Trastulli, F., & Mastroianni, L. (2023). What’s new under the sun? A corpus linguistic analysis of the 2022 Italian election campaign themes in party manifestos. Modern Italy.
Abstract
In this article, we introduce an innovative approach to examining campaign themes in Italy, by performing an original corpus linguistic analysis of the party manifestos related to the crucial 2022 election. Through its systematicity and flexibility, our approach allows us to gauge theory-driven propositions using a large amount of so far unexplored textual data. As anticipated, the 2022 Italian party manifestos are characterised by a somewhat balanced configuration of emphasis across a variety of themes, of which some are more controversial and others more widely shared among voters and parties. Further, we also corroborate that parties primarily focus on those themes that historically fit them best, ideologically and in terms of perceived competence. Lastly, salient ‘issues of the day’ are differently emphasised by Italian parties, which particularly avoid devoting considerable attention to the highly sensitive Russian-Ukrainian war.
Trastulli, F. (2022). Two is Better than One? Testing a Deductive MARPOR-based Left-Right Index on Western Europe (1999-2019). Italian Journal of Electoral Studies QOE – IJES, Just Accepted. https://doi.org/10.36253/qoe-13796.
Abstract
Most of the existing indexes measuring parties’ left-right positions through Manifesto Project (MARPOR) data, including the ‘RILE’, share a partially or fully inductive nature and an underlying assumption of left-right unidimensionality. However, as the structure of party competition in contemporary Western Europe has been recently moving away from traditional ‘left-libertarian/right-authoritarian’ patterns, the inductive and unidimensional characteristics of such instruments may hinder the quality of their measurements. In this article, I introduce and develop a new left-right instrument, which is wholly deductive and relies on an explicit linkage with theoretical sources in the conceptualisation of economic and cultural left and right as the basis for the subsequent index operationalisation through the justified selection of MARPOR items. After deriving the individual deductive economic and cultural left-right scores and employing them in the mathematical formalisation of a synthetic left-right measure to be compared with existing unidimensional instruments, I perform a comparison between the new left-right index and the RILE. Both instruments are empirically tested on a dataset made covering the 20-year period between 1999 and 2019 in 16 Western European countries, for a total of 72 elections and 474 party-election combinations. More specifically, the statistical probes take the form of rank correlation analyses between the election-specific left-right rankings of each index and those provided by the external benchmark of the “Chapel Hill Expert Survey” (CHES). Results are mixed and indicate that, whilst more traditional patterns of competition seem to still apply across the board in pre-Great-Recession years, the new left-right index is a more valid measure of parties’ left-right positions both in the ‘turbulent times’ of the 2010s and in the vast majority of the areas across the region. This is especially true in Southern Europe, for which the RILE is known to be particularly problematic. Hence, this work calls for further discussion on the different patterns of Western European party competition across space and time, as well as differentiated and context-specific deductive left-right measurement.
Tabella 1. Riepilogo delle percentuali del voto di lista per regione
A risultato praticamente acquisito e con solo una manciata di sezioni ancora da scrutinare, vi proponiamo le analisi del risultato elettorale alla Camera dei Deputati seguendo le classiche disaggregazioni territoriali del CISE per regioni e zone geopolitiche, guardando sia alle performance delle principali liste che a quelle delle due maggiori coalizioni. Ci concentriamo qui sui soli voti dati alle liste senza le ripartizioni dei voti ai soli candidati nei collegi uninominali, non ancora disponibili. Ciò ci consente già di tracciare una valutazione della performance di partiti e coalizioni al netto di dinamiche individuali legate ai singoli candidati.
Partiamo dalla Tabella 1, che ci fornisce il dato relativo alle percentuali di lista dei principali partiti, suddiviso per regione. Iniziamo coi vincitori, Fratelli d’Italia, che segnano performance elettorali comprese tra il 17,52% in Campania e il 32,87% in Veneto, risultando il primo partito in 12 regioni su 19 analizzate (tolte le meridionali Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, dove primeggia il Movimento 5 Stelle, e il Trentino Alto-Adige del Südtiroler Volkspartei). Ovviamente, la crescita del partito di Giorgia Meloni rispetto alla precedente tornata del 2018 è impressionante in ogni regione: dall’incremento minimo in Campania di 13,97 punti percentuali (pp) a quello massimo in Veneto di 28,58 pp.
Tra i partner di coalizione del centrodestra, esce invece ovviamente sconfitta la Lega, che ha uno share di voto minimo del 4,45% in Campania e il suo picco al 14,61% in Veneto (regge l’effetto Zaia, seppure il confronto con Fratelli d’Italia in questa regione sia impietoso). Pur confermandosi relativamente più forte al Nord piuttosto che al Sud, il partito di Matteo Salvini esce con le ossa rotte dal paragone con Fratelli d’Italia nel “proprio” Nord-Est, che perde. Emblematico, oltre al Veneto già visto, è l’11,04% contro 31,58% nel Friuli-Venezia Giulia del governatore leghista Fedriga, con uno scartoveramente notevole di oltre 20 punti percentuali. Il crollo della Lega rispetto al 2018 è proprio al Nord, con dati impressionanti: -18,28 pp in Veneto, -15,58 pp in Friuli-Venezia Giulia, -14,99 pp in Lombardia. Curiosamente, invece, la Lega “nazionalizzata” tiene proprio al Sud, con perdite contenute o piccoli incrementi (per esempio, il 2,71 pp della Basilicata e 0,16 pp della Calabria) nella maggioranza delle regioni meridionali.
