Autore: Stefano Rombi

  • Il voto di preferenza alle elezioni europee del 2019

    Il voto di preferenza alle elezioni europee del 2019

    Le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo del 26 maggio 2019 sono state generalmente raccontate come elezioni critiche, ovvero come un momento che avrebbe segnato un prima e un dopo. Laddove il prima sarebbe stato rappresentato da un assetto politico incentrato sull’accordo tra le forze politiche tradizionali e il dopo, viceversa, avrebbe visto il prevalere delle forze cosiddette sovraniste o, come sarebbe meglio dire, anti-establishment. Il dibattito politico, giornalistico e accademico ha qualche volta fomentato l’eccitazione elettorale e qualche altra volta, invece, ha provato a spiegare, sine ira et studio, che molto probabilmente poco sarebbe cambiato.

    In questo ampio dibattito pochissimo spazio è stato dedicato a comprendere il ruolo che avrebbe potuto avere il voto di preferenza, salvo alcuni articoli ex-post dedicati ai candidati più in vista che hanno puntualmente raccolto un numero assai grande di voti personali (Vernetti e Borghese 2019). Questo capitolo prova a colmare questo gap proponendo un’analisi sintetica, ma sistematica, sull’uso delle preferenze in Italia in occasione delle ultime elezioni europee.

    Tanto per cominciare, va ricordato che poco prima delle elezioni europee del 2014 fu introdotto il voto di genere (Rombi 2014). Pertanto, gli elettori continuano ad avere a disposizione fino a tre preferenze, ma devono destinarle a candidati di genere diverso. Sotto il profilo della costruzione dell’indice di preferenza (IP), è necessario tenere conto del fatto che, potendo l’elettore esprimere fino a tre voti personali, le preferenze potenzialmente esprimibili sono rappresentate dal triplo dei voti validi. Il valore dell’IP sarà quindi dato dal rapporto tra il numero di voti validi e il numero di preferenze potenziali. Naturalmente, l’indice varia tra 0 – nessun voto di preferenza – e 1 – l’intero elettorato ha attribuito le tre preferenze.

    Chiariti rapidamente gli aspetti metodologici, in questa sede intendiamo esaminare il voto di preferenza guardando, da una parte, alla sua dimensione territoriale e, dall’altra parte, alla sua diffusione all’interno degli elettorati dei partiti in competizione. Per conferire un respiro diacronico all’analisi, faremo anche riferimento all’andamento del voto di preferenza in occasione delle precedenti elezioni europee.

    Nella Tabella 1 le 20 regioni italiane sono ordinate in senso decrescente, in base al rispettivo indice di preferenza e, come si vede dalle diverse tonalità di grigio, sono raggruppate in quartili. Innanzitutto, si deve sottolineare come le due regioni insulari – Sicilia e Sardegna – presentino l’IP più elevato, essendo rispettivamente pari a 0,34 e 0,27. Viceversa, il Piemonte (IP = 0,07), la Toscana (IP = 0,09) e l’Emilia-Romagna (IP = 0,09) sono le uniche regioni in cui l’indice rimane sotto la soglia dello 0,10. Da questo punto di vista, nulla è cambiato rispetto al 2014, quando le stesse tre regioni presentavano l’indice più contenuto (IP = 0,08). Il cambiamento si è, invece, registrato in relazione al record nell’uso delle preferenze che, nel 2014, apparteneva alla Basilicata, probabilmente in virtù del forte successo elettorale del Partito Democratico (PD), formazione assai radicata nella regione lucana.

    La stessa Basilicata, peraltro, fa parte del gruppo di regioni in cui il valore dell’IP è stato più elevato, insieme ad un’altra regione meridionale – la Calabria (IP = 0,26) – e naturalmente alle due isole maggiori. Ancora una volta, quindi, il voto di preferenza si rivela un fenomeno soprattutto meridionale. Questa circostanza è peraltro confermata dal fatto che, esattamente come nel 2014, l’unica regione appartenente alla circoscrizione meridionale al di fuori del terzo e del quarto quartile è l’Abruzzo.

    Tab. 1 – L’indice di preferenza (IP) alle elezioni europee 2019 nelle regioni italianepreferenze_2019_tab1

    Ad eccezione dei valori massimi dell’IP, la continuità tra le elezioni del 2014 e quelle del 2019 è molto forte. Ciò è plasticamente testimoniato dalla Figura 1, la quale dimostra come le tendenze generali nel voto di preferenza nelle cinque circoscrizioni abbiano subito cambiamenti del tutto trascurabili.

    L’unico mutamento di un qualche rilievo ha riguardato la circoscrizione Isole. Sia in Sicilia sia in Sardegna l’IP ha subito una crescita piuttosto sostenuta, passando da 0,28 a 0,34 nel primo caso e da 0,22 a 0,27 nel secondo.

    Fig. 1 – L’indice di preferenza (IP) alle elezioni europee nelle cinque circoscrizioni (2014 e 2019)preferenze_2019_figLa spiegazione di questo mutamento richiede un approfondimento dell’analisi che ci consenta di passare dal livello territoriale a quello partitico. A questo scopo, innanzitutto, vale la pena di osservare la Tabella 2.

    In primo luogo si deve evidenziare come, subito dopo il valore fatto registrare dai sostenitori del Südtiroler Volkspartei (IP = 0,25), siano gli elettori di Fratelli d’Italia, Forza Italia e PD a fare l’uso più massiccio del voto di preferenza, con un indice di preferenza sul piano nazionale pari, rispettivamente, a 0,23, 0,22 e 0,20. Peraltro, tra i partiti rilevanti l’unico al di sotto del dato medio è il Movimento 5 Stelle, il cui IP è uguale a 0,11. Un dato più basso rispetto allo 0,15 fatto segnare dall’altro pilastro governativo: la Lega di Salvini.

