Casiraghi, M.C.M., Curini, L., Maggini, N. and Nai, A. (2024). Who looks up to the Leviathan? Ideology, political trust, and support for restrictive state interventions in times of crisis. European Political Science Review. DOI:10.1017/S1755773923000401
The article is open access and can be accessed here.
Abstract
The extent in which voters from different ideological viewpoints support state interventions to curb crises remains an outstanding conundrum, marred by conflicting evidence. In this article, we test two possible ways out from such puzzle. The role of ideology to explain support for state interventions, we argue, could be (i) conditional upon the ideological nature of the crisis itself (e.g., whether the crisis relates to conservation vs. post-materialist values), or (ii) unfolding indirectly, by moderating the role played by political trust. We present evidence from a conjoint experiment fielded in 2022 on a representative sample of 1,000 Italian citizens, in which respondents were asked whether they support specific governmental interventions to curb a crisis, described under different conditions (e.g., type of crisis, severity). Our results show that the type of crisis matters marginally – right-wing respondents were more likely to support state interventions only in the case of terrorism. More fundamentally, political trust affects the probability to support state interventions, but only for right-wing citizens.
Maggini, N. and Vezzoni, C. (2023). The Italian space of electoral competition in pandemic times. Italian Political Science, Volume 17, Issue 1, 34–54.
The article is open access and can be accessed here.
Abstract
The polls on the voting intentions of Italians during the COVID-19 pandemic revealed substantial stability of electoral orientations in the first phase of the pandemic, while they detected a certain fluidity after the birth of the Draghi government, specifically with a decline of the League and M5s and the growth of Brothers of Italy (FdI). The results of the 2022 general election confirmed those trends with a clear-cut victory of the (centre-)right coalition, this time led by Meloni’s Brothers of Italy. In the meantime, the opponents experienced a poor electoral performance, and an even more deceiving result in terms of seats. All these upheavals have led many pundits to speculate about what would have been the results if the opponents to the right-wing coalition would have succeeded in building a coalition to achieve a higher level of competitiveness in the first-past-the-post electoral districts. But, beyond considerations based on vote intentions or electoral results, to what extent are these speculations consistent with the actual space of electoral competition among main Italian parties? In other words, on which areas of the electoral space does the competition unfold and how did those areas evolve? This paper answers these questions using original survey data from the ResPOnsE COVID-19 project. In particular, through the scale analysis of a set of propensity-to-vote (PTV) measures, we investigate the configuration of the electoral competition space in the aftermath of 2022 general election and how (and if) this configuration changes over three distinct phases of the pandemic: during the first wave (spring-summer 2020), during the third wave (spring 2021) and during the fourth wave (autumn-winter 2021). Results show that regardless of the period analysed, party competition occurs mainly within the right, whose party electorates strongly overlap, whereas more barriers exist among party electorates of the opposite camp.
Maggini, N. (2022). New Challenges for Representative Democracy: The Changing Political Space in Western Europe. Italian Journal of Electoral Studies QOE – IJES, Just Accepted.
Abstract
Globalisation and EU integration have reshaped political alignments in western Europe, with the emergence of new conflicts within a political space still ideologically structured in two dimensions (economic and cultural).
However, recent challenger parties appear to question such alleged bi-dimensionality, e.g. combining anti-immigrant stances with progressive views on moral issues. In light of such challenges, the article aims to understand whether citizens’ positions on policy issues can still be interpreted according to latent ideological dimensions, exploring possible differences across distinct party electorates and age groups (young vs. older people).
The article analyses the ideological consistency of voters’ issue preferences and the dimensionality of the issue space in seven western European countries through original survey data and scaling techniques. Results show that most citizens (especially young and right-wing voters) take ideologically inconsistent positions on cultural GAL-TAN and economic left-right issues, whereas are quite consistent on immigration and EU issues.
A Genova le elezioni politiche del 2022 hanno avuto un esito che è in controtendenza rispetto a quello registrato a livello nazionale. Nel comune del capoluogo ligure, infatti, nei due collegi uninominali per la Camera dei Deputati la coalizione di centrosinistra ha ottenuto il 36% dei voti, mentre la coalizione di centrodestra si è fermata al 33,6% nel collegio “Municipio VII-Ponente” e al 35,2% nel collegio “Municipio I-Centro Est”. L’affermazione (di misura) del centrosinistra è avvenuta nonostante la concorrenza del M5s e del cartello Azione-Italia Viva. Nel collegio “Municipio VII-Ponente” il M5s ha ottenuto il 18% e Azione-IV il 5,9%, mentre nel collegio “Municipio I-Centro Est” il M5s e Azione-IV hanno raccolto, rispettivamente, il 13,4% e l’8,9% dei consensi. A livello di voti di lista, il Pd si afferma come primo partito della città con il 27,8% dei voti nel collegio “occidentale” e con il 25,4% in quello “centro-orientale”, quindi con percentuali di voto nettamente migliori rispetto alla media nazionale del 19%. Il vincitore delle elezioni, FdI, invece a Genova si ferma al 20,5% nel collegio “centro-orientale” e al 17,9% in quello “occidentale”. Risultati simili si sono registrati anche nei collegi senatoriali. Alle precedenti elezioni politiche del 2018 nel comune di Genova aveva invece vinto il M5s (con l’eccezione delle sezioni del collegio di Rapallo dove aveva vinto il centrodestra).
È dunque interessante esaminare i flussi elettorali (riportati nella figura sopra) tra le elezioni politiche del 2018 e le ultime elezioni politiche per evidenziare quale sia la composizione dell’elettorato delle varie forze politiche ed indagare quali fattori abbiano favorito l’affermazione del centrosinistra e del Pd in particolare.
Guardando i flussi di destinazione rispetto alle politiche del 2018, uno degli aspetti principali da osservare è la fedeltà elettorale, cioè quella percentuale di elettori che hanno confermato la propria scelta elettorale. Il Pd risulta il partito con l’elettorato più fedele: il 65,5% di chi aveva votato Pd nel 2018 conferma la propria scelta nel 2022. Allo stesso modo, il 73% degli elettori di Leu confermano il proprio voto a partiti della coalizione di centrosinistra nel 2022. Dopo il Pd, Fratelli d’Italia è il partito che mostra una fedeltà elettorale maggiore, rimobilitando quasi un elettore su due (il 48% di chi aveva votato FdI nel 2018). Si tratta però di una percentuale decisamente inferiore rispetto a quella mostrata dal partito di Letta. E ancora più basse sono le fedeltà mostrate dagli elettori di Forza Italia (35,6%), del M5s (29,4%) e della Lega (18,3%). Dove si sono indirizzati pertanto gli elettori forzisti, “grillini” e leghisti che nel 2022 non hanno confermato la loro precedente scelta di voto? Per quanto riguarda il M5s, i suoi elettori si sono divisi in parti quasi uguali tra chi si è rifugiato nell’astensione (34,1%) e chi si indirizzato verso altri partiti/candidati (36,6%). Tra questi ultimi, le destinazioni maggiori sono state FdI (8,1%), Pd (7,1%), Lega (6%) e altri partiti minori (7,3%). Queste perdite non sono state compensate in maniera adeguata dalle entrate provenienti in particolare dalla sinistra (il 10,6% degli attuali elettori del M5s in passato aveva votato Pd o Leu). Questi dati spiegano il forte calo di consensi registrato dal M5s in città.
Nell’area di centrodestra ci sono stati diversi flussi elettorali che hanno avvantaggiato il partito che è cresciuto di più, ossia FdI. Infatti, ben il 44,4% di elettori leghisti e il 35,6% di elettori forzisti nel 2022 hanno scelto di premiare col proprio voto la formazione guidata da Giorgia Meloni. Se guardiamo alla composizione dell’elettorato di FdI, infatti, per il 67% è composto da persone che nel 2018 avevano votato altre formazioni di centrodestra e per il 15,3% da persone che avevano votato il M5s. La capacità attrattiva di FdI non è l’unica cosa che spiega il calo di consensi di Lega e FI. Infatti, una quota significativa di elettori leghisti (15%) si è astenuta e non del tutto trascurabile è la quota che ha votato Pd (7,7%). Per quanto riguarda invece FI, i flussi in uscita più consistenti dopo quello verso FdI sono quelli verso Azione-Iv (17,8%) e verso l’astensione (11,4%). La formazione guidata da Carlo Calenda sembra quindi aver esercitato una certa attrattiva verso l’elettorato moderato di centrodestra e il dato è ancora più evidente se si considera che il 21,5% di chi aveva votato FdI nel 2018 a questa tornata ha scelto Azione-Iv. Quest’ultima però è risultata appetibile anche per il 15,6% di elettorato dem. Dal punto di vista della consistenza numerica, l’ex elettorato Pd rappresenta la quota più rilevante dell’attuale elettorato di Azione-Iv (45,8%) e in generale il 59,5% degli attuali elettori centristi a Genova nel 2018 aveva votato per il centrosinistra.