Una storia simile può essere tracciata per il terzo partner di coalizione, Forza Italia. Il partito di Silvio Berlusconi, infatti, va ben oltre il dato nazionale soprattutto al Sud, con svariate regioni addirittura in doppia cifra: Calabria (risultato massimo del 15,76%), Puglia, Molise, Sicilia e Abruzzo. In altre quattro regioni, e cioè Campania, Basilicata, Sardegna e Lazio, Forza Italia è addirittura il secondo partito della coalizione, con consensi più larghi della Lega. È soprattutto – ma non solo – al Nord, invece, dove Forza Italia è poco competitiva, come testimoniato dal 3,45% del Trentino-Alto Adige. Ciò parrebbe confermare come è proprio dove Lega e Forza Italia erano tradizionalmente più forti e sono ora più deboli che Fratelli d’Italia è cresciuta e si è presa il centrodestra. A differenza della Lega, tuttavia, Forza Italia è in perdita lungo tutto il paese rispetto al 2018, dai -3,13 pp della Basilicata ai -9,73 pp della Sicilia del contestualmente neo-eletto governatore Renato Schifani.
A sinistra, il PD è debole soprattutto al Sud, mentre è sopra al dato nazionale al centro-nord. La performance elettorale del partito di Enrico Letta varia dall’11,75% della Sicilia al 28,04% dell’Emilia-Romagna e dove il PD è più forte è soprattutto nella (fu) zona rossa toscana, umbra e marchigiana, così come in Liguria. In linea con il risultato tutto sommato piuttosto simile a quello della segreteria Renzi nel 2018, il PD lettiano cala in 9 regioni su 19 per incrementare la propria consistenza elettorale nelle rimanenti 10, variando tra i -4,19 pp dell’Umbria e i 3,49 pp della Sardegna.
Di più difficile interpretazione saranno tutti i dati relativi al Movimento 5 Stelle. È vero: rispetto al 2018, i 5 stelle sono crollati elettoralmente. Tuttavia, (almeno) due caveat sono d’obbligo: uno, lo stesso discorso non si applica al confronto, più realistico, con le Europee del 2019; e due, il Movimento 5 Stelle si è presentato questa volta come una proposta politica – apertamente “progressista”, nelle parole di Giuseppe Conte – qualitativamente diversa rispetto al 2018. Ciò detto, come sappiamo, nella performance elettorale grillina c’è una correlazione inversa praticamente perfetta tra latitudine geografica e voti ottenuti: con grande forza nelle regioni meridionali, status di primo partito nella maggioranza di esse, e clamoroso picco sopra al voto su 3 (34,78%) in Campania. Per converso, il M5S è debole al Nord, dov’è sotto il 10% ovunque meno che in Liguria e Piemonte e sprofonda al 5,09 in Trentino-Alto Adige. Ovviamente, rispetto alla performance storica del 2018, questo partito perde voti consistentemente e ovunque, dai -13,45 pp toscani ai -21,62 pp marchigiani.
Tabella 2. Riepilogo delle percentuali del voto di lista per zona geopolitica
Chiaramente, l’aggregazione nelle zone geopolitiche tradizionalmente analizzate dal CISE – Nord, (ex) Zona Rossa e Sud – riflette appieno quanto detto sopra, come evidenziato dalla Tabella 2. Fratelli d’Italia è egemone al Nord e nella Zona Rossa, mentre il Movimento 5 Stelle è – piuttosto clamorosamente, viste le previsioni di partenza in campagna elettorale e l’affermazione storica della destra di Giorgia Meloni – il primo partito al Sud. In termini percentuali, la forza della Lega è ancora più forte al Nord piuttosto che, progressivamente meno andando più verso meridione, nella Zona Rossa e a Sud. Forza Italia si mantiene un partito prevalentemente meridionalista da un punto di vista della competitività elettorale, mentre per il PD è magra consolazione il quasi testa a testa con Fratelli d’Italia in Zona Rossa.
Inoltre, anche le variazioni di zona in punti percentuali rispetto al 2018 sono illustrative. Come ovvio, Fratelli d’Italia ha un exploit ovunque, ma soprattutto al Nord, dove collassa la Lega (che perde moltissimo anche in Zona Rossa). Il PD non segna neanche qui un risultato così diverso dal 2018 renziano: cala, appena sotto al punto percentuale, al Nord e in Zona Rossa, mentre guadagna 1,67 pp al Sud, dove però si mantiene debole. Forza Italia perde consistenti share di voto in maniera piuttosto omogenea, tra oltre i 4 pp e oltre i 7 pp, in tutto il Paese, mentre – come detto – il dato del M5S è difficilmente interpretabile.
Tabella 3. Riepilogo delle percentuali di voto delle due coalizioni per regione
Passiamo al confronto fra le due principali coalizioni, ovvero centrodestra e centrosinistra. Qui, come si evince dalla Tabella 3, la forza coalizionale del centrodestra emerge prepotentemente: il risultato minimo è il 31,18% ottenuto nel peculiare contesto trentino con l’opposizione contemporanea di centrosinistra, Movimento 5 Stelle, e SVP, mentre emblematiche sono le oltre una preferenza su due espresse in Veneto (56,26%), Lombardia (50,56%) e, quasi, in Friuli-Venezia Giulia (49,87%). Ovviamente, la competitività elettorale del centrodestra unito è complessivamente trasversale lungo tutto il paese. Inoltre, la coalizione cresce altrettanto trasversalmente rispetto alle politiche del 2018, dai 1,87 pp del Trentino-Alto Adige ai 13,08 pp del Molise.