    Da una parte, quindi, Forza Italia e il PD hanno raccolto un numero significativo di consensi trainati dal consenso elettorale dei propri candidati sul territorio. Dall’altra parte, i due partner del governo hanno invece puntato soprattutto sull’immagine nazionale del proprio partito e, in particolare la Lega, sulla popolarità della propria leadership.

    Passando dal livello sistemico alle singole circoscrizioni, emerge come Fratelli d’Italia sia stata l’unica formazione ad avere l’IP più elevato in più di una circoscrizione. Sia al centro (IP = 0,25) sia al sud (IP = 0,35), gli elettori del partito guidato da Giorgia Meloni hanno utilizzato le preferenze in misura maggiore a tutto gli altri elettorati. Prevedibilmente, il record assoluto nell’indice di preferenza è rintracciabile nella circoscrizione Isole ed è stato fatto segnare dall’elettorato di Forza Italia (IP = 0,41). Colpisce, inoltre, l’impressionante differenza di comportamento tra gli elettori pentastellati al Nord, dove di fatto non fanno alcun uso delle preferenze, e nelle isole dove, invece, l’IP ha un valore (0,26) identico a quello di un piccolo partiti di matrice democristiana, i Popolari per l’Italia. Se lo si confronta con il dato del 2014, la differenza tra il Movimento 5 Stelle del Nord e quello delle Isole appare significativamente aumentata. Se prima lo scarto tra il valore massimo dell’IP (Isole, 0,21) e quello minimo (Nord-Ovest, 0,05) era pari a 0,16, oggi questo scarto è pari a 0,23.

    Tab. 2 – L’indice di preferenza (IP) alle elezioni europee 2019 dei partiti nelle diverse circoscrizionipreferenze_2019_tab2Tra le altre cose, l’analisi degli scarti tra l’IP 2019 e l’IP 2014 potrebbe aiutarci a comprendere cosa abbia guidato la crescita del voto di preferenza nelle isole, così come mostrato dalla Figura 1. A questo proposito, la Tabella 3 indica come, rispetto al 2014, il comportamento degli elettori dei cinque principali partiti italiani si sia rivelato mutevole. (Topamax) Da un lato, gli elettori dei due partiti cosiddetti tradizionali hanno accresciuto il ricorso al voto di preferenza, viceversa i sostenitori del Movimento 5 Stelle, della Lega e di Fratelli d’Italia non hanno cambiato il loro atteggiamento, almeno se lo osserviamo da una prospettiva sistemica. Lo scarto positivo più ampio riguarda il partito di Berlusconi i cui elettori, proprio nella circoscrizione formata da Sicilia e Sardegna, hanno raddoppiato l’utilizzo del voto di preferenza, con un IP passato dallo 0,21 del 2014 allo 0,41 del 2019. Peraltro, se si escludono i valori fatti segnare da PD e Forza Italia nel Nord-Ovest, è proprio nella circoscrizione Isole che i sostenitori di tutti i maggiori partiti italiani hanno aumentato il ricorso al voto di preferenza in misura maggiore rispetto alle altre aree del paese. Viceversa, un calo generalizzato è stato registrato nel Nord-Est, sebbene in questa circoscrizione gli elettorati di PD e Forza Italia abbiano mostrato una certa stabilità.

    In definitiva, anche le elezioni europee del 2019 dimostrano come il comportamento di voto assuma contorni sempre più diversi tra il Nord e il Sud del paese. Ma non è questa l’unica, importante, differenza che emerge dall’analisi del voto di preferenza, l’altra, sempre più profonda e già rilevata in altre indagini (Rombi 2017; 2018), riguarda gli elettori dei partiti anti-establishment (al di là delle differenze che pure esistono all’interno di questo gruppo) e quelli che sostengono i partiti delle élite politiche che hanno guidato il paese tra il 1994 e il 2018.

     

    Riferimenti bibliografici

    Rombi, S. (2014), ‘Il voto di preferenza: tra meridione, neo-democristiani e intellettuali’, in De Sio, L., Emanuele, V. e  Maggini, N. (a cura di), Le Elezioni Europee 2014, Dossier CISE (6) Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 153-157.

    Rombi, S. (2017), ‘L’uso del voto di preferenza alle elezioni comunali del 2017’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE (9), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 83-87.

    Rombi, S. (2018), ‘Il voto di preferenze alle comunali del 2018. Verso l’autofagia dei partiti?’, in Paparo, P. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Il successo del centrodestra nelle comunali del 2018, Dossier CISE (12), Roma, LUISS University Press, pp. 117-122.

    Vernetti, A. e Borghese, S. (2019), ‘Europee, i candidati promossi e quelli bocciati: i numeri dei signori delle preferenze’. Disponibile presso: https://www.youtrend.it/2019/05/28/elezioni-europee-2019-candidati-eletti-preferenze-circoscrizioni/.

  • Il voto di preferenza alle comunali del 2018. Verso l’autofagia dei partiti?

    Il voto di preferenza alle comunali del 2018. Verso l’autofagia dei partiti?

    Il voto di preferenza è uno strumento in grado di indebolire il potere dei leader di partito e sarebbe interessante comprendere se e in che misura esso possa anche contribuire allo sgretolarsi delle organizzazioni partitiche. Tuttavia, per quanto rilevante sia questo tema, in questa sede ci limiteremo innanzitutto a ricordare che, come noto, le elezioni comunali italiane permettono agli elettori di aggirare l’ordine di lista stabilito dai partiti – e, sempre più spesso, dalle formazioni cosiddette civiche – proprio attraverso la possibilità di esprimere una preferenza per uno dei candidati al consiglio comunale.