Infine, per quanto riguarda l’area del non voto, si può notare come essa sia un blocco estremamente stabile: il 90,7% di chi si era astenuto nel 2018 lo ha fatto anche stavolta. Del restante 9,3% il maggior beneficiario (4,7%) è il M5s che, anche se con risultati modesti, si dimostra il partito che riceve maggiori voti dall’astensione, una tendenza già osservata a Napoli e a Torino.
Riassumendo, la performance del centrosinistra in controtendenza rispetto al dato nazionale può dunque essere ricollegata in buona misura alla capacità di rimobilitare il proprio elettorato, che si dimostra molto fedele: in particolare il Pd non cede in maniera significativa alle altre forze politiche, con l’eccezione di Azione – Italia Viva, verso cui si è indirizzato, come detto in precedenza, il 15,6% di ex elettori dem. Queste uscite però sono state compensate dalle entrate provenienti dal M5s e dalla Lega (10,2% e 5,8%, rispettivamente). Per contro, l’avanzata di Fratelli d’Italia all’interno della coalizione di centrodestra è in larga parte dovuta alla sua capacità di attrarre molti elettori che in passato avevano votato Lega e Forza Italia, mentre la capacità attrattiva verso elettorati esterni alla coalizione di centrodestra, seppur presente (in particolare verso il M5s), non è altrettanto significativa. Infine, il calo del Movimento 5 Stelle è dovuto alla scarsa capacità di mobilitare il proprio elettorato, che si indirizza verso varie destinazioni, tra cui l’astensione è l’opzione relativamente più gettonata.
Riferimenti bibliografici
Goodman, L. A.
(1953), Ecological regression and behavior of individual,
«American Sociological Review», 18, pp. 663-664.
Schadee, H.M.A., e Corbetta, P.G., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.
NOTA METODOLOGICA
I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman (1953) alle 656 sezioni elettorali del comune di Genova. Seguendo Schadee e Corbetta (1984), abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Il valore dell’indice VR è pari a 15,9.
Il risultato delle elezioni politiche è inequivocabile: la coalizione di centrodestra ha vinto in maniera netta raggiungendo la percentuale del 43,8%, con il centrosinistra che si è fermato al 26,1%. Praticamente l’intera coalizione di centrosinistra ha una percentuale di voti quasi identica a quella ottenuta da sola da Giorgia Meloni con FdI, un partito che quattro anni fa aveva solo circa il 4%. Mai nessun partito della destra erede del MSI aveva ottenuto una percentuale simile. In una precedente analisi del CISE abbiamo analizzato il risultato elettorale guardando alle percentuali di voto ottenute dalle liste e dalle principali coalizioni alla Camera dei Deputati seguendo le classiche disaggregazioni territoriali del CISE per regioni e zone geopolitiche. Per avere un quadro ancora più completo del risultato di queste elezioni politiche, si è deciso di procedere al confronto tra i voti ottenuti dai principali partiti in queste elezioni politiche e i voti ottenuti nelle precedenti elezioni politiche del 2018, riportando nella Tabella 1 sia i valori assoluti che le variazioni percentuali, disaggregate per zona geopolitica. Nelle elezioni politiche del 2018 l’affluenza è stata del 72,9%. In queste elezioni la partecipazione al voto si è fermata al 63,9%, il dato più basso di sempre. Quasi 4,5 milioni di elettori hanno quindi deciso di unirsi al nutrito gruppo di chi non ha votato (16 milioni di elettori sono rimasti a casa). Se guardiamo ai risultati espressi in termini assoluti e alle percentuali calcolate sul numero di elettori (tenendo quindi conto anche degli astenuti), si può vedere come in generale i partiti abbiano oggi scarso sostegno nella società. Anche il partito che è uscito come chiaro vincitore, ossia FdI, è stato scelto dal 15,8% dell’intero corpo elettorale, cioè da 7,2 milioni di persone. Meno di una persona su otto tra quelle che vivono in Italia. Gli altri partiti hanno ovviamente un peso elettorale ancora minore nella società italiana nel suo complesso. In ogni modo, nonostante il forte calo dell’affluenza rispetto al 2018, FdI non solo ha migliorato la propria performance in termini percentuali (passando, come detto prima, dal 4% al 26%), ma ha addirittura preso quasi 5,7 milioni di voti in più, incrementando il proprio elettorato di ben il 407,3%. La zona dove FdI ha registrato l’incremento maggiore è stato il Nord, dove il partito di Meloni ha aumentato i propri voti del 516,2% rispetto alle politiche 2018, risultando di gran lunga la prima forza nel Settentrione, svuotando così la Lega di Salvini. Ma l’incremento è stato impressionante anche nella (ex) Zona Rossa (+484,6%), dove FdI è riuscito a superare il Pd di quasi 45mila voti. Al Sud l’incremento, anche se inferiore rispetto alle altre aree del paese, è stato comunque del 291,7%. Se si scende nel dettaglio delle singole regioni (vedi Tabella 2), si nota come in tutte l’incremento di voti di FdI supera il 200%: l’incremento maggiore avviene, in ordine decrescente, in Emilia-Romagna (+578,2%), in Veneto (+576,8%), in Trentino-A.A. (+537,4%) e in Lombardia (+531%).
Gli altri partiti arrivati nelle prime cinque posizioni hanno invece tutti perso voti. Il Pd è il partito che ha retto di più da questo punto di vista: ha perso “solo” il 13% dei suoi elettori, pari a 762.565 voti finiti ad altri partiti o all’astensione. Se quindi dal punto di vista delle percentuali di voto il Pd sembra essere andato leggermente meglio rispetto al 2018 (19% vs 18,7%), in realtà guardando ai valori assoluti la performance risulta peggiore. La zona dove il Pd ha perso più voti è il Nord (-15,5%), seguito dalla sua tradizionale roccaforte (-14,1%). Quest’ultima resta la zona dove il Pd va meglio, mentre quella in cui va nettamente peggio (il Sud) è anche quella che vede una erosione elettorale minore (-8,7%). Le regioni che registrano le perdite maggiori (sopra il 20%) sono l’Umbria (-28,9%), la Basilicata (-27,3%), la Calabria (-23,6%) e la Toscana (-21,6%). Si tratta in alcuni casi di regioni tradizionalmente di sinistra e questo non è un bel segnale per il principale partito del centrosinistra. Come consolazione, tra le regioni dove registra le perdite minori figura un altro storico bastione elettorale, l’Emilia-Romagna (-3,1%). Anche in Abruzzo, in Puglia e in Sardegna le perdite sono molto contenute (-3,5%, -2,7% e -2,4%, rispettivamente), mentre in Trentino-A.A. il Pd aumenta perfino i voti rispetto al 2018 (+3,8%).
Gli
altri partiti sono andati nettamente peggio, perdendo più della metà dei voti
ottenuti nel 2018. Il M5S è il partito che ha subito il tracollo maggiore, perdendo
poco più di 6 milioni di voti per strada rispetto alle politiche, ossia il 59,2%
dei consensi del M5s nel 2018. Le perdite rispetto ai consensi ottenuti nel 2018
sono state addirittura del 70,3% nelle regioni settentrionali, dove il M5s ha
perso per strada poco più di 2 milioni di elettori. Il Nord è anche la zona del
paese dove il M5s ottiene le percentuali più basse. A livello di singole
regioni, il M5s perde voti in tutte, registrando le perdite maggiori (superiori
al 70%) in Veneto (-78,5%), in Trentino-A.A. (-76,4%) e in Friuli-Venezia Giulia
(-74,2%). Simile al Nord è stato il crollo nella ex Zona Rossa, dove il M5s ha
perso il 64,3% dei suoi consensi del 2018. Al Sud le perdite sono state
chiaramente inferiori, anche se pur sempre superiori al 50% (-52,1%). Perdite
di voti inferiori al 50% si registrano
solo in Calabria (-47,7%) e in Campania (-45,7%). Tuttavia,
nelle regioni meridionali il M5s è riuscito a mantenere la prima posizione come
partito più votato (2.740.617 elettori).