Di contro, come sopra, il centrosinistra unito di PD, Alleanza Verdi-Sinistra, Più Europa e Impegno Civico è ben più competitivo al centro-nord piuttosto che al Sud, dove i dati più emblematici provengono da Sicilia (16,42%) e Calabria (18,15%). Tuttavia, il quadro che emerge è di chiara e irrevocabile non competitività: basti pensare che il centrosinistra va sopra il 30% solamente in Liguria, Toscana e nella più redditizia Emilia-Romagna (picco di coalizione del 35,95%), mentre il centrodestra non va mai sotto al 30% e solo in due occasioni sotto al 35%. Inoltre, il centrosinistra non batte mai il centrodestra. Infine, mentre è vero che il centrosinistra unito guadagna nella maggior parte delle regioni rispetto alla precedente tornata del 2018 – complice il contestuale crollo del Movimento 5 Stelle -, fino anche a sfiorare i dieci punti percentuali di guadagno in Sardegna (9,47 pp), la coalizione addirittura perde voti in una sua storica roccaforte ormai, da qualche anno, crollata in ogni sua componente: l’Umbria.
Tabella 4. Riepilogo delle percentuali di voto delle due coalizioni per zona geopolitica
A livello di zone geopolitiche, come visibile nella Tabella 3, lo scarto tra centrodestra e centrosinistra è micidiale al Nord, dove la coalizione a guida Fratelli d’Italia domina con quasi una preferenza su due: 49,58% a 26,43%, un quasi doppiaggio. Altrettanto negativo è il bilancio del centrosinistra al Sud, dove il suo peggior dato di zona (22,28%) fa fronte ai quattro voti su 10 raccolti dal centrodestra (39,58%). E ugualmente emblematica è la Zona Rossa, l’area relativamente migliore per il centrosinistra: perché se è vero che qui ottiene più di un voto su tre (33,45%), è anche vero che le destre ne ottengono più di quattro su 10 (40,17%) e che il distacco in termini percentuali è in ogni caso un tutt’altro che banale 6,5% circa.
Infine, è interessante concludere notando come la forza relativa delle varie componenti di queste coalizioni vada in qualche modo a levigare le differenze più evidenti emerse nelle analisi più disaggregate. Infatti, il centrodestra cresce piuttosto omogeneamente in tutto il paese rispetto alle politiche del 2018, in particolar modo dove resta più debole (e dove c’è la crisi dei 5 Stelle), cioè al Sud (7,82 pp), seguito dalla Zona Rossa (7,15 pp) e dal Nord (5,17 pp). Ciò ci indica che rispetto al 2018, soprattutto nel Settentrione, a cambiare sono stati più i rapporti di forza interni alla coalizione di centrodestra piuttosto che la competitività della coalizione stessa. Di nuovo, complice il crollo del M5S, cresce anche il centrosinistra, ovunque e in modo piuttosto uniforme: soprattutto al Sud pentastellato nel 2018 (4,67 pp), poi nella Zona Rossa (2,88 pp) e al Nord (2,37 pp). Ma non cresce mai, in nessuna area, come il centrodestra.
Le nostre analisi approfondiscono questo dato grave e storico. La Tabella 1 riporta l’affluenza alle urne per regione, confrontata con quella del 2018. Come evidente, e in linea con i trend storici, si vota di più nelle regioni settentrionali piuttosto che in quelle meridionali, con Emilia-Romagna (71,97%), Veneto (70,15%) e Lombardia (70,09%) a registrare la maggiore partecipazione, a fronte dei dati più negativi riscontrati in Calabria (50,79%), Sardegna (53,15%) e Campania (53,29%).
Il dato aggregato riportato sopra implica un calo generalizzato dell’affluenza in ogni regione, testimoniato dai dati. Infatti, si cala ovunque almeno di oltre 5 punti percentuali (pp) rispetto al 2018, con le diminuzioni minori registrate in Sicilia (-5,33 pp, dove tuttavia si partiva dal dato di affluenza regionale più basso nel 2018 e si votava anche per le regionali) e nelle settentrionali Emilia-Romagna (-6,32 pp) e Lombardia (-6,72 pp). I crolli maggiori si osservano al Sud, precisamente in Molise (-15,09 pp), Campania (-14,89 pp) e Calabria (-12,85 pp). (Phentermine)
Tabella 2. Dato dell’affluenza e variazione per zona geopolitica
Il dato regionale non può che fare da preludio a quello relativo alle tradizionali zone geopolitiche del paese analizzate dal CISE: il Nord, la (fu) Zona Rossa, e il Sud. Infatti, come evidente in Tabella 2, i cali nell’affluenza sono corposi in ogni zona e in particolare nel Meridione, nonostante il dato di partenza del 2018 fosse già il più basso. In particolare, al Sud si perdono oltre 10 punti percentuali rispetto al 2018 (57,43% nel 2022 contro 68,18% nel 2018), mentre l’emorragia di votanti è compresa fra i 7 e gli 8 punti percentuali al Nord (68,6% nel 2022 contro 76,37% nel 2018) e nella Zona Rossa (70,4% nel 2022 contro 77,85%), che si conferma la zona con il tasso di partecipazione elettorale più alto del Paese.
Trastulli, F. (2022). «Fence-Building» or «Preservation»: The Paths to Social Democratic Nationalist Position-Taking in Western Europe (2008-2018). Polis2/2022, 189-218.
Abstract
Nationalism is generally seen as an issue owned by «traditional-authoritarian-nationalist», typically right-wing parties. However, data on electoral manifestos by the Manifesto Project shows that other formations too adopt nationalist positions. This includes a party family such as Western European social democracy, which traditionally opposed such stances and, as a result, has been largely neglected by the literature on nationalism, especially in terms of empirical investigations. This article investigates under which conditions social democratic parties in this region adopt nationalist positions in their electoral manifestos during the ten-year period following the outbreak of the late-2000s global financial crisis (2008-2018). It does so by performing a crisp-set qualitative comparative analysis, which is able to handle and account for causal complexity in the form of conjunctural causation and equifinality. Such a configurational analysis builds on a theoretical framework positing that high levels of immigration, high ethnic fragmentation, a struggling national economy, and a supportive national public opinion are conducive to nationalist position-taking by parties. The results of the analysis indicate that whilst, as expected, no single condition is alone necessary or sufficient for the outcome of interest, two conjunctural and equifinal paths are sufficient for social democratic parties to endorse nationalist stances: a «fence-building» and a «preservation» scenario.
