La sfida di Zaia: perché dalle elezioni in Veneto passa il futuro della Lega 

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Redazione CISE

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Il voto in Veneto è molto più di quanto sembri. Ufficialmente, si tratta di un’elezione locale. Nei fatti, è un test cruciale per il futuro della destra italiana, i cui equilibri interni sono tutt’altro che stabilizzati. Cosa succederà senza Zaia candidato presidente? La Lega saprà tenere il primato regionale o verrà superata da Fratelli d’Italia, come già successo alle politiche 2022 e alle europee 2024? E il centrosinistra può davvero sperare in una rimonta o condurrà solo una battaglia per limitare i danni? Il copione di queste elezioni appare scontato, ma sotto la superficie si agitano dinamiche politiche cruciali per gli anni che verranno.

Una storia di dominio e continuità

Il Veneto è da sempre una regione caratterizzata da lunghi e consolidati cicli politici. Nella Prima Repubblica, la cosiddetta “subcultura bianca” aveva il suo sbocco naturale nel voto alla Democrazia Cristiana. Dall’introduzione dell’elezione diretta del governatore , il testimone è passato al centrodestra, capace di ereditare e reinterpretare la rappresentanza di quel mondo. I tre mandati di Giancarlo Galan (Forza Italia) e i tre di Luca Zaia (Lega) rappresentano la perfetta espressione di quello che Ilvo Diamanti identificò come “forzaleghismo”. Anche nelle elezioni di quest’anno il centrodestra si presenta compatto, nonostante un confronto acceso sul nome del candidato presidente. A spuntarla è stata di nuovo la Lega con il deputato e vicesegretario Alberto Stefani. Fratelli d’Italia, che nel Veneto ha costruito di recente una roccaforte elettorale, aveva provato a intestarsi la successione, ma ha infine accettato la mediazione. Il centrosinistra schiera invece Giovanni Manildo, ex sindaco di Treviso. Dal punto di vista territoriale, la mappa nella figura rappresenta la geografia dell’orientamento elettorale complessivo in Veneto, ricostruito in base alle ultime quattro elezioni nazionali: europee 2019, 2024 e politiche 2018 e 2022 (le elezioni regionali 2020 sono state escluse dall’analisi in quanto, data la straordinaria personalizzazione del voto per “l’effetto Zaia”, hanno prodotto risultati incomparabili con le altre consultazioni). Per ogni Comune è stato calcolato il margine tra centrodestra (CD) e campo largo (centrosinistra + Movimento 5 Stelle, CL) in ogni elezione, ed è stata poi calcolata una media ponderata che attribuisce un peso maggiore alle elezioni più recenti. Il margine consolidato risultante rappresenta l’orientamento politico “di fondo” di ciascun territorio, al netto delle oscillazioni contingenti e degli effetti di personalizzazione delle elezioni regionali.

Ne emerge un quadro piuttosto chiaro. Il centrodestra domina il Veneto profondo, le aree rurali e manifatturiere, con un divario che in alcuni casi si avvicina addirittura al 50%, mentre il campo progressista prevale leggermente nei capoluoghi e nei Comuni di cintura. All’avvicinarsi ai contesti urbani cresce insomma la probabilità di una prevalenza del centrosinistra, tendenza tipica in molti paesi. Si tratta però di risultati molto lontani dal riequilibrare il paesaggio elettorale complessivo, chiaramente dominato dalla coalizione di centrodestra.

Come cambia l’affluenza

Venendo alle aspettative sulla consultazione imminente, iniziamo dall’affluenza. Il Veneto, come il resto d’Italia, vive da anni un progressivo calo della partecipazione elettorale. Le regionali, in particolare, mostrano livelli di affluenza più bassi rispetto alle politiche e alle europee. L’eccezione del 2020 (57,2%) va legata, oltre all’apice toccato dal consenso personale di Zaia, alla concomitanza del referendum costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari. Nel 2025, invece le aspettative sono più critiche. L’assenza di Zaia, la percezione diffusa di un esito scontato e la collocazione autunnale del voto potrebbero portare l’affluenza vicino al 50%, come già accaduto alle europee del 2024 (52,4%).