La
performance della Lega è stata molto simile a quella del M5s: il partito di
Salvini ha perso per strada 3.183.653 elettori, pari al 57,1% del suo
elettorato nel 2018. Le perdite maggiori si sono registrate nella ex Zona Rossa
(-65,1%) e subito dopo nelle sue tradizionali roccaforti settentrionali (-59,4%).
Per ciò che concerne le singole regioni, perdite superiori al 63% dei voti 2018
si registrano in Umbria (-67,3%), in Toscana (-67%), in Emilia-Romagna (-64,5%)
e in Friuli-Venezia Giulia (-63,8%). Le perdite minori si sono invece
registrate nella sua zona di più recente insediamento, ossia il Sud: -41,6%. In
particolare, sotto al 50% sono le perdite in Puglia (-31,4%), in Molise (-25,9%),
in Campania (-21,6%), in Calabria (-20,8%) e in Sicilia (-16,4%). In Basilicata
la Lega addirittura aumenta i voti rispetto al 2018 (+11,8%). Tuttavia il Sud è
anche la zona dove il partito di Salvini ha il minore peso elettorale.
Infine, Forza Italia perde poco più della metà dei consensi rispetto al 2018 (-50,7%), pari a 2.279.989 elettori. Le perdite in questo caso sono distribuite in maniera abbastanza omogenea dal punto di vista territoriale, con un decremento maggiore (-52,8%) nella zona dove va meglio, ossia il Sud. A livello di singole regioni, Forza Italia perde voti in tutte, con decrementi superiori al 55% in Campania (-59,6%), in Liguria (-57,4%) e in Trentino-A.A. (-57,1%), mentre sotto al 45% sono le perdite di voti registrate in Veneto (-42,6%), nelle Marche (-41,4%), in Basilicata (-41%), in Calabria (-40,5%) e in Abruzzo (-37,9%).
Tab. 1 – Perdite e guadagni dei principali partiti disaggregati per zona geopolitica, politiche 2022 e politiche 2018 (valori assoluti e variazioni percentuali) Tab. 2 – Perdite e guadagni dei principali partiti disaggregati per regione, politiche 2022 e politiche 2018 (valori assoluti e variazioni percentuali)
In conclusione, le perdite e i guadagni in termini assoluti dei vari partiti tra le ultime due elezioni politiche sono riportate per facilitare il lettore anche nella Figura 1, da cui il successo di FdI risulta ancora una volta più evidente. C’è un solo vincitore in queste elezioni ed è il partito di Giorgia Meloni.
Fig. 1 – Perdite e guadagni 2022-2018 in valore assoluto
Ladini, R., and Maggini, N. (2022), The role of party preferences in explaining acceptance of freedom restrictions in a pandemic context: the Italian case, Quality & Quantity, Online first, DOI: 10.1007/s11135-022-01436-3.
Abstract
As a consequence of the Covid-19 pandemic, several governments adopted
disease containment measures limiting individual freedom, especially
freedom of movement. Our contribution aims at studying the role played
by party preferences in explaining attitudes towards those freedom
limitations during the pandemic, taking into account the moderating role
played by confidence in institutions and collectivist-individualistic
orientations. Focussing on Italy, as the first western democracy to be
hit by Covid-19 and to adopt harsh restrictive measures, we analyse data
coming from the ResPOnsE COVID-19 project. Our study initially
investigates whether attitudes towards freedom restrictions are
associated with the dynamics of the pandemic and the institutional
responses to it. Then, through multilevel regression models, we test
several hypotheses about the relationship between party preferences,
confidence in institutions, collectivistic orientations and public
acceptance of Covid-19 containment measures limiting individual freedom.
Findings show that party preferences are associated with different
attitudes towards freedom restrictions to contain the pandemic, but this
occurs only if people have individualistic orientations. Collectivistic
orientations and confidence in institutions are positively associated
with acceptance of freedom restrictions, regardless of party
preferences. As regards the latter, neither a classical ideological
explanation (conservative people more inclined to accept limitations to
personal freedoms) nor a government-opposition explanation (supporters
of government parties more inclined to accept freedom restrictions)
seems to be adequate to fully account for the mechanisms behind
acceptance of Covid-19 harsh containment measures. Thus, we offer an
alternative ideological explanation by pointing out the ambiguous nature
of contemporary right-wing populisms.
Come siamo cambiati? Opinioni, orientamenti politici, preferenze di voto alla prova della pandemia / [a cura di] N. Maggini e A. Pedrazzani. – Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, collana QUADERNI n. 40, 2021. – ISBN 978-88-6835-4312.
Abstract
Primo
Paese occidentale a essere colpito dalla pandemia da Covid-19, dal febbraio
2020 l’Italia è stata investita da un intreccio di cambiamenti sociali,
economici e politici senza precedenti. L’emergenza sanitaria ha comportato uno
stravolgimento delle modalità di convivenza e interazione sociale, a cui si
sono presto associate una crisi economica e una riconfigurazione generale dello
scenario politico.
Alla luce di tutto ciò, quali segni la pandemia lascerà sull’opinione pubblica italiana? Concentrandosi sui risvolti più specificatamente politici, il volume curato da Nicola Maggini e Andrea Pedrazzani (Università degli Studi di Milano) prova a capire i cambiamenti dell’opinione pubblica italiana. In particolare, quali ripercussioni ha avuto sinora la pandemia sulle idee che gli italiani hanno sui temi di rilevanza pubblica, sui loro atteggiamenti valoriali, sulle loro predisposizioni politiche e sui loro orientamenti di voto? Che cosa è cambiato rispetto alla fase precedente la pandemia e che cosa invece è rimasto sostanzialmente immutato? E come si va ridefinendo lo spazio di competizione elettorale? Per rispondere a queste domande, i curatori si sono avvalsi del contributo dei membri del Laboratorio spsTREND “Hans Schadee” del Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano utilizzando i dati originali della ricerca ResPOnsE Covid-19.
I risultati delle analisi mostrano che molti degli antecedenti del voto non sono mutati radicalmente durante l’ultimo anno e mezzo: alcuni atteggiamenti e opinioni degli italiani si sono dimostrati quasi impermeabili allo shock dello scoppio di una pandemia (come ad esempio gli atteggiamenti nei confronti dell’immigrazione), mentre altri hanno subito variazioni solo nel breve periodo e sono spesso tornati ai valori pre-crisi (come la fiducia nelle istituzioni). L’unico cambiamento significativo riguarda l’atteggiamento nei confronti dell’Unione Europea: il primo anno e mezzo di pandemia ha visto infatti crescere l’europeismo degli italiani, presumibilmente come risposta all’adozione del Next Generation EU. Per quanto riguarda poi gli orientamenti politico-elettorali, esiste nell’elettorato una significativa propensione a mutare scelta di voto e questa fluidità elettorale caratterizza soprattutto l’area del centrodestra. Ciò dipende non tanto dal fatto che le propensioni di voto individuali siano cambiate nel tempo, quanto dal fatto che vi sono disponibilità multiple: interi segmenti dell’elettorato sono effettivamente contendibili tra più partiti. Pertanto anche al cospetto di un evento traumatico ed epocale come la pandemia, nel breve e medio periodo il cambiamento negli orientamenti politici non è preceduto da cambiamenti di opinione pre-politici, ma si svolge tutto nel campo della politica. Se questa fluidità associata alle scelte di voto produrrà ancora una volta conseguenze sistemiche (un nuovo “terremoto elettorale” come nel 2013 e nel 2018), dipenderà molto dalle scelte strategiche dei partiti e dalle (eventuali) nuove regole elettorali.