    Così come già accaduto in passato (Rombi 2017), anche alle elezioni comunali del 2018 era consentita la doppia preferenza: ciascun elettore aveva la possibilità di esprimere fino a due preferenze, a patto che fossero destinate a due candidati di genere diverso. La possibilità di esprimere più di una preferenza ha implicazioni anche sotto il profilo della misurazione del fenomeno. Abbiamo già avuto modo di chiarire in altra sede (Rombi 2016; 2017), infatti, che l’Indice di preferenza (IP) è, in questo caso, il risultato del rapporto tra il numero di voti di preferenza e il doppio dei voti validi ottenuti dalla lista presa in considerazione.

    Prima di procedere con l’analisi, si deve segnalare che sono stati esaminati i soli comuni capoluogo, con l’eccezione del comune di Massa, escluso per indisponibilità dei dati[1]. In particolare, sono state raccolte informazioni sul voto di preferenza per diciannove comuni, così distribuiti: cinque al Nord (Brescia, Imperia, Sondrio, Treviso e Vicenza); quattro nella ex Zona Rossa (Ancona, Pisa, Siena e Terni); dieci nell’area meridionale (Avellino, Barletta, Brindisi, Catania, Messina, Ragusa, Siracusa, Teramo, Trapani e Viterbo).

    Fig. 1 – Indice di preferenza (IP) medio a livello regionalepreferenze_2018_fig1

    Sotto il profilo territoriale, una rapida analisi dei dati raccolti indica, innanzitutto, la perdurante preminenza del meridione nell’utilizzo del voto di preferenza.

    Mediamente, nei comuni meridionali l’IP è pari a 0,54, un dato significativamente maggiore rispetto allo 0,35 dei capoluoghi settentrionali e allo 0,30 di quelli collocati nella ex Zona Rossa i quali, così come nel 2017, si affermano come i meno inclini all’utilizzo delle preferenze. Come mostra la Figura 1, la Campania – comprensiva della sola città di Avellino – è la regione con l’indice di preferenza più elevato (IP = 0,59). All’estremo opposto, troviamo l’Umbria (IP = 0,29), rappresentata dalla città di Terni. (ctlsites.uga.edu)

    È opportuno a questo punto affiancare alla dimensione territoriale l’esame della dimensione demografica del comune, la cui rilevanza dipende dal fatto che, almeno in ipotesi, nelle città piccole e medie il ricorso al voto di preferenza dovrebbe essere più diffuso a causa della maggiore facilità nei rapporti diretti tra elettori e candidati. Come già osservato in altre occasioni (Rombi 2016; 2017), nelle città con popolazione inferiore a 100.000 abitanti l’indice di preferenza è maggiore rispetto a quelle superiori. In questo caso, l’IP è pari a 0,47 tra le prime e a 0,39 tra le seconde.

    Bisognerebbe però comprendere se ciò che è appena emerso sia valido per tutte le aree geografiche del paese, ovvero: a parità di posizione geografica, quanto conta il numero di abitanti nello spiegare l’utilizzo delle preferenze? Per rispondere compiutamente a questa domanda sarebbe importante disporre di un numero di casi molto più elevato. Tuttavia, è possibile offrire alcune congetture anche in questa sede. Sinteticamente, sembra che la dimensione demografica del comune sia rilevante soprattutto nelle regioni del Nord, dove i comuni con una popolazione inferiore a 100.000 abitanti hanno un IP medio pari a 0,41, mentre i comuni con popolazione superiore si fermano a 0,28. Al Sud e nella ex Zona Rossa, invece, l’indice di preferenza non subisce differenze degne di nota tra i due gruppi.

    Dall’analisi territoriale e demografica si deve necessariamente passare a indagare l’utilizzo del voto di preferenza da parte degli elettorati dei principali partiti italiani. La Figura 2 persegue questo obiettivo comparando l’uso delle preferenze tra gli elettori di Forza Italia (FI), Lega, Movimento 5 Stelle (M5S) e Partito Democratico (PD).

    Fig. 2 – Indice di preferenza (IP) dei principali partiti italianipreferenze_2018_fig2

    In prima battuta, emerge come Forza Italia e il Partito Democratico abbiano gli elettorati più inclini all’utilizzo del voto di preferenza, con un IP totale uguale, rispettivamente, a 0,47 e 0,46. Il partito di Berlusconi primeggia, oltreché nel valore complessivo, anche nei comuni settentrionali dove fa segnare un IP medio pari a 0,40. L’elettorato del PD, invece, è il più predisposto ad esprimere un voto personale (Shugart e Carey 1992) sia al Sud (IP = 0,58) sia nella ex Zona Rossa (IP = 0,33). Tuttavia, se nel 2017 nelle ex regioni rosse la differenza nell’uso delle preferenze tra FI e PD era marcata, suggerendo una ben diversa capillarità dei rispettivi candidati, nel 2018 questa distanza si è assottigliata fino a quasi scomparire, tanto che l’IP di Forza Italia sfiora quello del PD, arrivando a 0,32.

    Decisamente meno frequente è l’impiego del voto di preferenza tra gli elettori della Lega e del Movimento 5 Stelle. Nel primo caso, il valore complessivo dell’IP è uguale a 0,34, con un picco non sorprendente nelle regioni meridionali (IP = 0,46). In occasione delle elezioni parlamentari del 4 marzo 2018, il partito di Salvini ha fatto a meno del riferimento esplicito al Nord, questa novità ha semplicemente preso atto del processo di nazionalizzazione dell’ex partito secessionista e, perciò, non ha causato una crescita dell’insediamento meridionale del partito. Ciò è indirettamente indicato dal fatto che già nel 2017 l’IP medio al Sud era ragguardevole, attestandosi a 0,48.

    Il partito guidato da Di Maio, invece, presenta l’IP più basso in assoluto (IP = 0,27), confermandosi come una forza politica i cui candidati basano la raccolta del consenso non tanto sul rapporto uno-a-molti con i propri elettori, quanto sul riverbero sul livello locale di processi politici che si svolgono a livello nazionale.