Anche qui, la geografia parla chiaro, come visibile nella mappa in basso che mostra la partecipazione media al voto di ciascun Comune calcolata sulla base delle ultime 3 consultazioni che hanno coinvolto l’intero territorio (regionali 2020, politiche 2022 ed europee 2024. Le zone a maggiore partecipazione sono quelle più conservatrici: Vicenza, Verona, Treviso. Al contrario, le aree storicamente più a sinistra come Venezia e Rovigo, registrano i tassi più bassi; un dato che sembra suggerire una crisi del campo progressista che ha forse tratti strutturali: non solo elettorale ma anche organizzativa e di leadership, riflessa in una inferiore capacità di mobilitazione.

Risultati scontati? Forse non del tutto

Alla luce dei dati visti all’inizio, la Regione Veneto, non appare quindi realmente contendibile. C’è tuttavia un aspetto che non è per niente scontato, e da guardare con attenzione: gli equilibri interni ai due poli. E al centro di questa riflessione c’è il braccio di ferro tra Lega e Fratelli d’Italia. Nel 2020, la sola lista Zaia ottenne il 44,6%, contro il 16,9% della Lega. Oggi il governatore uscente è capolista in tutte le circoscrizioni, ma sotto il simbolo ufficiale del Carroccio. L’operazione parrebbe avere l’obiettivo di trasferire il proprio capitale politico alla Lega, e misurare il proprio peso per riaffermarsi, da solo, come primo partito del Veneto; dando così una risposta al successo recente di Fratelli d’Italia. Il partito di Meloni infatti ha ottenuto risultati notevoli alle elezioni nazionali (32,7% alle politiche 2022, 37,6% alle europee 2024); c’è però l’incognita se saprà o meno confermare quei numeri senza il traino diretto di Giorgia Meloni, in un contesto iper-localizzato come quello delle regionali, e con un presidente uscente popolarissimo alla guida della Lega.

Guardando al centrosinistra, è interessante il caso del Movimento 5 Stelle: nella sua fase espansiva, tra il 2013 e il 2018, raccoglieva consensi trasversali, con una prevalenza a destra. In Veneto, dove la tradizione progressista è debole, il M5S fungeva spesso da contenitore di protesta antisistema, drenando voti a danno del centrodestra. Negli ultimi anni, con un profilo più spiccatamente di sinistra, il Movimento ha perso gran parte della sua base regionale, scendendo sempre sotto al 6%. Il centrosinistra, dal canto suo, punta a contenere il distacco, visto che il dato del 2020 è stato catastrofico: 19% contro il 77% del centrodestra , con 58 punti di differenza. Tornare sopra il 30%, magari replicando le performance delle ultime regionali dell’era Galan (2000 e 2005), equivarrebbe già a una piccola riscossa.

Zaia, l’ombra lunga del governatore

E quindi, paradossalmente, il protagonista di questa elezione resta lui: Luca Zaia. Dopo tre mandati e un consenso record, il presidente uscente è ancora al centro del gioco, in una partita ancora da decifrare. Zaia ha scelto di candidarsi in consiglio regionale e in tutte le circoscrizioni. Gli scenari sul tavolo sono molteplici. Uno, più semplice, prevede il ritorno in Parlamento, magari in seguito al seggio lasciato proprio da Stefani. Un altro, più strategico, e di cui Zaia ha già parlato ai media nazionali, lo immagina protagonista di una Lega rinnovata, con un modello federale in stile CDU/CSU in modo da renderlo il leader del Nord. Ecco perché il voto è un banco di prova fondamentale. Se il Carroccio in Veneto tornasse sopra il 30% o oltre (a fronte di performance decisamente più deludenti in altre regioni), sarà difficile per la Lega ignorare Luca Zaia. Altrimenti, potrebbe aprirsi la fase della sua “normalizzazione” (e forse di un suo crepuscolo politico?).