Autore: Gabor Toka

  • Europee Ungheria: un paradossale episodio di autoritarismo elettorale

    Europee Ungheria: un paradossale episodio di autoritarismo elettorale

    Traduzione di Francesco Sorana.

    Il 26 maggio 2019 in Ungheria si è assistito a un paradosso elettorale: un governo da lungo tempo in carica è riuscito a vincere con un ampio margine di voti e grazie a una affluenza elettorale da record. Tuttavia, chi è uscito vincitore dalle elezioni è apparso insoddisfatto mentre gli sconfitti sono sembrati rincuorati. Fidesz, il partito del primo ministro Viktor Orbán alleatosi con il Partito Popolare Cristiano Democratico (KDNP) ha raccolto il 52% dei voti e acquisito il 62% dei 21 seggi ungheresi al Parlamento Europeo. Si tratta di un seggio e dell’1% in più dei voti rispetto alle elezioni del Parlamento Europeo del 2014, e di un seggio e il 4% in meno dei voti rispetto al loro miglior risultato elettorale di sempre nel 2009. Tuttavia i leader di Fidesz sono apparsi insoddisfatti dai risultati, e il governo ha velocemente annunciato l’arrivo di inaspettate concessioni politiche (Balogh 2019).

    L’opposizione[1] ha ottenuto una percentuale minore di voti rispetto alle elezioni politiche del 2010, del 2014 e del 2018. Le aspettative per i partiti d’opposizione erano piuttosto negative, in quanto nelle tre occasioni precedenti Fidesz era riuscito a conquistare due terzi della maggioranza nell’unica camera del parlamento, abbastanza per poter apportare modifiche alla costituzione e occupare posizioni importanti della corte suprema, delle forze dell’ordine e di tutti gli enti pubblici. Eppure, i risultati del 2019 hanno fatto uscire l’opposizione rafforzata. Oltre ai proclami propagandistici del governo, i successi limitati hanno verosimilmente rafforzato la credibilità della sfida dell’opposizione alle elezioni comunali di autunno, dove ci si attende che la grande alleanza dei partiti d’opposizione conquisti alcuni dei principali municipi ungheresi.

    La campagna elettorale di Orbán si è basata su una narrazione aggressiva e un ingente dispendio di risorse. Con l’opposizione demoralizzata e disarmata dalle elezioni nazionali del 2018, l’orgogliosamente “illiberale” primo ministro Orbán si è posto come il campione di una nuova coalizione tra il Partito Popolare Europeo (EPP) e i partiti anti-immigrazione di estrema destra nella Commissione Europea dopo le elezioni del 2019.[2] Orbán attendeva questo cambiamento e si aspettava che i partiti illiberali avrebbero accresciuto il proprio supporto in Europa grazie a una campagna elettorale rigidamente contraria all’immigrazione, e sperava inoltre in una svolta a destra dell’EPP. L’agenda politica della nuova Commissione andrebbe ad aggredire il multiculturalismo e le conquiste liberali, a intessere relazioni più strette con la Russia e la Turchia, e a fornire agli stati membri dell’Unione Europea “il diritto di difendere i settori economici strategici per la nazione e il mercato” e il diritto di veto sulle “questioni più importanti” dell’Unione Europea. La narrazione della sua campagna elettorale si è focalizzata sul fatto che i “del tutto liberali” leader europei si sono dimostrati “incapaci di difendere l’Europa dall’immigrazione” poiché, “invece di un’ Europa fondata su radici cristiane, si sta costruendo l’Europa della ‘società aperta’, in cui i popoli europei sono rimpiazzati dagli immigrati; in cui la famiglia è divenuta un optional, una forma fluida di coabitazione; la nazione, l’identità nazionale e il patriottismo sono visti come nozioni negative e obsolete, e lo stato non garantisce più la sicurezza in Europa”. Le “élite liberali” tentano di attuare il “piano Soros” volto a portare e naturalizzare in Europa un numero tale di immigrati musulmani che i “cristiani democratici” non saranno più in grado di vincere contro i “liberali di sinistra” nelle elezioni nazionali in Europa. Secondo Orbán “i gruppi che difendono le tradizioni cristiane saranno esclusi dalla politica, e le decisioni riguardo il futuro dell’Europa saranno prese senza di loro”.