Trastulli F (2022) More Left or Left No More? An In-depth Analysis of Western European Social Democratic Parties’ Emphasis on Traditional Economic Left Goals (1944–2021). Front. Polit. Sci. 4:873948. doi: 10.3389/fpos.2022.873948.
The article is open access and can be accessed here.
Abstract
The ideological evolution of Western European social democratic parties has received considerable scholarly attention over the decades. The most widespread view concerns the alleged programmatic moderation and convergence with the mainstream right of this party family. However, recent empirical investigations based on electoral manifestos come to different conclusions, highlighting an increase over time in Western European social democratic parties’ emphasis on traditional economic left goals, especially in recent years. Hence, this article analyses the evolution of the social democratic programmatic outlook with regard to traditional economic left issues. It does so by relying on Manifesto Project (MARPOR) data about such formations in 369 general elections across 20 Western European countries between 1944 and 2021, employing different indicators of economic left emphasis and time to ensure the robustness of the findings. The analysis shows how, at the aggregate level, social democracy increases its emphasis on traditional economic left issues over time, with the effect driven entirely by the recent post-Great Depression years. However, once disaggregating the results, a more differentiated picture emerges, pointing towards potential causes of concern in terms of measurement validity within the MARPOR data. The article discusses the substantive and, especially, methodological implications of its findings in detail.
Il secondo turno delle elezioni comunali del 2021 di domenica 17 e lunedì 18 ottobre ha fatto registrare un ulteriore calo della partecipazione elettorale, dopo il già estremamente negativo riscontro del primo turno (Trastulli 2021). Nei 63 comuni andati al ballottaggio, di cui 60 superiori ai 15000 abitanti, l’affluenza si è infatti attestata al 43,93%, in calo di circa nove punti percentuali rispetto al primo turno.[1] Questo dato include i 3 comuni non superiori andati al voto, che sono stati gli unici a riscontrare un aumento nella partecipazione elettorale.[2] Seppure vada ovviamente riportato questo dato, con menzione d’onore per il comune di Corchiano nel viterbese dove si è presentato l’87,17% degli aventi diritto al voto, si tratta ovviamente di contesti con piccoli bacini elettorali e quindi incapaci di incidere significativamente sul bilancio complessivo. Chiaramente questo computo, come evidente dalla Tabella 1, peggiora ancora di più considerando invece soltanto i 60 comuni superiori giunti al ballottaggio, con un calo dell’8,75% dal 52,65% del 3-4 ottobre al 43,9% del secondo turno. Inoltre, in più del 40% dei comuni superiori (26/60) si è riscontrato un calo della partecipazione elettorale di oltre 10 punti percentuali, con picchi del 24,37% ad Afragola (NA) e, per quanto riguarda i capoluoghi di provincia, 20,41% a Caserta. Complessivamente, il dato nazionale ripropone una tendenza già riscontrata in occasione di precedenti tornate amministrative (Maggini 2018): ovvero, un incremento dell’astensione in occasione dei ballottaggi che, pur essendo il momento decisivo per l’elezione dei sindaci nei vari comuni, non sembrano essere attrattivi per gli elettori.
Tabella 1. Confronto dell’affluenza tra primo e secondo turno delle comunali 2021 nei comuni al ballottaggio (Italia e superiori)
Come per il primo turno, un’analisi più granulare dell’astensione rivela come questa abbia coinvolto l’Italia nella sua interezza, ovvero da diversi punti di vista per quanto riguarda sia le sue diverse aree, sia le caratteristiche amministrative dei comuni al voto. La Tabella 2 mostra come il calo nella partecipazione elettorale al ballottaggio rispetto al primo turno nei comuni pervenuti al secondo turno abbia coinvolto tutte le zone del Paese: Nord (43,64%, -6,01%), “Zona Rossa” (49,09%, -9,48%) e Sud (43,68%, -9,6%).[3] Come evidente, questo decremento si è avvicinato ai 10 punti percentuale nella Zona Rossa e al Sud, mentre è stato relativamente meno vistoso al Nord. Qui, tuttavia, si partiva già dalla situazione di minor affluenza al primo turno, con meno di un elettore su due recatosi alle urne.
Tabella 2. Confronto dell’affluenza tra primo e secondo turno delle comunali 2021 per zona
La Tabella 3 riepiloga l’affluenza al primo e al secondo turno nei 9 comuni capoluogo di provincia nei quali si è andati al ballottaggio. Anzitutto, pur riscontrando un decremento maggiore rispetto al 3-4 ottobre, un primo dato è che in media la provincia sembra continui a partecipare relativamente di più in consultazioni elettorali a livello locale rispetto ai centri urbani più grandi. Infatti, mentre i comuni non capoluogo di provincia si sono attestati a una partecipazione di quasi un elettore su due al secondo turno (49,34%, un calo dell’11,16% rispetto al 60,5% del primo turno), i capoluoghi hanno registrato un’affluenza inferiore di oltre 7 punti percentuali (42,02%, calando dell’7,89% rispetto al 49,91% del primo turno).