Il 3 e 4 ottobre si è svolto il primo turno delle ammnistrative che hanno coinvolto 118 comuni superiori ai 15.000 abitanti.[1] Oltre all’affluenza e alla performance dei partiti ̶ già analizzate in precedenti articoli, rispettivamente, da Federico Trastulli e da Vincenzo Emanuele e Aldo Paparo ̶ un altro elemento da considerare per fornire una prima disamina del voto è quello relativo ai conteggi delle vittorie e delle sfide al ballottaggio nei 118 comuni superiori. Non è mai semplice fornire un’interpretazione di un voto come quello delle amministrative, giacché non sono chiari i termini di confronto e l’attenzione dei media è inevitabilmente catturata dal risultato delle città principali, soprattutto quando quest’ultime includono le quattro città più popolose del Paese (Roma, Milano, Napoli e Torino). Un buon metodo di lavoro è quello di analizzare le vittorie ottenute dalle diverse coalizioni, disaggregando il dato sia per macro-area geografica che per caratteristica del comune (capoluogo di provincia) e dell’elezione (presenza di un sindaco incumbent). La Tabella 1 mostra i risultati, che vanno interpretati tenendo presente anche la situazione di partenza. Come visto in un precedente articolo di Vincenzo Emanuele, Marco Improta e Federico Trastulli, il centrosinistra (ossia le coalizioni guidate dal PD) governava 37 comuni su 118, contro i 24 del centrodestra (ossia le coalizioni che includevano Forza Italia) e i 13 della destra di Lega e Fratelli d’Italia (coalizioni senza Forza Italia). Inoltre, 26 comuni erano governati da sindaci “civici” e 12 da esponenti del Movimento 5 Stelle (M5S). Era questa la fotografia di un sistema molto lontano dall’essere bipolare (Chiaramonte e Emanuele 2016), seguendo un trend cominciato nel 2013 a livello nazionale quando il sistema politico acquisì un formato tripolare (D’Alimonte, Di Virgilio e Maggini 2013; Chiaramonte e Emanuele 2014). Passando all’analisi di queste comunali, nei comuni già assegnati (56, ossia quasi la metà) prevale il centrosinistra (24) sul centrodestra (18). Ma se si considerano anche le coalizioni di sinistra (senza il PD) e di destra (senza Forza Italia), il quadro che ne viene fuori è quello di un sostanziale equilibrio tra l’area di centrosinistra-sinistra e quella di centrodestra-destra (25 vittorie contro 22). Un bilancio quindi ben diverso da quello emerso dal voto nelle grandi città, che ha visto una netta affermazione del centrosinistra. Ma questa non è una novità: storicamente la performance elettorale dei partiti del centrosinistra italiano è positivamente correlata con la dimensione dei comuni, mentre il centrodestra di solito va meglio nei piccoli centri.[2] Questo dato è confermato anche dal conteggio delle vittorie nei comuni capoluogo (si veda sempre la Tabella 1): il centrosinistra al primo turno ottiene il doppio delle vittorie del centrodestra in questi comuni maggiori (6 a 3). Inoltre, disaggregando il dato per area geopolitica (Nord, ex Zona Rossa e Sud)[3] si può notare come l’esito del primo turno sia territorialmente differenziato: le coalizioni di centrosinistra prevalgono chiaramente su quelle di centrodestra nella ex Zona Rossa (8 vittorie contro 2) e nel Sud (11 vittorie contro 1), mentre al Nord prevale chiaramente il centrodestra (15 vittorie contro 5). Mentre quindi la dimensione del comune e il territorio sono fattori che spiegano molto i risultati delle principali coalizioni, l’incumbency factor non pare aver avvantaggiato nessuno: tra i 42 comuni in cui il sindaco uscente è stato rieletto, 16 sono andati al centrosinistra e 16 al centrodestra (si veda ultima colonna della Tabella 1).
Tabella 1. Riepilogo dei vincitori al primo turno delle ammnistrative nell’aggregato dei 118 comuni superiori al voto (dati per zona geopolitica, capoluoghi di provincia e comuni con sindaci incumbent)
Tutte queste considerazioni spingono verso un’interpretazione prudente del voto. Certamente spiccano le nette affermazioni del centrosinistra a guida PD già al primo turno in città importanti come Milano (risultato storico mai ottenuto prima), Napoli e Bologna. Questo dato già rappresenta un miglioramento rispetto al 2016, quando era stato escluso dal ballottaggio a Napoli e aveva vinto al ballottaggio a Milano e Bologna. Inoltre, vittorie importanti sono state ottenute in altri comuni capoluogo come Ravenna, Rimini e Salerno. Però allargando lo sguardo dalle città più grandi, nei confronti delle quali c’è stata maggiore attenzione mediatica, all’insieme dei comuni superiori, il quadro di analisi appare molto variegato ed è difficile trarne una lettura uniforme in chiave nazionale. Tanto più se si considera che dalla nostra analisi sono stati esclusi i comuni più piccoli, quelli sotto i 15.000 abitanti, in cui vive il 40% degli elettori italiani e in cui tradizionalmente il centrodestra è relativamente più forte. Il vero dato chiaro che emerge semmai è quello del nuovo bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra: prima di tutto in termini di alleanze (a differenza del passato il M5S in 29 comuni si è presentato in coalizione col PD) e poi in termini di esiti, dal momento che il M5S nei 20 comuni in cui ha corso fuori dalla coalizione ha vinto solo in uno (Grottaglie) e ha subito cocenti sconfitte in due importanti città come Roma e Torino, dove aveva governato per 5 anni. Il tracollo del M5S è l’elemento di discontinuità rispetto al 2016 che spiega il ritorno in auge del bipolarismo, seppure in un contesto di minore affluenza elettorale, mentre i candidati “civici” continuano a esercitare un certo appeal alle ammnistrative, conquistando 8 comuni al primo turno.
Se il mero conteggio delle vittorie al primo turno ci ha mostrato un sostanziale equilibrio tra le due principali aree politiche del paese, è chiaro che bisogna aspettare l’esito dei ballottaggi per capire chi ha veramente vinto queste elezioni comunali del 2021, considerando anche che al ballottaggio si decideranno le sorti di città rilevanti come Roma e Torino. Già ora possiamo però analizzare la posizione di partenza delle forze politiche arrivate al ballottaggio (si veda la Tabella 2). Il primo dato che emerge è che in 26 comuni su 62 ci sarà la tradizionale sfida in stile Seconda Repubblica tra centrosinistra a guida PD e centrodestra a guida Forza Italia. Se si considera che in 4 comuni la sfida sarà tra centrosinistra e coalizioni sovraniste a guida Lega/FDI, si vede come la dinamica bipolare è confermata. Inoltre, candidati di coalizioni di centrosinistra e di centrodestra saranno presenti al ballottaggio in un numero quasi identico di comuni: 41 e 40, rispettivamente. Questo ci dice che entrambe le coalizioni possono incrementare il numero di sindaci eletti rispetto alla tornata del 2016 (come si è detto in precedenza erano 37 per il centrosinistra e 24 per il centrodestra). Il M5s sarà invece presente solo in 9 ballottaggi (quindi sicuramente diminuirà il numero di sindaci eletti rispetto al 2016), così come i candidati sostenuti dalle coalizioni di destra. Collegando questo dato del numero esiguo di ballottaggi ottenuti dalle liste di destra “sovranista” col loro magro bottino di vittorie al primo turno (4), si può dire che il centrodestra per essere competitivo e vincere deve includere anche la sua componente moderata, seppur Forza Italia sia in declino da anni. Ben più numerosi sono i candidati civici arrivati al ballottaggio (21), mentre le coalizioni di centro e quelle di sinistra si trovano in fondo alla classifica, portando rispettivamente solo due e un candidato al ballottaggio.
Nelle 41 sfide in cui sarà presente, la coalizione guidata dal PD correrà da prima classificata al primo turno in 23 ballottaggi, contrapponendosi al centrodestra in 16 casi. La coalizione di centrodestra invece partirà in prima posizione in 18 ballottaggi, sfidando il centrosinistra in 10 casi. I candidati sostenuti dal PD quindi partono da una posizione migliore e questo può favorire una loro vittoria finale contro i candidati del centrodestra, anche se sappiamo che i ballottaggi fanno storia a sé e gli esiti non possono mai essere dati per scontati. Per quanto concerne il M5S, solo in 3 casi su 9 i suoi candidati correranno da primi, sfidando in 2 ballottaggi il centrodestra e in 1 un candidato civico. Da secondo invece affronterà candidati di centrosinistra (2 ballottaggi), di centrodestra (2 ballottaggi), di centro (1) e di destra (1). La maggior parte dei candidati civici arrivati al ballottaggio correrà partendo da secondi (12 ballottaggi su 21), sfidando soprattutto candidati di centrodestra (in 6 casi), mentre da primi affronteranno soprattutto candidati di centrosinistra (in 5 ballottaggi). Infine, le lotte “fratricide” tra centrosinistra e sinistra da una parte e tra centrodestra e destra dall’altra saranno ridotte al minimo: in uno e due ballottaggi, rispettivamente (con il centrosinistra e la destra che partono da primi).