    Il governo ungherese e Fidesz non hanno risparmiato risorse per promuovere questo messaggio, addirittura avviando una serie di sondaggi pluriennali sui 28 paesi per monitorare la sua ricezione nel resto d’Europa. In Ungheria nel 2016 è stata promossa una campagna pubblicitaria governativa continua su tutti i mezzi di comunicazione per sostenere che l’immigrazione, promossa secondo il governo dal miliardario ungherese George Soros, rappresenta una minaccia imminente per l’Ungheria ed è sostenuta dalle politiche della Commissione Europea. I cartelli affissi nei primi tre mesi del 2019 sono costati da soli quasi 40 milioni di Euro (Jandó 2019), pari al totale della spesa per la campagna elettorale per le elezioni europee dei due maggiori partiti svedesi, e si tratta solo di uno dei mezzi utilizzati da Fidesz durante la campagna elettorale. La propaganda politica del governo è stata sostenuta dalle strategie di Fidesz per raggiungere oltre la metà del potenziale elettorato, attraverso messaggi altamente mirati e contatti personali e ripetuti con i singoli elettori.

    La campagna elettorale dell’opposizione disponeva di risorse finanziare ridotte rispetto ai partiti di governo, non possedeva di una lista di sostenitori da poter contattare, e contava su un numero di attivisti limitato a qualche migliaio.

    Il più grande partito di opposizione Jobbik (“Movimento per una Ungheria Migliore”), precedentemente di estrema destra, si è spostato con poca coerenza verso posizioni e politiche più moderate dal 2013, accettando tra l’altro l’adesione all’Unione Europea. Dal 2015 la popolarità di Fidesz è cresciuta grazie a una favorevole ripresa economica e alle posizioni anti-immigrazione, ed è riuscito a limitare Jobbik al 20% dei voti alle elezioni politiche del 2018 (Tóka 2018). Le speranze frustrate di emergere come partito capace di sfidare Fidesz ha richiesto una maggiore coordinazione politica con il resto dell’opposizione e con la porzione di estrema destra del partito, favorevole al governo e confluita in Mi Hazánk (“La nostra patria”) nell’estate del 2018. Mi Hazánk ha lanciato una campagna ben finanziata per le elezioni del Parlamento Europeo, mentre Jobbik è rimasto paralizzato dalle sanzioni arbitrarie inflitte dall’ufficio nazionale di controllo per le violazioni in materia di campagna elettorale. Incapace di condurre una campagna elettorale prima delle elezioni del maggio 2019, il 6,3% dei voti raggiunti da Jobbik supera appena la metà del supporto di cui godeva nei sondaggi.

    Nella maggior parte dei sondaggi pre-elettorali Jobbik si è trovato testa a testa con il Partito Socialista Ungherese MSZP, un successore moderato del partito che aveva governato il paese prima della democratizzazione nel 1989-1990. Dal 1994 al 2010 MSZP è stato il principale partito di governo nelle coalizioni liberaliste, tranne per quattro anni all’opposizione del primo governo di Orban tra il 1998 e il 2002. A causa dell’impopolarità del governo di Ferenc Gyurcsány dal 2006 al 2009, il partito aveva perso oltre la metà del suo supporto precedente al momento delle elezioni del 2010. La sua sopravvivenza come più grande partito di opposizione, con l’arrivo del partito emergente Jobbik, deriva dalla sua organizzazione radicata e dal pragmatismo politico. Tuttavia il partito è stato spesso considerato più un ostacolo che una risorsa per rilanciare un’opposizione di sinistra a Fidesz. La campagna elettorale del 2019 mancava di messaggi politici riconoscibili, era ostacolata da scandali e da una controversa scelta dei candidati per l’EP.