    Nel complesso, si nota una conferma dei livelli di utilizzo delle preferenze rispetto al 2017, quando, esattamente come nel 2018, l’indice medio nei capoluoghi inclusi nell’indagine era arrivato a 0,44. Tuttavia, rispetto alla tornata precedente, si registra una crescita piuttosto rilevante nell’uso delle preferenze nei principali partiti italiani. Forza Italia passa da 0,40 a 0,47, il PD da 0,43 a 0,46, la Lega da 0,26 a 0,34 e il Movimento 5 Stelle da 0,21 a 0,27. Il fatto che i partiti più strutturati facciano registrare una crescente rilevanza delle preferenze non dovrebbe lasciare indifferenti tutti coloro che ritengono i partiti l’istituzione fondamentale delle democrazie liberali. Si tratta, infatti, di un fenomeno perfettamente in linea con l’ormai conclamata crisi dell’organizzazione di partito. I partiti strutturati, caratterizzati da un simbolo riconoscibile e da un’organizzazione nazionale, operano all’interno di un sistema partitico destrutturato e affrontano un elettorato molto voltatile, il cui legame con la politica, a maggior ragione in occasione di elezioni locali, è sempre più veicolato dalla relazione personale con i singoli candidati.

    Tutto ciò sembra produrre un circolo vizioso in base al quale i partiti provano a rimediare all’impopolarità attraverso la ricerca di voti personali, accentuando in questo modo quei problemi che, lungi dall’essere risolti, sono semplicemente aggirati.

     

    Riferimenti bibliografici

    Rombi, S. (2016), ‘Tra fattori territoriali e strategia politica: il voto di preferenza alle comunali 2016’, in Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 121-128.

    Rombi, S. (2017), ‘L’uso del voto di preferenza alle elezioni comunali del 2017’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 83-87.

    Shugart, M.S. e Carey, J.M. (1992), President and Assemblies. Constitutional Design and Electoral Dynamics, Cambridge, Cambridge University Press.


    [1] Alla data in cui scriviamo – 16/07/2018 – il sito internet del comune di Massa non risulta del tutto accessibile. In particolare, nonostante le rassicurazioni dell’ufficio elettorale comunale, è impossibile accedere alla sezione dedicata ai risultati delle elezioni.

  • L’uso del voto di preferenza alle elezioni comunali del 2017

    L’uso del voto di preferenza alle elezioni comunali del 2017

    L’odore di ritorno al passato che si sta capillarmente diffondendo nelle stanze della politica italiana sta rafforzando sempre di più una (erronea) convinzione in auge, per la verità, da almeno un decennio: una parte dei mali che assalgono il nostro sistema politico sarebbe risolvibile reintroducendo il voto di preferenza. Se così è, si capisce perché anche in questa occasione abbiamo deciso di fornire una precisa ricognizione sull’utilizzo delle preferenze da parte dell’elettorato italiano.

    Tanto per cominciare, una breve nota di metodo: le analisi che seguono sono svolte a partire dall’Indice di preferenza (IP) il quale, data la possibilità di esprimere due voti di preferenza, si calcola come rapporto tra il numero di preferenze espresse e il doppio dei voti ottenuti dalla lista in esame. IP è compreso tra un minimo di 0 – quando non è espresso nessun voto di preferenza – e un massimo di 1 – quando il numero di preferenze assegnate è uguale al numero di preferenze assegnabili. Sotto il profilo dell’impostazione del lavoro, va anche segnalato che l’analisi è circoscritta ai soli capoluoghi di provincia. Sono state, perciò, esaminate le elezioni comunali di 24 città: tutti i capoluoghi, ad eccezione di Trapani dove le elezioni avevano un solo candidato a sindaco e sono state annullate a causa del mancato raggiungimento del quorum dei partecipanti. In particolare, l’analisi comprende: dodici città settentrionali (Alessandria, Asti, Belluno, Como, Cuneo, Genova, Gorizia, La Spezia, Lodi, Monza, Padova, Verona); quattro città della Zona Rossa (Lucca, Parma, Piacenza, Pistoia); otto città meridionali-insulari (Catanzaro, Frosinone, L’Aquila, Lecce, Oristano, Palermo, Rieti, Taranto).

    Al di là dei profili metodologici, quel che emerge dall’analisi non è affatto sorprendente e rispecchia abbastanza fedelmente ciò che tutte le indagini precedenti sul tema hanno ampiamente stabilito (De Luca 2001; Rombi 2014; 2015; 2016): il voto di preferenza è diffuso più nel meridione che nelle altre aree del paese.

    Fig. 1 Indice di preferenza (IP) medio a livello regionalepref1Mediamente, nelle regioni meridionali IP è uguale a 0,57: un dato significativamente più elevato rispetto allo 0,36 fatto registrare nelle cinque regioni settentrionali e allo 0,29 medio delle regioni centrali. In particolare, la Calabria e l’Emilia-Romagna rappresentano i due casi estremi, con un IP pari rispettivamente a 0,64 e 0,24. Il valore calabrese è frutto della sola città di Catanzaro, mentre quello emiliano-romagnolo deriva dalla media dei valori registrati a Piacenza (IP = 0,27) e Parma (IP = 0,20). Proprio Parma è la città con l’indice di preferenza più contenuto, subito dopo Genova (IP = 0,16). Considerate le tredici regioni oggetto di analisi, le sei meridionali occupano le prime sette posizioni, accompagnate dal Friuli Venezia-Giulia (IP = 0,57) il quale, piuttosto sorprendentemente, è la quarta regione con l’indice di preferenza più elevato.