È interessante, poi, guardare specificamente ai capoluoghi al voto. Tra queste città, a farla da padrone sono state indubbiamente Roma e Torino, ovvero i due grandi contesti nei quali il primo turno non è stato risolutivo, a differenza di Milano, Napoli e Bologna (Emanuele e Paparo 2021). Le vittorie del centrosinistra nei due capoluoghi di regione sono arrivate in situazioni di bassissima partecipazione elettorale già nei primi turni, in quanto in entrambi i casi aveva votato meno di un elettore su due. Complessivamente, l’affluenza a Roma e Torino è calata del 7,43% rispetto al 3-4 ottobre e questo nonostante sia primi turni piuttosto combattuti, soprattutto nella Capitale, sia le importanti sfide fra i candidati di centrosinistra (Gualtieri e Lo Russo) e centrodestra (Michetti e Damilano) (D’Alimonte 2021). Alla luce di questo decremento dell’affluenza, i due nuovi sindaci sono stati eletti con la partecipazione di appena due aventi diritto al voto su cinque, e quindi l’astensione di tre elettori su cinque, sia a Roma (40,68%) che a Torino (42,14%). Così come negli altri comuni superiori, anche nella maggioranza dei rimanenti capoluoghi di provincia (due al Nord e cinque al Sud) l’affluenza è diminuita marcatamente tra il primo e il secondo turno. Particolarmente vistosi sono i crolli dei comuni del Meridione, anche alla luce di una relativamente più alta mobilitazione degli elettorati al primo turno. Tra questi troviamo i cali di oltre il 20% a Caserta (-20,46%) e Cosenza (-20,16%), il -13,56% di Benevento e i decrementi prossimi alla doppia cifra di Isernia (-9,48%) e Latina (-8,46%). Di nuovo, la diminuzione dell’affluenza è relativamente meno consistente nei due capoluoghi del Nord (-6,4% a Savona, -2,57% a Varese), dove tuttavia si era già registrato un diffuso disinteresse il 3-4 ottobre.
Tabella 3. Confronto dell’affluenza tra primo e secondo turno delle comunali 2021 considerando lo status di capoluogo di provincia
In conclusione, da questi dati emerge di nuovo come la competizione elettorale a livello amministrativo tenda ad assumere sempre di più tratti di “secondo ordine” (Reif e Schmitt 1980), con un crescente disinteresse degli elettorati locali. Queste dinamiche sembrano accentuarsi non soltanto nel tempo, come detto, ma anche tra i primi e i secondi turni delle singole elezioni, nelle quali l’elemento strategico del voto al ballottaggio, invece di far presa, sembra interessare e soprattutto mobilitare di meno gli elettori piuttosto che il primo “voto sincero” (Chiaramonte e D’Alimonte 1994). Si tratta di un dato che diventa rilevante per le valutazioni e rivendicazioni dei partiti in ottica nazionale: infatti, mentre il PD di Enrico Letta ha subito celebrato i risultati di una tornata di amministrative che lo ha visto emergere come partito vincitore, la destra di Meloni e Salvini ha altrettanto rapidamente sottolineato come il vero trionfatore delle comunali 2021 sia stato altresì il non voto. Al netto della tendenza di per sé preoccupante, la considerazione che emerge è piuttosto che una larga fetta dell’elettorato italiano non pervenuto alle urne in questa occasione è diventata contendibile, soprattutto al Sud (Angelucci e Vittori 2021). Ovviamente, va esercitata cautela ogni qual volta si voglia effettuare il passaggio tra livelli di analisi diversi, in questo caso locale e nazionale. Tuttavia, queste elezioni comunali potrebbero fornire alcuni elementi rilevanti in vista dei prossimi importanti appuntamenti politici in Italia.
[1] L’analisi non include i due comuni della regione a statuto speciale del Friuli Venezia-Giulia andati al ballottaggio: Trieste e San Vito al Tagliamento.
[2] Si tratta di
Corchiano (VT), Rondanina (GE) e Torricella Verzate (PV).
[3] Per questa tornata di amministrative, le varie regioni sono state così ripartite nelle tre aree: Nord: Liguria, Lombardia, Piemonte, Veneto; Zona Rossa: Emilia Romagna, Marche, Toscana, Umbria; Sud: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Molise e Puglia).
Riferimenti bibliografici
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Chiaramonte, A., e D’Alimonte, R. (1994). ‘Il nuovo
sistema elettorale italiano: le opportunità e le scelte’, in Maggioritario ma
non troppo, S. Bartolini e R. D’Alimonte (a cura di), Il Mulino.
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Emanuele, V., e Paparo, A. (2021). ‘Al centrosinistra 52
sindaci (+15), centrodestra stabile a 38, M5S dimezzato. I numeri finali delle
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Maggini, N. (2018). ‘La vittoria del partito degli
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CISE.
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Trastulli, F. (2021). ‘Comunali 2021: crollo
dell’affluenza, vince l’astensione. Grandi città disertate, “tiene” l’effetto
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Al termine di una delle tornate elettorali più importanti della XVIII legislatura, il bilancio sull’affluenza al voto per le elezioni comunali del 3-4 ottobre è marcatamente negativo. Il dato finale a livello nazionale ci dice che hanno votato in tutto il 54,69% degli aventi diritto: un vistoso calo di quasi sette punti percentuali nei confronti delle precedenti amministrative (61,58%), le quali a loro volta segnavano un peggioramento rispetto al passato (Emanuele e Maggini 2016). Scontato dire come si registri anche un deciso abbassamento della partecipazione elettorale se paragonato alle politiche del 2018, nei confronti delle quali si perde in proporzione oltre il 18% degli aventi diritto al voto. Complessivamente, si tratta di un esito forse non sorprendente da un punto di vista sostanziale: sia in confronto alle ultime politiche, vista la natura di “secondo ordine” delle elezioni comunali (Reif e Schmitt 1980); sia nel paragone con le precedenti amministrative, dati per esempio gli ampiamente pronosticati successi al primo turno in tre delle cinque maggiori città italiane (con Milano, Napoli e Bologna al centrosinistra).