Tabella 2. Riepilogo delle sfide tra prima e seconda coalizione nei 62 comuni superiori al ballottaggio
Come si è visto, quindi, l’esito del
primo turno ha mostrato la resurrezione del bipolarismo, con una sorta di “ritorno
al futuro” alla situazione delle comunali del 2011, quando il M5S giocava un
ruolo ancora marginale. Il centrosinistra ha ottenuto importanti vittorie dal
punto di vista simbolico nelle grandi città e nei comuni capoluogo, ma la
situazione appare più equilibrata se si considerano gli esiti anche nel resto
dei comuni più piccoli, con il centrodestra tra l’altro che prevale nel Nord
del Paese. Non resta che attendere i ballottaggi del 17 e 18 ottobre per sapere
chi tra centrosinistra e centrodestra avrà alla fine ottenuto più sindaci
eletti nei comuni superiori ai 15.000 abitanti andati al voto in questa tornata
ammnistrativa del 2021. (https://www.etutorworld.com/)
Nota
metodologica
La
Sinistra (senza il PD) riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra
Potere al Popolo (PAP), Rifondazione (PRC), Partito comunista Rizzo (PC),
Partito comunista italiano Arboresi (PCI), Partito comunista dei lavoratori
(PCDL), Articolo-1-MDP (MDP), Sinistra italiana (SI), Partito socialista
italiano o socialisti (PSI), Centro democratico (CeDem), Italia in Comune
(ITCOM), DemA (DemA), Italia dei Valori (IDV), Europa verde (Verdi), Possibile
(Possibile), DemoS (Demos) – ma non dal PD.
Il Centrosinistra è formato da candidati
nelle cui coalizioni a sostegno compaia il PD; il Centro riunisce tutti i candidati
sostenuti da almeno una fra Più Europa (+EU), Azione (AZ), Italia Viva
(IV), Noi con l’Italia (NCI), Unione di Centro (UDC), Democrazia Cristiana
(DC), Partito Repubblicano (PRI) (ma né PD né FI) Volt (Volt).
Il Centrodestra è formato
da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia FI.
La
Destra riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra Lega o Prima
+ nome del comune (LEGA), Fratelli d’Italia (FDI), Cambiamo Toti (Cambiamo),
Popolo della Famiglia (PDF), Partito liberale europeo (PLE), Rinascimento
Sgarbi (Sgarbi), Italexit (ITEXIT), Fiamma Tricolore (FT), Movimento Idea
Sociale (MIS) – ma non FI.
I candidati civici sono invece quei
candidati non sostenuti da alcuna lista di cui sopra ma soltanto da liste
civiche.
Quindi, se un candidato è sostenuto
dal PD o da FI è attribuito al centrosinistra e al centrodestra
rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della
coalizione a suo sostegno.
Se
un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD
e FI che hanno la priorità) in sede di attribuzione pre-elettorale viene
segnato come appartenente ad entrambe le aree (vedi ‘Altre formule’). Esempio:
se, per ipotesi, Potere al Popolo (PAP) e Azione (AZ) sostengono lo stesso
candidato (che non è candidato di nessun partito principale) la coalizione
viene indicata come SX-CX. Dopo il voto, si valuterà il relativo contributo dei
diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al
polo che pesa di più).
Riferimenti
bibliografici
Chiaramonte,
A. e Emanuele, V. (2014), ‘Bipolarismo addio? Il sistema partitico tra
cambiamento e de-istituzionalizzazione’, in Terremoto Elettorale. Le
Elezioni Politiche Del 2013, A. Chiaramonte, L. De Sio (a cura di),
Bologna: Il Mulino, pp. 233–262.
Chiaramonte,
A. e Emanuele, V. (2016), ‘Multipolarismo a geometria variabile: il sistema partitico
delle città’, in Cosa succede in città? Le elezioni comunali del 2016,
V. Emanuele, N. Maggini e A. Paparo (a cura di), Dossier CISE (8), pp.33-40
Corbetta,
P., Parisi, A. e Schadee, H. (1988), Elezioni in Italia. Struttura e
tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il Mulino.
D’Alimonte,
R., Di Virgilio, A. e Maggini, N. (2013), ‘I risultati elettorali: bipolarismoaddio?’, in ITANES (a cura di), Voto amaro. Disincanto e crisi economica
nelle elezioni del 2013, Bologna, Il Mulino, pp. 17-32.
Diamanti,
I. (2009), Mappe dall’Italia politica. Bianco, rosso, verde, azzurro… e tricolore,
Bologna, Il Mulino.
Emanuele,
V. (2011), ‘Riscoprire il territorio: dimensione demografica dei comuni e
comportamento elettorale in Italia’, in Meridiana– Rivista di Storia eScienze
Sociali, 70, pp. 115-148.
Emanuele,
V. (2013), ‘Il voto ai partiti nei comuni: La Lega è rintanata nei piccoli centri,
nelle grandi città vince il PD’, in L. De Sio, M. Cataldi e F. De Lucia (a cura
di), Le Elezioni Politiche 2013, Dossier CISE (4), Roma, Centro Italiano
Studi Elettorali, pp. 83-88.
[1] Non è incluso il comune di Lamezia
Terme (CZ), nel quale, a seguito della decisione del Consiglio di Stato, si è
votato soltanto in quattro sezioni che non possono matematicamente ribaltare
l’esito delle precedenti elezioni.
[2] Per un’analisi del rapporto tra
dimensione demografica dei comuni e comportamento elettorale in Italia si veda Emanuele
(2011; 2013).
[3] Sul concetto di
zone geopolitiche e le diverse classificazioni proposte, vedi Corbetta, Parisi e
Schadee (1988), Diamanti (2009), Chiaramonte e De Sio (2014).
Cini, L., Colloca, P., Maggini, N., Tomassi, F., e Valbruzzi, M. (2021), Inchiesta su periferie urbane, disagio socioeconomico e voto. I casi di Bologna, Firenze e Roma. Quaderni di Scienza Politica, Vol. 28, Issue 2, pp. 137-177. doi: 10.48271/101829
The weakening of traditional parties and of their territorial rooting which has occurred over the last decades has brought back the scholarly interest on the local dynamics, namely, on the social and political transformations involving local areas. An increasing number of scholars has therefore focused on the «peripheries», those urban areas that are traditionally associated with a high level of socio-economic distress, wherein inhabitants feel themselves as economically disadvantaged, socially marginalized and politically excluded. This paper is part of such research strand by investigating the variation in the electoral results in three Italian cities – Bologna, Florence, and Rome – in relation to the spatial distance from the urban centre and to the socio-economic distress. More notably, the paper answers two main questions: a) are the most distant areas from the historical centre also those with a higher level of socio-economic distress? b) what kind of relationship is there between voting and socio-economic distress, and how does such relation change over the post-crisis years? To answer these questions, we consider the results of four elections (parliamentary elections 2008, 2013, 2018; European elections 2019) in the three cities investigated, which are similarly characterized by an electoral decline of the Pd (but also of the Pdl/FI) to the benefit of M5s and League (and in part also of FdI), besides being located in central Italy. By using an original dataset combining socio-economic and electoral variables at the district level, the article analyzes the variation in the electoral support for the main Italian political parties, with a particular focus on both mainstream (Pd and Pdl/FI) and antiestablishment parties (M5s and League).