    Se dal livello regionale scendiamo a quello cittadino, notiamo come le cinque città con l’IP più alto siano tutte meridionali-insulari: Catanzaro (IP = 0,64), Frosinone (IP = 0,63), Rieti (IP = 0,60), Lecce (IP = 0,60) e L’Aquila (IP = 0,60). Oltre che dalla collocazione geografica delle città – alla quale sono collegate pratiche politiche consolidate –, l’uso delle preferenze è influenzato anche dalle loro dimensioni. Come già osservato in altre occasioni (Rombi 2016): l’ampiezza demografica è inversamente proporzionale all’indice di preferenza. Più esattamente, nelle città con una popolazione inferiore ai 100.000 abitanti l’IP medio è uguale a 0,45, un valore largamente superiore rispetto allo 0,30 fatto segnare sia dalle città con un numero di abitanti compreso tra 100.000 e 200.000 sia da quelle con una popolazione superiore ai 200.000 abitanti.

    Fig. 2 Indice di preferenza (IP) dei principali partiti italianipref2La distribuzione geografica del voto di preferenza è ormai un dato costante della politica italiana, vale perciò la pena domandarsi anche in quali forze politiche la pratica delle preferenze sia maggiormente diffusa. La risposta a questa domanda, infatti, non ha solo una mera funzione informativa, ma è anche in grado di dirci qualcosa sull’organizzazione dei diversi partiti. Da questo punto di vista, la Figura 2 è certamente interessante. Come si vede sono state prese in esame le quattro forze principali del nostro sistema partitico: Partito Democratico (PD), Movimento 5 Stelle (M5S), Forza Italia (FI) e Lega Nord (LN). Se si esclude il sempre più frastagliato e incomprensibile mondo centrista, il PD – che quel mondo sta pervicacemente provando ad occupare – è da qualche tempo il partito nel quale più largo è l’uso del voto di preferenza, delineando una organizzazione capillare e, soprattutto al sud, sempre più legate ai campioni delle preferenze locali. Un fenomeno analogo riguarda Forza Italia. Tuttavia, a differenza del PD, il partito di Berlusconi presenta maggiori difficoltà a far scattare il meccanismo delle preferenze nelle regioni centrali. In Toscana e Emilia-Romagna, infatti, i democratici hanno un IP medio uguale a 0,38, mentre FI si ferma 0,24, esattamente come la Lega Nord. Questa differenza ha come conseguenza che l’IP complessivo del PD è pari a 0,43, mentre quello di Forza Italia si ferma a 0,40.

    Decisamente più staccati, troviamo il partito di Salvini e quello di Grillo. Lega e M5S hanno un indice di preferenza complessivo pari rispettivamente a 0,26 e 0,21, con un prevedibile picco al Sud. Si tratta di valori che delineano un profilo organizzativo assai diverso rispetto a PD e FI. Anche a livello locale, infatti, sia la LN sia il M5S presentano una modalità di raccolta del consenso centrata più sulla leadership e sull’immagine nazionale del partito che sulla rete fatta di amministratori e candidati in grado di mobilitare porzioni importanti di elettorato.

    Tab. 1 – Indice di preferenza (IP) nelle città con più di 150.000 abitantipref3L’analisi complessiva dell’utilizzo del voto di preferenza tra gli elettori dei principali partiti italiani ha dimostrato come il PD sia, da questo punto di vista, il partito da battere. Potrebbe essere di una qualche rilevanza un approfondimento dedicato alle competizioni elettorali delle maggiori città italiane, individuate in base al numero di abitanti. Considerando le sei città al voto con più di 150.000 abitanti, la Tabella 1 mostra come il variegato universo centrista abbia l’IP medio più elevato (IP = 0,45). Tuttavia, bisogna tenere presente che solo a Palermo e Taranto si sono presentati partiti di centro non travestiti da liste civiche, peraltro con risultati elettorali assai modesti[1]. Si tratta, perciò, di forze tutto sommato trascurabili.

    Dietro i centristi si colloca il Partito Democratico con un IP medio pari a 0,38. Il partito di Renzi è anche la forza con l’indice di preferenza più elevato in tre città su sei: Palermo (IP = 0,56), Taranto (IP = 0,52) e Parma (IP = 0,40). A Genova questo record è appannaggio delle compagini costituite dai fuoriusciti del PD (IP = 0,28), mentre a Padova e Verona sono stati gli elettori di Fratelli d’Italia a fare l’uso più largo del voto di preferenza, con un IP pari, rispettivamente, a 0,45 e 0,36.

    Anche solo rispetto alla tornata amministrativa del 2016, queste elezioni hanno mostrato due tendenze inequivocabili. Innanzitutto, almeno a livello locale, il voto di preferenza è sempre più utilizzato dagli elettori. Basti pensare che nel 2016 l’IP medio nei capoluoghi considerati era uguale a 0,39, in questa tornata invece è arrivato a 0,44. In secondo luogo, si deve constatare come il partito che governa il paese, in varie forme, dal 2011 – il PD – sia sempre più fondato sul binomio macro- e micro-personalizzazione, il quale si traduce in un crescente utilizzo del voto di preferenza, soprattutto in aree del paese tradizionalmente meno inclini a votare per i singoli candidati al consiglio comunale.

     

    Riferimenti bibliografici

    De Luca, R. (2001), ‘Il ritorno dei “campioni delle preferenze” nelle elezioni regionali’, Polis, vol. 12 (2), pp. 227-248.