    Tutto ciò potrebbe spiegare l’inaspettato flusso di voti da MSZP a DK (Coalizione Democratica) verso la fine della campagna elettorale del PE. Il partito liberale DK (Coalizione Democratica) è stato creato nel 2011 dall’ex premier socialista Gyurcsány insieme ad alcuni dei più decisi oppositori liberali e conservatori di Fidesz. DK ha faticato a lungo per riuscire a avere un impatto politico almeno come membro minore dell’alleanza elettorale con MSZP. Il sistema proporzionale usato per il Parlamento Europeo 2019 è stata un’occasione unica per DK per scavalcare il MSZP prima di stringere accordi cruciali tra i partiti dell’opposizione per le elezioni amministrative del 2019, su cui DK ha di fatto puntato tutte le sue risorse. La campagna elettorale ha investito abilmente sulla presenza sui social media e si è concentrata su un rappresentante politicamente dotato che, essendo la popolare moglie di Gyurcsány, è riuscita a mettere i conflitti politici del leader sullo sfondo e a mantenere il sostegno dei suoi sostenitori. La movimentata campagna di opposizione e pro-UE di DK potrebbe aver tratto vantaggio da una campagna MSZP sottotono e dal fatto che le precedenti alleanze elettorali hanno reso gli elettori delle due parti reciprocamente intercambiabili. DK ha raggiunto alla fine il 16% e la lista comune MSZP-Párbeszéd appena il 6,6% dei voti.

    Il movimento liberale Momentum, che aveva raccolto appena il 3% dei voti alle sue prime elezioni del 2018, ha avuto soltanto bisogno di presentarsi alle elezioni del 2019 per prendere in consegna gran parte del precedente elettorato di LMP e di altri partiti. LMP (“La Politica può essere Diversa”) è un partito ambientalista fondato nel 2009, con un’identità ancora radicata nell’opposizione a Gyurcsány e MSZP tanto quanto alle politiche di Orbán. Questa ambiguità ha gettato il partito in una crisi dopo le elezioni del 2018, dal momento che le opinioni del partito sulle opzioni di alleanza elettorale sono entrate in aperto conflitto con l’opinione della maggioranza del suo elettorato. Momentum ha rappresentato una facile alternativa che gli elettori liberali e delle città hanno prontamente accettato, bloccando LMP al 2,2% e facendo conquistare a Momentum il 9,9% dei voti nel 2019.

    Tab. 1 – Risultati delle elezioni per il Parlamento Europeo del 2019: Ungheria
    Partito Gruppo parlamentare Voti (VA) Voti (%) Seggi Differenza di voti rispetto al 2014 (PP) Differenza di  seggi rispetto al 2014
    Fidesz-Partito Popolare Cristiano Democratico (KDNP) EPP (sospeso a marzo 2019) 1.824.220 52,6 13 +1,1 +1
    Coalizione Democratica (DK) S&D 557.081 16,1 4 +6,3 +2
    Momentum (probabilmente) ALDE 344.512 9,9 2 +9,9 +2
    Partito socialista Ungherese (MSZP)-Párbeszéd S&D (MSZP), G-EFA (Együtt-PM) 229.551 6,6 1 -11,5 -2
    Movimento per un’Ungheria Migliore (Jobbik) Non Iscritto 220.184 6,3 1 -8,3 -2
    La nostra patria (Mi Hazánk) 114.156 3,3 +3,3
    Partito Ungherese del Cane con Due Code (MKKP) 90.912 2,6 +2,6
    La Politica può Essere Diversa (LMP) G-EFA 75.498 2,2 -2,9 -1
    Partito dei Lavoratori Ungheresi (Munkáspárt) 14.452 0,4 +0,4
    Totale 3.470.566 100 21 0
    Affluenza (%) 43,5%
    Soglia legale di sbarramento (%) 5

     

    In definitiva, gli apparenti paradossi hanno rivelano delle sorprese. Le scommesse audaci messe in campo da Orbán per perseguire i suoi ambiziosi obiettivi internazionali non hanno ripagato le aspettative. La vivace competizione tra i partiti di opposizione, che li penalizza nei sistemi maggioritari, per una volta ha risparmiato loro una sconfitta di immagine. La credibilità di Jobbik, LMP e MSZP come veicoli efficaci per il cambiamento politico è stata gravemente danneggiata dalle precedenti elezioni nazionali. Con un altro insuccesso previsto alle elezioni del Parlamento Europeo, hanno mantenuto il loro meglio per le elezioni locali. Per DK e Momentum, il mese di maggio 2019 si è rivelato di importanza fondamentale: avevano bisogno di mostrare la loro efficacia e la vitalità delle loro proposte elettorali per non perdere i propri sostenitori più frustrati, che avrebbero potuto spostarsi altrove alla ricerca di un partito in grado di sfidare il regime. I sostenitori dell’opposizione hanno vista premiata la volontà di affrontare apertamente il regime e sperano attualmente che questa fase porti loro un maggiore successo in futuro.

