Emiliano. Con quest’ultimo, ex sindaco di Bari, la trasformazione si consolidò ulteriormente. Antonio Decaro, anch’egli proveniente dall’esperienza amministrativa barese, è chiamato a raccogliere quest’eredità, contesa da Luigi Lobuono, l’imprenditore candidato dal centrodestra.
Affluenza: il crollo degli ultimi anni
Il quadro partecipativo in Puglia segue la tendenza nazionale di progressiva erosione dell’affluenza. Nelle regionali del 2020 si è recato alle urne il 56,4% degli aventi diritto, complice anche la concomitanza con il referendum sul taglio del numero dei parlamentari. Ma da allora, il calo è stato marcato: alle politiche del 2022 si è scesi al 56,5% (dal 69,1% del 2018), mentre le europee del 2024 hanno toccato un minimo del 43,6%, contro il 49,8% del 2019.
L’impressione è che il 2025 possa segnare un ulteriore passo indietro. A meno di sorprese dell’ultimo momento, la partecipazione potrebbe scendere sotto la soglia simbolica del 50%. Tra le circoscrizioni, come visibile nella mappa col dato del 2020, non emergono differenze significative, se non il dato particolarmente alto della provincia di Barletta-Andria-Trani (60%), al cui opposto c’è Foggia (52,7%).
Gli effetti delle alleanze
Il trend dei voti per blocchi conferma una narrazione coerente: la Puglia è stata a lungo un feudo del centrodestra. Anche dopo la vittoria di Vendola, le tornate politiche ed europee restituivano fino al 2010 una regione più orientata a destra. La vera svolta si consolida solo più tardi, con il centrosinistra e il Movimento 5 Stelle che, se sommati, riescono a superare stabilmente il blocco conservatore. Come per altre regioni, anche qui andrà verificato se e quanto il M5s riuscirà a mantenere il proprio consenso all’interno di una coalizione con il Pd. A ciò s’aggiunga che il Movimento (anche in Puglia) ha sempre mostrato un rendimento inferiore nelle elezioni regionali rispetto a quelle nazionali.
La partita sembra comunque poco contendibile: Decaro parte con un margine di vantaggio robusto, anche alla luce della geografia del consenso consolidato. La mappa ricavata dalle ultime quattro tornate nazionali (europee 2019, 2024; politiche 2018, 2022) mostra un orientamento stabile verso il campo largo in molte aree della regione. Le province più progressiste si confermano Bari e Foggia — quest’ultima, non a caso, provincia d’origine di Giuseppe Conte.
Il voto di preferenza: un quadro stabile
Anche nel 2025, il voto di preferenza continua a mostrare pattern consolidati. Le zone dove se ne fa più uso restano il Salento e l’area metropolitana di Bari, come evidenziato dalla mappa relativa. I dati mostrano che l’elettorato dei Cinque Stelle si distingue per una minore propensione a esprimere preferenze: meno di un elettore su due aggiunge una preferenza, contro quote molto più elevate nelle altre forze politiche. Questo, storicamente, penalizza il M5s in elezioni a forte connotazione locale come le regionali.
Quanto ai cosiddetti “signori delle preferenze”, ovvero quei candidati in grado di raccogliere voti personali paragonabili (a livello provinciale) a quelli di una lista, non si segnalano cambi di coalizione significativi rispetto al 2020. Alcuni di loro si ripresentano nelle stesse circoscrizioni, altri appoggiano nuovi candidati, ma l’equilibrio complessivo sembra stabile. Questo rafforza la posizione di Decaro, che può contare sulla fedeltà e il radicamento di numerosi candidati forti nei territori, con ben 12 che si ricandidano anche quest’anno. In particolare, nelle province di Bari e Lecce, dove la tradizione del voto di preferenza è più consolidata, il vantaggio potenziale del centrosinistra potrebbe amplificarsi.