    Rombi, S. (2014), ‘Il voto di preferenza: tra meridione, neo-democristiani e intellettuali’, in L. De Sio, V. Emanuele e N. Maggini (a cura di), Le Elezioni Europee 2014, Dossier CISE (6), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 153-157. /cise/wp-content/uploads/2014/07/DCISE6_153-158.pdf

    Rombi, S. (2015), ‘Il voto di preferenza nelle sette regioni’, in A. Paparo e M. Cataldi (a cura di), Dopo la luna di miele: Le elezioni comunali e regionali fra 2014 e 2015, Dossier CISE (7), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 241-245. /cise/wp-content/uploads/2015/09/DCISE7_4-4.pdf

    Rombi, S. (2016), ‘Tra fattori territoriali e strategia politica: il voto di preferenza alle comunali 2016’, in V. Emanuele, N. Maggini e A. Paparo (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE, Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 121-128. /cise/wp-content/uploads/2016/07/DCISE8_121-128.pdf


    [1] A Taranto, in coalizione con il PD, si è presenta la lista di Area Popolare denominato “Taranto Popolare Centristi per Taranto” che ha ottenuto l’1,3% dei voti. A Palermo, invece, Area Popolare e PD hanno presentato una lista comune denominata Democratici e Popolari, mentre il valore corrispondente a “Partiti centristi” è dato dalla media dell’IP ottenuto da Cantiere Popolare (forza centrista che opera prevalentemente in Sicilia) e Palermo Unione di Centro – Liberali – Popolari.

  • Tra fattori territoriali e strategia politica: il voto di preferenza alle comunali 2016

    Tra fattori territoriali e strategia politica: il voto di preferenza alle comunali 2016

    di Stefano Rombi (Università di Cagliari)

    La media logic che innerva l’intero dibattito politico contemporaneo non ha risparmiato le recenti elezioni amministrative italiane e, meno che mai, un ambito che in verità dovrebbe guardare molto semplicemente ai numeri. Così, i media, tradizionali e non, hanno finora discusso del voto di preferenza con la telecamera puntata sulle performance di candidati più o meno celebri: dall’ex soubrette Simona Tagli al nipote del celeberrimo Aldo Biscardi. Per quanto divertente e sicuramente in grado di catturare l’attenzione del pubblico, questo genere di trattazione non aiuta in alcun modo a comprendere le dimensioni e la distribuzione del voto di preferenza. Questo breve articolo proverà a colmare questa lacuna.

    Tanto per cominciare, in base alla legge 215 approvata nel novembre del 2012, nei comuni con più di 5000 abitanti l’elettore può esprimere fino a due preferenze, a condizione che siano attribuite a candidati di genere diverso, pena la nullità della seconda preferenza. Il passaggio dalla preferenza unica alla doppia preferenza di genere – applicata a livello comunale per la prima volta nel 2013 – incide sulla procedura di calcolo dell’indice di preferenza (IP). Esattamente come per le elezioni europee (Rombi 2014), IP è dato dal rapporto tra il numero di voti di preferenza effettivamente espressi e il numero di voti di preferenza potenzialmente esprimibili. Data la previsione delle due preferenze, il denominatore non può che corrispondere al doppio dei voti validi. Ovviamente, l’indice varia tra un minimo di 0 – nessun voto di preferenza – e un massimo di 1 – tutti gli elettori hanno utilizzato le due preferenze a disposizione.

    Prima di addentrarci nell’analisi dei dati, è opportuno chiarire che l’indagine include tutti i comuni capoluogo, con la sola eccezione di Villacidro, situato nella provincia sarda del Medio Campidano, escluso a causa di una popolazione inferiore ai 15.000 abitanti. Nel complesso, quindi, saranno considerati 24 comuni: sette settentrionali (Milano, Torino, Trieste, Novara, Varese, Savona e Pordenone); quattro collocati nell’Italia centrale (Bologna, Ravenna, Rimini e Grosseto); 13 meridionali e insulari (Roma, Napoli, Cagliari, Salerno, Latina, Brindisi, Caserta, Cosenza, Crotone, Benevento, Olbia, Carbonia e Isernia).

    Data l’articolazione dell’offerta elettorale, è importante chiarire che tutte le elaborazioni discusse in questo articolo escludono le liste civiche, ad eccezione dei casi in cui siano esplicitamente espressione di partiti politici. Da questo punto di vista, il Partito Democratico (PD), il Movimento 5 Stelle (M5S), la Lega Nord (LN), Forza Italia (FI) e Fratelli d’Italia (FDI) non pongono particolari problemi. Più complessa è la situazione relativa ai partiti centristi e a quelli della sinsitra cosiddetta radicale. Raramente, infatti, le forze politiche appartenenti a queste aree politiche si sono presentate con i loro simboli ufficiali, viceversa hanno spessissimo preferito collocare propri candidati all’interno di liste formalmente civiche. Talvolta, come nel caso del Nuovo Centro Destra (NCD) e di Scelta Civica (SC), si è trattatato di liste civiche diffuse in gran parte del territorio nazionale, talaltra  loro presenza è stata limitata al livello locale.

    Chiarite le questioni di metodo, il primo fattore da mettere in luce riguarda la distribuzione territoriale del voto di preferenza. Nonostante gli epocali mutamenti che da molti anni stanno interessando la politica italiana (e non solo), vi è un elemento capace di opporsi strenuamente a qualunque cambiamento significativo: la natura tipicamente meridionale del voto di preferenza (benchè, rispetto al passato, nel resto del paese via sia qualche segnale di crescita). Come testimoniato dall’IP medio, anche in questo caso il Sud rappresenta l’area del paese in cui maggiormente si utilizzano le preferenze (IP = 0,49). Le città meridionali sono seguite da quelle settentrionali (IP = 0,29) e, infine, da quelle centrali (IP = 0,25).

    La Figura 1 ci consente di entrare maggiormente nei dettagli, mostrando la distribuzione dell’indice su base regionale.