     

    Riferimenti bibliografici

    Balogh, É. (2019), ‘A few scraps are thrown to the EPP to see how hungry they are’, Hungarian Spectrum, disponibile presso: https://tinyurl.com/y6byg6t4.

    Jandó, Z. (2019), ‘Egy szerződés, aminek minden oldala 700 millió adóforintba kerül’, G7, disponibile presso: https://tinyurl.com/y28l4cce.

    Orbán, V. (2018), ‘Prime Minister Viktor Orbán’s speech at the 29th Bálványos Summer Open University and Student Camp’, Băile Tuşnad, Romania, disponibile presso: https://tinyurl.com/y2fs8cw8.

    Tóka, G. (2019), ‘The 2018 Hungarian National Elections’, in T. Kolosi e I. G. Tóth (a cura di) Social Report 2019, Budapest, TÁRKI, pp. 314-340, disponibile presso: https://tinyurl.com/y5mpmklu.


    [1] In Ungheria è definito come opposizione un folto gruppo di partiti ideologicamente variegato impegnato a democratizzare nuovamente il sistema politico autoritario emerso sotto i mandati di Viktor Orbán da maggio 2010. Dei partiti che corrono alle elezioni del Parlamento Europeo, il  gruppo dell’opposizione esclude soltanto Fidesz e il partito satellite KDNP, e i due partiti minori Mi Hazánk e Munkáspárt, che sostengono il governo. Per mancanza di rilevanza politica non saranno presi in considerazione KDNP, Munkáspárt, MKKP (Partito Ungherese del Cane a Due Code, un collettivo di opposizione dadaista che deride satiricamente sia il governo che l’opposizione) e Párbeszéd (il partner elettorale del Partito Socialista Ungherese, MSZP).

    [2] Guarda qui i discorsi di Orbán tra giugno 2018 e maggio 2019 tradotti in più lingue: https://www.kormany.hu/en/the-prime-minister/the-prime-minister-s-speeches. Le affermazioni successive sono di Viktor Orbán.

  • Hungary: A Paradoxical Episode under Electoral Authoritarianism

    Hungary: A Paradoxical Episode under Electoral Authoritarianism

    26 May 2019 saw an election paradox in Hungary: a long-serving government won big on a record-high turnout, yet the winners looked frustrated and the losers positively re-charged. Prime Minister Viktor Orbán’s Fidesz-KDNP electoral alliance took well over 52% of the popular vote and 62% of the country’s 21 seats in the European Parliament. That is one seat and one percent of the vote up compared to the 2014 EP elections, and just one seat and four percent of the vote less than their all-time best in 2009. But Fidesz’ leaders appeared disappointed and the government shortly announced unexpected policy concessions (Balogh, 2019).

    The opposition[1] received a lower vote share than in any one of the 2010, 2014 and 2018 parliamentary elections. The numbers promised them no good because in those three races Fidesz won a two-thirds majority in the only chamber of parliament, enough to change constitutional rule and fill positions on high courts, prosecution services, and all public agencies. Yet, the 2019 results made the opposition appear reenergized. Outside of government propaganda outlets, the dismal results probably even increased the credibility of the opposition challenge in the fall local elections when unprecedentedly broad opposition alliances are expected to sweep some of the country’s biggest municipalities.