Tabella 1 L’affluenza alle comunali 2021 per zona confrontata con i dati delle precedenti amministrative e politiche
Ciononostante, è interessante rilevare come un’analisi più dettagliata dell’affluenza alle comunali 2021 riveli la generalità dell’aumento dell’astensione: e da un punto di vista geografico, e per quanto riguarda le caratteristiche dei comuni al voto. La tabella 1 mostra i dati sull’astensione nelle varie zone del paese: Nord (Liguria, Lombardia, Piemonte e Veneto), la cosiddetta “Zona Rossa” (Emilia Romagna, Marche, Toscana e Umbria) e Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Molise e Puglia).[1] Come evidente, in tutte e tre queste aree si registra un calo di oltre il 5% rispetto all’affluenza delle precedenti tornate comunali (-5,19% al Nord, -5,08% nella Zona Rossa e -5,07% al Sud), mentre ovunque questo decremento è ben più corposo in confronto alle politiche del 2018 (-23,91% al Nord, -20,41% nella Zona Rossa e -13,59% al Sud). Ma non solo: ancora una volta, la palma per la minore partecipazione va al Nord, che si conferma la zona storicamente con il minor interesse per questo tipo di consultazioni. Mentre da un lato questo dato è in controtendenza con le politiche del 2018, dove l’apporto del Nord all’affluenza è stato paragonabile a quello della Zona Rossa (ovvero l’area sempre relativamente più attiva), dall’altro la relativamente maggior partecipazione al Sud è in consonanza con le fondamentali dinamiche localistiche incentrate sui cosiddetti “signori delle preferenze”, che anche in quest’occasione parrebbero confermate (Fabrizio e Feltrin 2007; Emanuele e Marino 2016).
Tabella 2 L’affluenza alle comunali 2021 nei comuni superiori, anche per capoluoghi di provincia e presenza incumbent
La tabella 2 si concentra invece sui cosiddetti comuni superiori, ovvero quelli da oltre 15000 abitanti.[2] Questi vengono analizzati anche dalle angolature dei capoluoghi di provincia e di quegli enti in cui il sindaco uscente si ripresenta alle elezioni. Complessivamente, il dato dei comuni superiori (51,94%) è leggermente più basso rispetto all’affluenza media nazionale (-2,75%). Al suo interno, particolarmente significativa è la distinzione fra gli enti al voto in base al loro status o meno di capoluogo di provincia. Infatti, è evidente come l’affluenza sia stata sensibilmente minore nei capoluoghi (49,39%), sia rispetto al dato nazionale (-5,3%) che soprattutto rispetto al voto nei comuni non capoluogo (58,80%, quasi 10 punti percentuali in più e ben sopra la media nazionale), confermando una tendenza già osservata nella precedente tornata amministrativa (Emanuele e Maggini 2016). Come analizzato in seguito, questa situazione sarà peraltro riscontrata anche nelle grandi città al voto, nelle quali i rispettivi elettorati hanno risposto freddamente alla chiamata alle urne. In ogni caso, il generalizzato e significativo calo della partecipazione elettorale è stato fatto segnare sia dai capoluoghi di provincia (-8,18% rispetto alle precedenti comunali e -22,73% rispetto alle politiche del 2018), sia pur in misura minore dai comuni non capoluogo (rispettivamente -6,01% e -14%).
Infine, i dati mostrano anche l’importante portata dell’”effetto incumbent”. Nei comuni superiori in cui il sindaco uscente si è ripresentato alle elezioni, il dato sulla partecipazione (59,99%) è stato ampiamente al di sopra della media nazionale (+5,3%), mentre invece la mancanza dell’incumbent è equivalsa a una partecipazione ben più ridotta (51,43%, -3,26% rispetto alla media nazionale). Inoltre, mentre è vero che il crollo dell’affluenza coinvolge tutti i comuni superiori a prescindere dalla presenza del sindaco uscente o meno tra i candidati, gli enti in cui si ripresenta l’incumbent sono gli unici a reggere relativamente nel confronto con le precedenti comunali, perdendo in proporzione meno del 3% (-2,79%). È interessante notare come l’effetto incumbent sia allo stesso tempo positivo in tutto il Paese e differenziato da un punto di vista territoriale, coerentemente con il quadro fornitoci fin qui dai dati. Infatti, se la presenza del sindaco uscente è meno sentita al Nord (53,84%: -0,85% rispetto alla media nazionale), questa va comunque a migliorare il dato sull’affluenza in questa zona di quasi due punti percentuali (+1.89%). Ancor più, nella Zona Rossa (60,30%) e soprattutto al Sud (65,29%) gli incumbent fanno segnare un dato ampiamente al di sopra della media nazionale (rispettivamente, +5,61 e +10,6%). Quindi, di nuovo, è possibile parlare di un vero e proprio “effetto incumbent” soprattutto in quelle aree in cui le dinamiche personalistiche e locali possono mobilitare l’elettorato in modo più forte e quindi il voto è più candidate-oriented (Fabrizio e Feltrin 2007; Emanuele e Marino 2016).