    Fig. 1 – IP medio a livello regionale

    Fig. 1 rombi 2016

     

    Come si vede, il Molise (IP = 0,58) e l’Emilia-Romagna (IP = 0,21) costituiscono i due casi estremi. Il Molise è rappresentato dalla sola città di Isernia, mentre il valore dell’Emilia-Romagna deriva dalla media dell’IP registrato a Rimini (0,24), Bologna (0,20) e Ravenna (0,18)[1]. Non sorprendentemente, le prime cinque regioni appartengono tutte all’area meridionale e insulare: oltre al Molise, si notano Calabria, Puglia, Campania e Sardegna. Peraltro, se si considerano le 13 città meridionali, tutte, con la sola eccezione di Napoli, presentano gli indici di preferenza più elevati. Il record appartiene a Benevento (0,68), seguita da Cosenza (0,63) e Caserta (0,60). L’unica regione del Sud con un indice di preferenza medio relativamente contenuto è il Lazio (0,31) che include le città di Latina e Roma. Il valore laziale è fortemente influenzato da quello della capitale, dove l’indice di preferenza (0,17) è il più contenuto tra i capoluoghi esaminati. Oltre a Roma, le altre due città con l’IP più basso sono Torino (0,18) e Ravenna (0,18).

    I valori di Roma e Torino suggeriscono di indagare la possibile relazione tra l’utilizzo del voto di preferenza e la dimensione demografica delle città. A parità di altre condizioni, i crescenti fenomeni di micropersonalizzazione (Calise 2013), associati all’utilizzo del voto di preferenza, sembrano tanto più probabili quanto più le relazioni tra l’elettore e il candidato al consiglio comunale possono assumere la forma del rapporto diretto e personale. Se è così, è chiaro che città di dimensioni ridotte dovrebbero favorire il ricorso al voto di preferenza. In effetti, i dati confermano questa ipotesi. Mediamente, le città con una popolazione inferiore ai 100.000 abitanti presentano un IP pari a 0,50, questo valore scende a 0,37 nei capoluoghi con una popolazione compresa tra i 100.000 e i 200.000 abitanti e, infine, si ferma ad appena 0,23 nei sei centri che superano i 200.000 abitanti (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna e Trieste). Questa tendenza è omogenea lungo l’intero territorio nazionale. Pertanto, sebbene in proporzioni diverse, in tutte le tre aree del paese – Nord, Centro e Sud – il voto di preferenza è tanto più impiegato quanto più la dimensione demografica della città è contenuta.

    Anche in questo caso, dunque, le preferenze si sono rivelate come un fenomeno prevalentemente meridionale e diffuso nelle città piccole o medie. Se questo è il quadro dal punto di vista della distribuzione territoriale, resta da esaminare la diffusione del voto di preferenza tra gli elettori delle diverse forze politiche. Innazitutto vale la pena osservare l’indice di preferenza medio dei diversi partiti su scala nazionale[2]. La Figura 2 è particolarmente utile allo scopo.

    Fig. 2 – IP totale delle diverse forze politiche

    Fig. 2 rombi 2016

     

    Nel complesso, emerge chiaramente come gli elettori dei partiti di centro e del Partito Democratico siano quelli più propensi a servirsi del voto di preferenza. Ma il confronto più interessante, vista la centralità che questi partiti hanno assunto nel sistema partitico, è certamente quello tra lo stesso PD e il Movimento 5 Stelle. Come si vede, se si esclude la poco decifrabile nuvola centrista, il partito guidato da Renzi (Pasquino e Venturino 2014) e quello fondato da Grillo (Corbetta e Gualmini 2013; Lanzone e Rombi 2014) rappresentano i due casi estremi. Nel primo, l’indice di preferenza calcolato su scala nazionale è pari a 0,44 mentre nel secondo si ferma a 0,26. Oltre a questo, c’è un altro dato meno visibile e meno ovvio: democratici e pentastellati sono molto simili nel differenziare le modalità di raccolta del consenso elettorale in base all’area geografica del paese, fenomeno che, in misura diversa, riguarda peraltro tutti i partiti italiani. Più precisamente, per ogni voto di preferenza al Centro-Nord gli elettori meridionali del PD ne esprimono circa due, mentre quelli del M5S addirittura poco più di tre. Insomma, è come se esistessero almeno due PD e, ben più sorprendentemente, due M5S[3].

    Oltreché guardando al dato complessivo, l’analisi dell’utilizzo del voto di preferenza tra le varie forze politiche può essere condotta osservando i dati più significativi a livello cittadino. Sotto questo profilo, vale la pena segnalare come, considerando i 24 capoluoghi esaminati, gli elettori che più hanno fatto ricorso al voto di preferenza sono stati quelli della lista centrista Cosenza Popolare (IP = 0,76), seguiti a stretto giro da quelli del PD di Benevento e Cosenza, con un IP uguale in entrambi i casi a 0,74. Sul fronte opposto, troviamo il M5S. Gli elettori pentastellati a Milano, Roma e Torino hanno fatto segnare i tre indici di preferenza più contenuti in assoluto, mostrando come soprattutto nelle grandi città il voto dei cinque stelle sia quasi completamente slegato dai candidati al consiglio comunale.

    Questi dati suggeriscono di osservare con maggiore profondità l’andamento del voto di preferenza nelle cinque principali città chiamate a rinnovare la propria amministrazione. A questo proposito, le elaborazioni della Tabella 1 sono di un certo interesse.

    Tab. 1 – L’indice di preferenza nelle cinque principali città al voto

    Tab.1 rombi 2016

    Tanto per cominciare, anche considerando solo Bologna, Milano, Napoli, Roma e Torino i partiti centristi continuano a riportare l’IP più elevato (IP = 0,31). Si confermano particolarmente propensi al voto personale anche gli elettori delle compagini collocate a sinistra del PD (Rombi 2015), con un IP uguale a 0,28. Tra queste, si segnalano le tre liste di sinistra presenti a Napoli e, in particolare, il Partito Socialista Italiano – che ha appoggiato Valeria Valente – con un indice di preferenza pari a 0,47. Tutt’altro che trascurabile è stato l’IP fatto registrare dalle due liste di sinistra a sostegno di Luigi de Magistris: Napoli in Comune a Sinistra – che includeva candidati di Sinistra Italiana (SEL inclusa) e Possibile – e Verdi hanno riportato un indice di preferenza pari, rispettivamente, a 0,44 e 0,37.