L’Italia
sta attraversando una fase storica sicuramente eccezionale, colpita duramente
da una pandemia globale che ha forti ripercussioni negative sia dal punto di
vista della salute pubblica che dal punto di vista sanitario. E dal punto di
vista politico? Cosa pensano gli elettorati dei diversi partiti dell’attuale
situazione, in particolare circa l’operato del governo, i rapporti dell’Italia
con l’Europa e le misure da adottare in futuro per superare l’emergenza
economica-finanziaria? In questa sede ci focalizziamo in particolare sulle
opinioni degli elettorati dei due principali partiti che formano il governo, il
M5s e il Pd, per capire se e in che misura la comune esperienza di governo di
questi mesi, sottoposta alla dura prova della gestione di un’emergenza epocale,
abbia forgiato una comunanza di vedute tra i due elettorati che possa fare da
base per una futura alleanza elettorale. Il primo dato da cui partire è una
breve analisi dei flussi elettorali tra le europee del 2019 e le intenzioni di
voto registrate ad aprile 2020 dal sondaggio Winpoll per il Sole24Ore in
collaborazione con il CISE[1] (Figura 1).
Fig. 1 – Flussi elettorali fra europee 2019 (sinistra) ed aprile 2020 (destra), percentuali sull’intero elettorato.
Restringendo
lo sguardo sui bacini elettorali del M5s e del Pd, si nota subito come la
convivenza al governo non abbia comportato flussi di voto tra i due partiti
significativi: il Pd ha perso verso il M5s solo il 2% dei suoi elettori delle
europee e il 4% degli elettori M5s si è spostato verso il Pd. In altre parole,
non si è determinata una competizione sullo stesso bacino elettorale e nessuno
dei due partiti sembra aver esercitato una egemonia tale da attrarre una parte
significativa degli elettori dell’altro, come invece era successo ai tempi del
governo “gialloverde” quando la Lega riuscì a “rubare” molti elettori al M5s
(mentre adesso il partito di Salvini soffre la concorrenza di Fratelli
d’Italia). Al riguardo c’è da segnalare come anche dopo le europee l’8% degli
elettori del M5s oggi voterebbe per la Lega, quota però perfettamente identica
a quelle degli elettori leghisti alle europee che oggi voterebbero per il M5s.
L’altro flusso in uscita dal M5s di una qualche rilevanza (8%) è quello verso
il non voto. L’unico flusso in uscita dal Pd invece significativo (12%) è verso
Italia Viva, come era preventivabile visto che il partito di Renzi è nato da
una scissione dal Pd. Nonostante ciò, comunque, l’elettorato del Pd di
Zingaretti mostra un’alta fedeltà elettorale: l’82% è composto da elettori che
lo avevano già votato alle europee. Molto simile è la fedeltà dell’elettorato
pentastellato (80%).
Se quindi tra Pd e M5s non sembrano esserci vasi elettorali comunicanti, guardiamo se ci sono delle somiglianze in termini di atteggiamenti politici. Dal punto di vista valoriale, la prima somiglianza emerge dalla domanda che abbiamo posto circa il trade-off tra tutela dell’economia e tutela della salute dei cittadini (Tabella 1). Infatti la netta maggioranza degli elettori del Pd (79%) e del M5s (84,9%) si collocano sul versante della tutela della salute, in maniera nettamente maggiore rispetto alla media (58,7%) e differenziandosi chiaramente dagli elettori degli altri partiti, in particolare del centrodestra, tra cui prevale il principio della tutela dell’economia.
Tabella
1
– “Lei con quale delle seguenti due affermazioni si trova più d’accordo? Tutelare la salute
dei cittadini anche a costo di fermare l’economia; tutelare l’economia anche in presenza di rischi per la salute dei cittadini”.
Nel questionario avevamo poi posto delle domande su quali misure (tra aumenti di tasse e tagli alla spesa) in futuro potrebbero rivelarsi opportune per rientrare dall’aumento del debito pubblico reso necessario per sostenere l’economia. Come si può vedere dalla Tabella 2, la maggioranza degli intervistati reputa che non sia opportuno aumentare le tasse, mentre la maggioranza degli elettori del M5s e soprattutto del Pd reputa che sarà opportuno farlo in futuro. Da questo punto di vista gli elettorati dei due partiti al governo si differenziano dalle posizioni degli elettori degli altri partiti, che sono invece nettamente contrari a un futuro aumento delle tasse (specialmente gli elettori del centrodestra). Da notare che gli elettori del M5s si collocano in una posizione più intermedia (il 44% non vuole nessun aumento di tasse), ma comunque più sbilanciata verso sinistra (nella sua accezione più tradizionale). E il tipo di tassa che incontra chiaramente il maggiore consenso tra i due elettorati è la patrimoniale (escludendo la prima casa): è appoggiata dal 45,7% degli elettori del M5s e dal 65,3% degli elettori del Pd. Nettamente minoritarie tra tutti gli elettori sono invece le posizioni a favore di un aumento di altre forme di tassazione (reddito persone fisiche, prima casa, prelievo sui conti correnti, iva, tasse sulle imprese).
Tabella 2 – “Quali tasse sarebbe giusto aumentare o introdurre?” (Risposte multiple).
La
maggioranza degli intervistati senza, grosse distinzioni tra elettori di
diversi partiti, sembra al contrario non disdegnare l’opzione dei tagli alla
spesa (Tabella 3). In questo caso la voce di spesa più sgradita è quella legata
al funzionamento dei ministeri, regioni, comuni e altre amministrazioni dello
stato. In questa senso la maggioranza (50,5%) degli elettori del M5s è a favore
del taglio di queste spese, mentre tra gli elettori del Pd la percentuale di
chi sostiene questa opzione si abbassa al 39,9%. Ovviamente qui pesa la
tradizionale retorica “anti-casta” e antipolitica del movimento fondato da
Beppe Grillo. Un altro dato interessante è che gli elettori dei due partiti al
governo sono accomunati dalla difesa dei sussidi di welfare (sussidi di disoccupazione,
ammortizzatori sociali, reddito di cittadinanza), mentre più di un terzo degli
elettori degli altri partiti sono per tagliare questa voce di spesa,
probabilmente anche a causa della presenza del reddito di cittadinanza tra i
sussidi citati, una misura molto connotata politicamente essendo stata la
bandiera del M5s (i cui elettori infatti sono i più contrari a ridurre queste
misure di welfare). Infine, le altre voci di spesa (in primis servizio
sanitario nazionale, ricerca, istruzione e università) non vogliono essere
tagliate dalla stragrande maggioranza degli intervistati (con una quota non del
tutto insignificante di elettori Pd, forse di convinzioni anti-militariste, che
vorrebbe ridurre le spese per forze dell’ordine e forze armate).
Tabella
3
– “Quali prestazioni o servizi sarebbe giusto ridurre?” (Risposte multiple).
Oltre
che dalle politiche fiscali, gli elettorati di Pd e M5s sono accomunati anche
dal giudizio sul governo Conte II (Tabella 4), anche se con delle sfumature
diverse. La stragrande maggioranza degli elettori dei due partiti è soddisfatta
di come il governo ha affrontato finora l’emergenza sanitaria (88,4% degli
elettori Pd e 95,2% degli elettori M5s), mentre il totale degli intervistati si
divide sostanzialmente a metà. Se si prende in considerazione l’operato del
governo circa la gestione della emergenza economica, la soddisfazione nei due
elettorati permane, ma quello del Pd si mostra più freddo: un terzo infatti si
dichiara insoddisfatto. Tra tutti gli intervistati l’insoddisfazione raggiunge
i due terzi.
Tabella
4
– “Quanto è soddisfatto di come il governo sta gestendo
l’emergenza sanitaria e l’emergenza economica”?