Tabella 3 Dettaglio dell’affluenza alle comunali 2021 nelle cinque maggiori città al voto
In ultimo, la tabella 3 mostra i dati sull’affluenza relativi alle cinque più grandi città al voto nella tornata di ottobre 2021: Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna. Si tratta, infatti, di cinque fondamentali capoluoghi di regione e di una gran parte dei principali centri politici ed economici del Paese, ripartiti in maniera piuttosto bilanciata tra le varie zone d’Italia (2 Nord, 1 Zona Rossa, 2 Sud). Di conseguenza, sulla carta le amministrative in queste città rappresentavano un importante test nazionale per i partiti, a pochi mesi dall’elezione del Presidente della Repubblica e dalle prossime politiche. Eppure, gli elettori non hanno risposto in maniera ricettiva. Il dato clamoroso è che solo Bologna, infatti, è stata superata la soglia del 50% dell’affluenza (51,16%), mentre meno di un avente diritto al voto su due si è recato alle urne in tutte le altre città. Inoltre, il dato più basso di sempre al primo turno (Napoli, 47,19%) è stato registrato al Sud che, come visto, solitamente presenta al contrario un livello di partecipazione relativamente più alto a questo tipo di tornate elettorali; presumibilmente grazie alle sopracitate dinamiche, difficilmente riproducibili nel contesto di una grande città. Tutti e cinque questi comuni hanno fatto segnare un calo nella partecipazione rispetto alle precedenti comunali (nonché, in linea con tutte le altre analisi, un ben più vistoso crollo nei confronti delle politiche del 2018, come dalla tabella 3). Questo dato rinforza il trend affermatosi già nella precedente tornata amministrativa (Emanuele e Maggini 2016), andando infatti a inglobare anche l’unico outlier, ovvero quella Roma che al tempo risentì del boom del Movimento 5 Stelle a supporto di Virginia Raggi (Carrieri 2016). L’affluenza nella Capitale è stata infatti del 48,83%, con una variazione del -8,2% rispetto al 2016. L’emorragia più vistosa è stata registrata a Torino (48,06% contro 57,18%, ovvero -9,12%), con la stessa Bologna a perdere il -8,5% dell’affluenza e Milano (47,69%) a segnare un altro dato storico, ovvero la minore partecipazione mai registratasi in città. I numeri dei grandi centri ci permettono di chiudere con considerazioni di più ampio respiro. Infatti, in generale il crollo dell’affluenza sembra non risentire affatto né dell’equilibrio o meno della competizione elettorale, riguardando sia situazioni molto combattute e sentite come Roma, sia corse dall’esito più prevedibile come per esempio quella bolognese; né tantomeno delle diverse aree del Paese, affliggendo (in misure e modi diversi, come visto qui nel dettaglio) l’Italia da Nord a Sud. All’indomani del voto, pur non avendo un quadro completo di tutti i risultati e in attesa dei secondi turni, è quindi già possibile decretare un grande vincitore, se non il vincitore, di questa tornata di elezioni comunali del 2021: l’astensione.
[1] L’analisi non include eventuali regioni e province a statuto speciale al
voto: in questo caso, il Friuli.
[2] I comuni superiori analizzati sono 114 e non includono i 4 comuni friulani al voto (Trieste, Pordenone, Cordenons e San Vito al Tagliamento) e Lamezia Terme (CZ), dove si è votato soltanto in quattro sezioni a seguito della decisione del Consiglio di Stato.
Riferimenti bibiografici
Carrieri, L. (2016). ‘Roma cambia colore: l’avanzata del M5S e la trincea del PD’ in Cosa succede in città? Le elezioni comunali del 2016, V. Emanuele, N. Maggini e A. Paparo (a cura di), Dossier CISE, pp.79-86.
Emanuele, V., & Maggini, N. (2016). ‘Calo dell’affuenza, frammentazione e incertezza nei comuni superiori al voto’, in Cosa succede in città? Le elezioni comunali del 2016, V. Emanuele, N. Maggini e A. Paparo (a cura di), Dossier CISE, pp.49-56.
Emanuele, V., & Marino, B. (2016). ‘Follow the candidates, Not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalized party system’. Regional & Federal Studies, 26(4), 531-554.
Fabrizio, D., & Feltrin, P. (2007). ‘L’uso del voto di preferenza: una crescita continua’, in Riforme istituzionali e rappresentanza politica nelle regioni italiane, A. Chiaramonte e G. Tarli Barbieri (a cura di), Bologna: Il Mulino, pp. 175-199.
Reif, K., & Schmitt, H. (1980). ‘Nine second-order national elections – A conceptual framework for the analysis of european election results’. European Journal of Political Research, 8(1), pp. 3-44.
Uno dei tanti contributi di Ronald Inglehart, che si è spento l’8 maggio scorso, è stata la teoria del ‘cambiamento valoriale’. Secondo questa prospettiva, con la crescente capacità delle società industriali avanzate di poter soddisfare i bisogni materiali dei propri cittadini, la formazione dei loro valori, attitudini e opinioni politiche risente sempre più di questioni non materiali.
Nonostante la popolarità di questa teoria, larga parte della letteratura politologica si concentra tuttora sull’asse ‘sinistra-destra’, fondamentalmente materialista, per spiegare il comportamento politico. La maggior parte di questi studi, inoltre, si sono concentrati sul ‘lato della domanda elettorale’, ovvero sul ruolo dei valori, delle attitudini e delle opinioni nell’influenzare le decisioni di voto. Tuttavia, il ‘lato dell’offerta elettorale’, ossia le posizioni assunte dai partiti politici, è esso stesso potenzialmente rilevante. Per esempio, se la teoria del cambiamento valoriale dovesse rivelarsi accurata, sarebbe possibile osservare un progressivo emergere di temi ‘postmaterialisti’ nelle piattaforme programmatiche dei partiti.
Lo spazio politico multidimensionale dell’Europa occidentale offre uno scenario ideale nel quale testare la teoria di Inglehart. In un recente articolo, utillizzo dati tratti dal Manifesto Project (MARPOR) per verificare se i temi materialisti o quelli postmaterialisti siano stati i più salienti nei manifesti elettorali per le elezioni nazionali pubblicati dai partiti dell’Europa occidentale tra il 1990 e il 2019.