    Orbán’s campaign used a dramatic narrative and vast resources. With his opposition demoralized and toothless after the 2018 national elections, the proudly “illiberal” prime minister put forward himself as the champion of a new style coalition of the European People’s Party with anti-immigration far-right parties in the European Commission after the 2019 election.[2] He expected this change from illiberal parties increasing their vote across Europe after campaigning on a strict anti-immigration stance, and the EPP shifting to the right. The political agenda of the new Commission would then go against multiculturalism and social liberalism, build friendlier relations with Russia and Turkey, and give EU members states “the right to defend the nationally strategic economic sectors and markets”, as well as veto rights on “the most important issues” in the EU. His campaign narrative argued that Europe’s “exclusively liberal” leaders proved “unable to defend Europe against immigration” because “instead of a Europe resting on Christian foundations, it is building a Europe of ‘the open society’ … [where] European people can be readily replaced with immigrants; the family has been transformed into an optional, fluid form of cohabitation; the nation, national identity and national pride are seen as negative and obsolete notions; and the state no longer guarantees security in Europe.” The “liberal elite” pursues the “Soros-plan” to bring to Europe and naturalize so many Muslim immigrants that the “Christian Democratic” side can never win over the “left liberals” in Europe’s national elections ever again. “Those groups preserving Christian traditions will be forced out of politics, and decisions about the future of Europe will be made without them.“

    The Hungarian government and Fidesz spared no resources on promoting this message, even fielding a 28-nation multi-year survey series to monitor its reception across Europe. Back home, a practically continuous government advertising campaign started on all conceivable platforms in 2016 to argue that immigration, allegedly promoted by Hungarian-born billionaire George Soros, poses an imminent threat to Hungary and is supported by the European Commission. The billboards posted in the first three months of 2019 alone nearly cost 40 million Euros (Jandó, 2019), the total EP campaign expenditure of the two biggest Swedish parties, and that was just one medium in a short period of the entire campaign. Government advertising was supplemented with Fidesz’ well-honed get-out-the-vote efforts that reach out with highly targeted and repeated personal contacting to over half the potential Fidesz electorate.

    The opposition campaigns had miniscule financial resources in comparison, no meaningful contact lists of supporters, and a meagre activist pool of a few thousand altogether.

    The largest opposition party, the formerly far-right Jobbik (“Movement for a Better Hungary”), clearly, if inconsistently, has shifted to more moderate rhetoric and policy positions since 2013, fully embracing EU membership, inter alia. From 2015 on, however, Fidesz’ growing popularity fed by an economic upturn and an anti-immigrant stance pushed Jobbik down to a 20% vote share in the 2018 national election (Tóka, 2018). The frustrated hopes of emerging as a viable single-party challenger to Fidesz prompted a further move by Jobbik to political coordination with the rest of the opposition, and the exodus of the party’s far-right and pro-government faction into the Mi Hazánk (“Our Homeland”) splinter party in summer 2018. Mi Hazánk launched a conspicuously well-founded campaign for the EP election, while Jobbik was paralysed by arbitrary fines meted out by the National Audit Office for campaign law violations. Unable to conduct an election campaign before the May 2019 election, Jobbik’s 6.3% vote share was barely more than half the support it had in opinion polls.

    Neck and neck with Jobbik in most pre-election polls was MSZP (Hungarian Socialist Party), a moderate successor of the party ruling the country prior to democratization in 1989-1990. From 1994 till 2010 MSZP was the main government party in social-liberal coalitions except for four years in opposition to Orban’s first right-wing government in 1998-2002. As a result of the unpopularity of Ferenc Gyurcsány’s 2006-2009 government, the party lost over half of its former vote by the time of the 2010 election. Its survival as by far the biggest opposition party left of the newly emerged Jobbik was credit to its well-entrenched organization and earthly political pragmatism, but has often been seen more of an obstacle than a resource for an effective left-wing challenge to Fidesz’ rein. Their lacklustre 2019 campaign lacked identifiable messages, and was hampered by scandals and a controversial ranking of candidates for the EP.

    All this may explain the staggering swing of votes from MSZP to DK (Democratic Coalition) towards the end of the EP election campaign. The rather liberal DK (Democratic Coalition) was created in 2011 by former socialist premier Gyurcsány together with some of Fidesz’ most determined liberal and conservative opponents. For many years, DK struggled to make an impact except as a junior member of electoral alliances with MSZP. The 2019 EP election’s list PR system was DK’s one-off opportunity to take over the MSZP before crucial bargains between the opposition parties for the fall 2019 local elections, and they went all in with their resources. Their campaign smartly invested into social media presence and focused on a politically gifted ticket leader who, being Mr. Gyurcsány’s popular wife, could push the divisive party leader into the background while retaining the support of his supporters. The loudly oppositional and pro-EU campaign of DK could capitalize on a subdued MSZP campaign and the fact that previous electoral alliances made the two parties’ electorates mutually interchangeable. DK thus ended up with 16%, and the MSZP-Párbeszéd joint list with just 6.6% of the vote.