Che
il giudizio positivo sul governo di Giuseppe Conte sia un elemento che accomuna
i due elettorati e li differenzia dagli elettori degli altri partiti, lo si
capisce anche dalle risposte circa la possibilità di creare un governo di unità
nazionale per gestire la ricostruzione economica (Tabella 5). Infatti, la
stragrande maggioranza degli elettori del Pd (84,1%) e del M5s (93,6%) è a
favore del mantenimento dell’attuale governo. Significativo è anche il fatto
che l’opzione governo di unità nazionale sia minoritaria anche tra gli elettori
degli altri partiti, tra i quali prevale nettamente l’opzione elezioni
anticipate. Il governo di unità nazionale di cui si parla tanto sui giornali
sembra quindi essere al momento un’opzione minoritaria nel paese. E se si dovesse
formare un governo di unità nazionale, un terzo degli intervistati vorrebbe che
a guidarlo fosse Mario Draghi. Tuttavia, la figura dell’ex presidente della Bce
non riscontra i favori degli elettori del primo partito in parlamento: l’87%
degli elettori pentastellati vorrebbe infatti che a capo del governo rimanesse
comunque Conte. L’attuale Presidente del Consiglio riscuote consensi anche tra
gli elettori del Pd, tanto quanto Draghi (33,8% vs 34,2%). In generale si conferma
come sia soprattutto l’elettorato grillino quello più soddisfatto dell’attuale
governo e della sua guida. Conte, in ogni modo, gode di un forte consenso
personale come abbiamo visto in una precedente
analisi e appare come il vero trait d’union tra i due
partiti, come si evince anche dalla Tabella 6. Infatti, se da una parte è vero
che la maggioranza relativa degli elettori grillini (47,2%) e del Pd (36,8%) percepisce Conte come
politicamente più vicino al M5s, dall’altra il 20,9% degli elettori del Pd lo
percepisce come più vicino al proprio partito. Inoltre, il 38,3% degli elettori
del M5s e il 29,7% del Pd pensano che non sia vicino a nessuno dei due. In
altre parole, Conte è stato abile a costruirsi un profilo abbastanza autonomo,
su cui possano riconoscersi (con gradazioni diverse) gli elettorati dei due
maggiori partiti al governo. Tra gli elettori leghisti e di Fratelli d’Italia,
invece, il Presidente del Consiglio è nettamente visto (probabilmente in
maniera negativa) come un uomo del Pd. Non ci sono al contrario grosse
distinzioni tra gli elettorati dei diversi partiti circa l’opportunità per
Conte di correre con un proprio partito alle prossime elezioni: circa il 20%
reputa che sia opportuno.
Tabella
5
– Opinioni su quale tipo di governo sarebbe più adatto per la gestione
del riavvio economico del paese dopo la fine della emergenza sanitaria e
su chi dovrebbe essere il Presidente del Consiglio in caso di un governo di
unità nazionale.
Tabella
6
– Percezioni sulla affinità politica di Conte e sulla opportunità che crei un
suo partito.
Se
le misure del governo, a partire da quelle di lockdown, sono apprezzate
dagli elettori di Pd e M5s, il loro impatto sul reddito dei rispettivi
elettorati non è il medesimo (Tabella 7). Solo il 2,6% degli elettori del Pd
infatti dichiara un azzeramento del proprio reddito, contro l’11,5% degli
elettori del M5s. Così come coloro che dichiarano un reddito
invariato/aumentato sono oltre il 67% degli elettori Pd, a fronte di quasi il
50% degli elettori del M5s (in media con il resto del campione). Questo è
sicuramente il segnale di un diverso profilo sociale dei due elettorati (altri
dati, qui non riportati, mostrano come tra gli elettori del M5s i disoccupati e
gli operai siano molto più numerosi che tra gli elettori del Pd). Tuttavia,
quando si guarda alle aspettative circa la futura situazione economica, sia dal
punto di vista del reddito della propria famiglia che del paese (Tabella 8), i
due elettorati tornano ad assomigliarsi, pur con delle differenze. Nel caso
delle aspettative sul proprio reddito familiare la maggior parte degli elettori
di Pd e M5s credono possa tornare ai livelli pre-crisi tra 6 mesi-1anno (27,4%
degli elettori Pd e 26% degli elettori M5s) o tra 2-4 anni (14,8% vs 18,8%).
Gli elettori più pessimisti (che pensano ci vogliano più di 4 anni) sono
nettamente minoritari, anche se un po’ più numerosi tra gli elettori del M5s,
che del resto mostrano ancora una volta una più difficile situazione
socio-economica rispetto a quella degli elettori del Pd (il 39,3% dichiara che il suo reddito familiare non è
stato intaccato, a fronte del 53,6% degli elettori del Pd). Nonostante ciò,
quando si guarda alle prospettive del Paese, gli elettori del M5s si mostrano
più ottimisti, anche rispetto a quelli del Pd e in generale alla media degli
intervistati. Il 21,9% degli elettori pentastellati ritiene che entro 6 mesi-1
anno l’Italia possa tornare alla situazione economica pre-pandemia (la
percentuale si abbassa al 10,4% tra gli elettori Pd e la media è pari all’11,9%).
La maggioranza assoluta di entrambi i partiti ritiene che ci vogliano tra i 2 e i 4 anni. Gli elettori degli altri
partiti sono invece più pessimisti. Anche in questo caso le aspettative sull’Italia
sono probabilmente influenzate dalla fiducia verso il governo, che nel caso
degli elettori del M5s sembra anche contare di più rispetto alla effettiva
condizione economica personale.
Tabella
7
– Impatto delle misure di distanziamento sociale sul proprio reddito personale.
Tabella
8
– Aspettative sui tempi di recupero economico del Paese e della propria
famiglia.
Su
quasi tutti i temi analizzati fin qui si può concludere che gli elettorati dei due partiti abbiano
opinioni abbastanza simili tra loro e abbastanza difformi da quelle degli
elettori dei partiti di opposizione. Sull’Europa però questo non è più
vero. Sono cinque le domande del
sondaggio dedicate ai temi del rapporto tra Italia e Unione Europea. La prima
(Tabella 9) riguarda l’aiuto che i singoli paesi dell’Unione stanno dando
all’Italia. Il giudizio negativo è prevalente in tutti i partiti, compreso il
Pd che è certamente il partito più filo-europeo. Questo atteggiamento diffuso
rende meno evidente la distanza che separa gli elettori del Movimento da quelli
del Pd, ma anche in questo caso i primi sono decisamente più vicini agli
elettori dei partiti di opposizione (che rientrano nella categoria “altri”
nella tabella 9) che a quelli del partito alleato.
Tabella
9 –
Sull’aiuto degli altri paesi della
Unione Europea
Questa
divergenza diventa più ampia, e più rilevante sul piano politico, quando agli intervistati si chiede se le
istituzioni della UE nel loro complesso stiano aiutando l’Italia. In questo
caso la maggioranza degli elettori del Pd, il 53%, dà un giudizio positivo
(Tabella 10) mentre è così solo per il
13,6% di quelli del M5s che anche su
questo tema sono chiaramente più vicini agli elettori di Forza Italia, Lega e
Fratelli d’Italia. Considerando le
posizioni storiche del Movimento sull’Europa, sempre molto critiche, non
sorprende la distanza che separa i due maggiori partiti di governo. Resta il
fatto che una simile divergenza è un fattore di debolezza dell’attuale governo.
I prossimi mesi saranno caratterizzati da tutta una serie di decisioni che verranno
prese nelle diverse sedi europee in merito alla ricostruzione delle economie
dei paesi membri. Su queste decisioni il governo italiano dovrà prendere
posizione. Va da sé che in questi casi la compattezza fa la differenza. I
nostri dati dicono che c’è ancora molto lavoro da fare per il Presidente del Consiglio
al fine di amalgamare le posizioni dei due maggiori partiti che lo sostengono.
Lo si è già visto nelle scorse settimane sulla questione del MES. E
lo si vede bene anche nel nostro sondaggio.
Tabella
10 –Sull’aiuto delle istituzioni
dell’Unione Europea
Alla domanda se l’Italia dovrebbe chiedere il prestito agevolato che il MES mette a disposizione per finanziarie le spese sanitarie senza vincoli stringenti l’83,6% degli elettori Pd è d’accordo contro il 20,0% di quelli del M5s (Tabella 11). Su questo tema il Pd si trova più vicino a Forza Italia che al suo alleato. Si sa che il MES per il Movimento è un tema di grande importanza simbolica da usare anche in chiave identitaria. Ma il vero problema è che non si tratta solo di questo strumento. È la posizione complessiva degli elettori Cinque Stelle nei confronti dell’Unione che fa la differenza tra i due partiti. Sulla questione europea il Movimento continua a voler cavalcare la diffidenza, se non l’aperta ostilità, nei confronti della UE da parte di una larga fetta dell’elettorato italiano. Così facendo si mette in competizione con la Lega e Fratelli d’Italia che puntano proprio sull’euro-scetticismo e sull’anti-europeismo per raccogliere consensi in questa fase in cui l’immigrazione è diventata una issue meno saliente.