Trovo poche evidenze a favore della tesi del cambiamento valoriale nella mia analisi. I partiti dell’Europa occidentale hanno generalmente enfatizzato le questioni materialiste molto più di quelle postmaterialiste nei loro manifesti elettorali durante il periodo coperto dallo studio. Infatti, oltre l’85% dei manifesti che ho analizzato ha posto maggiore enfasi sulle questioni materialiste rispetto a quelle postmaterialiste.
In media, in ogni manifesto elettorale i temi materialisti vengono enfatizzati il doppio di quelli postmaterialisti. In totale, poco meno del 40% di un manifesto medio risulta incentrato su questioni materialiste, mentre poco meno del 20% è dedicato a questioni postmaterialiste. La figura 1 di seguito fornisce un’illustrazione di questi risultati.
Figura 1: Enfasi media sui temi materialisti e
postmateralisti nei manifesti dei partiti dell’Europa occidentale (1990-2019)
Nota: per ulteriori informazioni, si rimanda allo studio dell’autore.
Ciò solleva la questione di come questo equilibrio sia cambiato nel tempo. Contrariamente alla teoria del cambiamento valoriale, la distanza tra l’enfasi sui temi materialisti e postmaterialisti nei manifesti elettorali è rimasta relativamente stabile nel corso degli ultimi tre decenni, come mostrato nella Figura 2 di seguito. Seppur più stretto, durante i primi anni ’90 il divario tra le due tipologie di temi era ancora considerevole. In media, i temi postmaterialisti si sono aggirati intorno al 20% dello spazio di ogni manifesto elettorale, senza poter discernere trend evidenti sino alla fine degli anni 2010, quando si è verificato un aumento considerevole. Ciò può essere associato a questioni come la crisi migratoria in Europa e la crescente rilevanza delle tematiche ambientali. Al contrario, nel corso del tempo c’è stato un chiaro incremento dell’enfasi sui temi materialisti nei manifesti elettorali.
Figura 2: Variazione nel tempo dell’enfasi media su questioni materialiste e postmateraliste nei manifesti dei partiti dell’Europa occidentale (1990-2019)
Nota: per ulteriori informazioni, si rimanda allo studio dell’autore.
Ho anche separato i manifesti in quattro raggruppamenti geografici. In ognuno di questi, i temi materialisti hanno ricevuto maggiore enfasi, seppure si possano riscontrare alcune differenze interessanti tra ciascuna delle quattro aree. Come mostra la Figura 3 di seguito, il divario tra temi materialisti e postmaterialisti è generalmente più stretto nell’Europa continentale che nelle altre zone. Una possibile spiegazione di ciò è che nell’area dell’Europa continentale sono presenti diversi partiti di destra radicale, come Front National in Francia e Alternative für Deutschland in Germania, oltre a partiti verdi, per esempio in Austria, Belgio e Germania.
Figura 3: Enfasi media sulle questioni materialiste e postmateraliste nei manifesti dei partiti dell’Europa occidentale per area geografica (1990-2019)
Nota: per ulteriori informazioni, si rimanda allo studio dell’autore.
Infine, quando i manifesti elettorali vengono categorizzati per famiglia partitica, i verdi costituiscono un’evidente anomalia rispetto alla tendenza generale. Come mostra la Figura 4 di seguito, queste formazioni tendono a enfatizzare i temi postmaterialisti più di quelli materialisti nei loro manifesti. Ciò non sorprende, data l’attenzione dei partiti verdi è sulla protezione dell’ambiente, tradizionalmente classificata come una questione postmaterialista.
I partiti nazionalisti e quelli che si concentrano esclusivamente su specifiche tematiche tendono ad avere una divisione più equilibrata dell’enfasi tra temi materialisti e postmaterialisti rispetto ai partiti di altre famiglie. Di nuovo, questo collima col posizionamento dei partiti nazionalisti a un’estremità dell’‘asse postmaterialista’, che va dalle posizioni ‘verdi / alternative / libertarie’ a quelle ‘tradizionali / autoritarie / nazionaliste’. Allo stesso modo, i partiti ‘special-issue’, per definizione, si concentrano generalmente su questioni che vanno oltre il conflitto sinistra-destra. Al contrario, le famiglie partitiche tradizionali presentano un divario nell’enfasi sui temi materialisti e quelli postmaterialisti nei loro manifesti elettorali, come previsto, data la loro forte associazione con le tradizionali questioni sinistra-destra.
Figura 4: Enfasi media sulle questioni materialiste e postmateraliste nei manifesti dei partiti dell’Europa occidentale per famiglia partitica (1990-2019)
Nota: per ulteriori informazioni, si rimanda allo studio dell’autore.
In conclusione, negli ultimi trent’anni quasi tutti i partiti dell’Europa occidentale hanno enfatizzato i temi materialisti molto più di quelli postmaterialisti nei loro manifesti elettorali – e in maniera crescente nel tempo. Questo sembra contraddire la tesi del cambiamento valoriale rispetto al lato dell’offerta elettorale. Tuttavia, si tratta necessariamente di una ricostruzione solo parziale. Per esempio, è fondamentale chiedersi se questi risultati valgano anche per il lato della domanda elettorale, vale a dire le opinioni degli elettori.
Da un lato, se si osservasse una tendenza simile su questo versante, ciò implicherebbe che dovremmo respingere completamente la tesi del cambiamento valoriale. Dall’altro, se i cittadini avessero effettivamente adottato una visione più postmaterialista, allora si solleverebbero diverse questioni riguardanti la ‘responsività’ dei partiti e cosa veramente informi il loro comportamento strategico. In ogni caso, queste dinamiche costituiscono sicuramente un terreno fertile per ulteriore ricerca futura.