    The liberal Momentum, winning just 3% of the vote in their first election in 2018, merely needed to show up for the 2019 campaign to take over much of the previous LMP electorate and more. LMP (Politics Can Be Different) is a green party that emerged in 2009, with its identity still rooted in the opposition to Gyurcsány and the MSZP as much as to Orbán’s policies. This ambiguity threw the party into a crisis after the 2018 election as the party’s views regarding electoral alliance options came into open conflict with the visible majority of its electorate. Momentum offered an obvious alternative that the socially liberal urban electorates readily accepted, landing LMP at 2.2%, and Momentum at 9.9% of the vote in 2019.

    Table 1 – Results of the 2019 European Parliament elections – Hungary
    Party EP Group Votes (N) Votes (%) Seats Votes change from 2014 (%) Seats change from 2014
    Fidesz-KDNP EPP (membership suspended in March 2019) 1824220 52.56 13 +1.1 +1
    DK S&D 557081 16.05 4 +6.3 +2
    Momentum probably ALDE 344512 9.93 2 +9.9 +2
    MSZP-Párbeszéd S&D (MSZP), G-EFA (Együtt-PM) 229551 6.61 1 -11.5 -2
    Jobbik NI 220184 6.34 1 -8.3 -2
    Mi Hazánk 114156 3.29 +3.3
    MKKP 90912 2.62 +2.6
    LMP G-EFA 75498 2.18 -2.9 -1
    Munkáspárt 14452 0.42 +0.4
    Total 3470566 100 21
    Turnout (%) 43.5
    Legal threshold for obtaining MEPs (%) 5

     

    Thus, the paradoxes reflected surprises. An audacious bid did not pay off for Orbán like many had done before because of his overambitious international goals. Lively competition among the opposition parties, which undermines them in majoritarian elections, spared them a public relations disaster for once. The credibility of Jobbik, LMP and MSZP as effective vehicles for political change was badly damaged in previous national elections. With only another fiasco on offer in the EP election, they kept their best for the local elections. For DK and Momentum, May 2019 meant everything: show your viability now or your frustrated supporters may move elsewhere in search for a party that can challenge the regime. The opposition supporters rewarded visible will to fight the regime, and won hopes of greater success in the future.

     

    References

    Balogh, É. (2019, May 30). A Few Scraps Are Thrown to the EPP To See How Hungry They Are. Hungarian Spectrum. Retrieved May 31, 2019 from: https://tinyurl.com/y6byg6t4.

    Jandó, Z. (2019, February 10). Egy szerződés, aminek minden oldala 700 millió adóforintba kerül. G7. Retrieved May 31, 2019 from: https://tinyurl.com/y28l4cce.

    Orbán, V. (2018, July 28). Prime Minister Viktor Orbán’s speech at the 29th Bálványos Summer Open University and Student Camp. Băile Tuşnad, Romania. Retrieved May 31, 2019 from: https://tinyurl.com/y2fs8cw8.

    Tóka, G. (2019). The 2018 Hungarian National Elections. In T. Kolosi and I. G. Tóth (Eds.), Social Report 2019 (314-340). Budapest: TÁRKI. Retrieved May 31, 2019 from: https://tinyurl.com/y5mpmklu.

     


    [1] Local parlance denotes as opposition an ideologically colorful set of parties pledged to redemocratize the authoritarian political system that emerged under Orbán’s successive governments since May 2010. Of the parties running in the EP election, it excludes Fidesz and its satellite the KDNP, as well as the explicitly pro-government Mi Hazánk and Munkáspárt. For lack of political significance, the KDNP, Munkáspárt, MKKP (Hungarian Two-Tailed Dog Party, a Dadaist opposition collective satirically mocking government and opposition alike) and Párbeszéd (the electoral alliance partner of MSZP) will not be discussed here.

    [2] See Orbán’s speeches between June 2018 and May 2019, translated into multiple languages on https://www.kormany.hu/en/the-prime-minister/the-prime-minister-s-speeches. The quotes are from Orbán (2018).