Tabella
11 –
Chiedere o no il prestito ‘sanitario’
del MES senza vincoli stringenti?
Da
molti anni il rapporto tra gli italiani e l’Europa è mutato. Prima della
introduzione dell’Euro la partecipazione alla Unione era considerata un fatto
positivo dalla larghissima maggioranza. L’atteggiamento è cambiato
progressivamente ma costantemente e oggi i dati di questo sondaggio (Tabella 12)
dicono che solo il 35% degli italiani dà un giudizio positivo della nostra
appartenenza alla UE anche alla luce di quello che è successo con questa crisi.
La maggioranza relativa, il 42,5%, ha maturato una opinione negativa mentre il
restante 20,5% resta su una posizione di
indifferenza. Disaggregando i dati sulla
base delle intenzioni di voto degli intervistati si vede che solo gli elettori
del Pd sono decisamente schierati a favore della Unione, 81,7%, mentre solo il
29,7% di quelli del Movimento condivide il giudizio positivo. Anche su questa
domanda dunque il profilo del M5s è più vicino a quello della Lega e di FdI.
C’è da dire però che mentre nel caso di questi due partiti il giudizio negativo
è largamente maggioritario, con percentuali superiori al 70%, per una fetta
rilevante dell’elettorato del Movimento, il 28,6% per la precisione, l’appartenenza alla Unione è un fatto né
positivo né negativo. Nella sostanza molti elettori pentastellati restano alla
finestra aspettando gli eventi. L’indifferenza può essere interpretata come una
disponibilità futura. Dipende da quello che avverrà a livello europeo, da quanto il governo Conte riuscirà a
ottenere, e da come il rapporto con l’Europa verrà comunicato sui media. Di
questi tempi la narrativa spesso conta più della sostanza, soprattutto quando
si tratta di temi complessi in cui le emozioni pesano più delle informazioni.
Tabella
12 –
Anche alla luce di quello che è successo con questa crisi, l’appartenenza alla Unione è un fatto positivo
o no?
La pandemia può essere l’occasione per invertire la tendenza negativa nel rapporto tra gli italiani e l’Europa o per rafforzarla. Per ora dobbiamo constatare sulla base dei dati della tabella 13 che nel complesso la maggioranza degli elettori ha un orientamento sfavorevole nei confronti del rimanere nell’Euro: si tratta del 51,6%. È la somma del 33,4% che aderisce esplicitamente a un’affermazione relativa a uscire dall’ Unione (e quindi, pur se solo implicitamente, dall’Euro) e il 18,2% che dichiara di voler uscire dall’Euro, ma restare nell’Unione. Come va interpretato questo dato? Nell’ultimo sondaggio dell’Eurobarometro fatto a novembre 2019, alla domanda se fossero a favore o contrari alla Unione Economica e Monetaria con l’Euro come moneta unica, l’Italia – tra tutti i membri dell’Eurozona – è risultata il paese con la percentuale di rispondenti meno a favore, ma era pur sempre il 61%, quindi ancora in maggioranza a favore. La nostra domanda non è direttamente confrontabile con quella Eurobarometro, perché nel nostro caso attribuiamo implicitamente il desiderio di uscire dall’Euro anche a chi risponde semplicemente di voler uscire dalla UE. Sul piano logico l’operazione sarebbe lecita (non è concepibile di uscire dalla UE restando nell’Euro), ma sul piano dello stimolo psicologico della domanda, è plausibile che un’affermazione esplicita di voler uscire “dalla UE e anche dall’Euro” avrebbe forse registrato un consenso inferiore. Di conseguenza è difficile confrontare i due risultati. E’ verosimile che la pandemia abbia accentuato il trend negativo, ma non è possibile usare la nostra domanda per trarre conclusioni così nette.
Riguardo alle differenze tra i partiti, sono sostanzialmente quelle che abbiamo visto in precedenza. La quasi totalità degli elettori Pd, 94,6%, non ne vuole sapere di uscire né dalla UE né dall’Euro. Quelli del Movimento in maggioranza vorrebbero restare nella UE. È la somma del 35,5% che vuole restare nella UE più il 27,9% che vuole restare nella UE, ma non nell’Euro. Il totale fa 63,4%, con un 13,1% che non sa o non risponde alla domanda. Quest’ultimo dato sulle non risposte è decisamente più elevato che nel caso degli altri partiti ed è un ulteriore segnale, dopo quello sulla indifferenza che abbiamo visto nella tabella 12, della incertezza che regna nel Movimento rispetto al rapporto con l’Europa. Nessuna incertezza invece nel campo degli altri partiti. In questo caso non si può parlare nemmeno di euroscetticismo ma di atteggiamento chiaramente negativo nei confronti della UE. E questo vale soprattutto per gli elettori della Lega e di FdI. Nel complesso il 47,6% degli ‘altri’ vuole uscire dall’Unione (e quindi, seppur implicitamente, dall’Euro) e il 21,9 vuole restare nella Unione, ma uscire dall’Euro. Sommando i due dati la conclusione è che quasi il 70%, in questi due partiti, condivide un orientamento negativo verso il rimanere nell’Euro.
Tabella
13 –Uscire o non uscire dalla UE e/o
dall’Euro, anche alla luce di quello che è successo con questa crisi
In
conclusione, cosa si può dire sulla distanza che separa Pd e Movimento sui
problemi che il governo da loro sostenuto deve affrontare in questa fase e
soprattutto nella prossima quando si dovrà mettere mano alla ricostruzione
dell’economia italiana? Detto in altro modo,
l’esperienza di governo fatta in questi mesi ha avvicinato o meno i due
partiti? Va da sé che la domanda è rilevante non solo con riferimento ai
problemi sul tappeto ma più in generale per capire se questa alleanza, che
quando è nata è sembrata a molti una alleanza innaturale e contingente, possa
trasformarsi in una alleanza strategica a cominciare dalle prossime elezioni
regionali e amministrative che prima o poi si terranno. Dai dati che abbiamo analizzato qui a noi
pare che si possa con molta cautela trarre la conclusione che su molti temi i
due partiti sono meno distanti che in passato. Resta però la divisione
sull’Europa. Naturalmente non è una divisione da poco. Ci sono pochi dubbi che
l’Europa sarà nei prossimi mesi/anni la issue intorno alla quale si
definiranno i rapporti all’interno della coalizione di governo e tra questa e i
partiti di opposizione.
Su
questo punto azzardiamo una ipotesi tornando ai dati sui flussi elettorali da
cui siamo partiti in questo articolo. Come si è visto sopra tra Pd e M5s non si
è verificato nel corso di questa esperienza di governo un significativo
passaggio di consensi. Dal punto di vista della stabilità del governo questo è
un fattore positivo. Si pensi a quanto è successo invece nel caso del Conte 1.
Tutti i sondaggi condotti nelle ultime settimane confermano che la
collaborazione al governo non ha cambiato in maniera netta i rapporti tra i due
maggiori protagonisti della coalizione. L’ipotesi che azzardiamo è che almeno
in parte questo sia avvenuto grazie alla differenziazione di posizioni
sull’Europa tra Pd e M5s. L’euroscetticismo del Movimento potrebbe essere la
ragione della sua tenuta elettorale. A sostegno di questa ipotesi si può anche
citare il fatto che un certo numero di sondaggi recenti danno il movimento di
Grillo in leggera ascesa proprio in concomitanza con le sue prese di posizioni
critiche sul MES. Se questa ipotesi fosse valida, saremmo di fronte ad un altro
dei paradossi della politica italiana: la divisione sull’Europa sarebbe un fattore
di stabilità della coalizione di governo e non il contrario. Naturalmente le
cose non sono così semplici. La divisione peserà sulla azione di governo e
metterà a dura prova le capacità di mediazione del Presidente del Consiglio. Lo
si è visto nelle scorse settimane e lo si vedrà ancora di più nelle prossime.
Ma intanto, nonostante tutto, il calabrone vola.
[1] Il sondaggio è
stato realizzato con metodo CAWI tra il 21/04/2020 ed il 23/04/2020 su un
campione (N=1643) della popolazione maschile e femminile italiana dai 18 anni
in su, stratificato per genere, età e provincia di residenza in proporzione
all’universo della popolazione italiana.