    Guardando alle singole città emerge, in primo luogo, come i partiti centristi abbiano l’IP più elevato a Bologna, Napoli e Roma, mentre a Milano e Torino questo record spetta, rispettivamente, a Fratelli d’Italia (IP = 0,25) e alla lista Torino in Comune – La Sinistra (IP = 0,31), che sosteneva Giorgio Airaudo. Stabilito che, con la sola eccezione di Bologna, gli elettori del M5S sono quelli che meno ricorrono al voto di preferenza, vale la pena segnalare come nelle grandi città l’elettorato del PD abbia una propensione relativamente meno marcata al voto per i singoli candidati al consiglio comunale. Se, infatti, la Figura 2 segnala che complessivamente gli elettori democratici si classificano secondi per grado di utilizzo del voto personale, la Tabella 1 mostra chiaramente come nelle grandi città siano sempre scavalcati dai sostenitori di altri partiti (solo i pentastellati presentano in tutti i cinque casi un IP più basso dei democratici), e non soltanto da coloro che simpatizzano per le forze centriste.

    Abbiamo già detto della scarsa tendenza degli elettori del M5S ad utilizzare il voto di preferenza. Resta ancora da capire se le percentuali di voto ottenute dal Movimento 5 Stelle siano correlate positivamente o meno con il relativo indice di preferenza. Innanzitutto, va evidenziato come nei 24 capoluoghi sotto indagine il M5S abbia ottenuto, in media, il 15,6% dei voti. Nei comuni in cui la sua prestazione è stata superiore alla media, l’indice di preferenza è pari, mediamente, a 0,19; al contrario, laddove la percentuale di voti è inferiore alla media l’IP è uguale a 0,33. Ciò sembra indicare una relazione inversa tra prestazione elettorale e spinta del Movimento a ottenere voti personali. Si tratta di un dato particolarmente interessante che suggerisce come i pentastellati puntino sui candidati locali solo laddove il loro insediamento elettorale è meno radicato. Peraltro, si tratta di una dinamica comune anche al PD e alla Lega Nord. Questi, dunque, non sono partiti costitutivamente fondati sul voto di preferenza, ma se ne servono quando hanno necessità di sopperire a deficit strutturali della loro organizzazione. Accade l’opposto in Forza Italia, Fratelli d’Italia, nei partiti riconducibili all’area di Sinistra e, in misura straordinariamente superiore rispetto agli altri tre casi, nei partiti centristi.

    Per chiudere questa breve indagine sul voto di preferenza, potrebbe essere utile comprendere se esista un effetto trascinamento del PD sui suoi alleati. Per farlo possiamo agevolmente concentrarci su due aree politiche costituite da partiti e liste caratterizzate da strategie differenziate rispetto al rapporto con il partito del Presidente del Consiglio: i centristi e la sinistra radicale. Insomma, la ricerca di voti personali è effettivamente influenzata dalla loro inclusione nell’alveo del PD?

    Fig. 3 – Indice di preferenza e alleanza con il Partito Democratico

    Fig. 3 rombi 2016

    La Figura 3 sembra suggerire che sì, quando sono alleati con il PD i partiti di centro e quelli che si collocano alla sinistra dei democratici sono indotti a ricercare con maggiore forza il voto di preferenza. Questa propensione vale per entrambe le aree politiche e, soprattutto, presenta una sola, limitata, eccezione sul piano territoriale. Infatti, l’unica area del paese in cui l’IP dei partiti centristi e di sinistra è minore in caso di alleanza con il PD è rappresentata dai capoluoghi settentrionali. Al contrario, sia al Centro sia, soprattutto, al Sud accade il fenomeno opposto.

     

    Riferimenti bibliografici

    Calise, M. (2013), Fuorigioco. La sinistra contro i suoi leader, Laterza, Roma-Bari.

    Corbetta, P. e Gualmini, E. (a cura di) (2013), Il Partito di Grillo, il Mulino, Bologna.

    Lanzone, M.E. e Rombi, S. (2014), Who Did Participate in the Online Primary Elections of the Five Star Movement (M5S) in Italy? Causes, Features and Effects of the Selection Process, “Partecipazione e Conflitto”, vol. 7 (1), pp. 170-191.

    Pasquino, G. e Venturino, F. (a cura di) (2014), Il Partito Democratico secondo Matteo, Bononia University Press, Bologna.

    Rombi, S. (2014), Il voto di preferenza: tra meridione, neo-democristiani e intellettuali, in L. De Sio, V. Emanuele e N. Maggini (a cura di), Dossier CISE n. 6 – Le Elezioni Europee 2014, CISE, Roma, pp. 153-157.

    Rombi, S. (2015), Il voto di preferenza nelle sette regioni, in A. Paparo e M. Cataldi (a cura di), Dopo la luna di miele: Le elezioni comunali e regionali fra 2014 e 2015, CISE, Roma, pp. 241-245.

    [1] L’indice di preferenza di ogni città è dato dalla media degli IP fatti registrare dalle forze politiche in competizione.

    [2] Prima di commentare le elaborazioni, è necessario chiarire la composizione dei gruppi “Partiti centristi” e “Partiti di sinistra”. Le forze che costituiscono l’insieme centrista sono: Alleanza Liberalpopolare-Autonomie (presente a Napoli con il proprio simbolo e a Cosenza nella forma di due liste civiche); Centro Democratico; il Popolo della Famiglia; Italia dei Valori; Nuovo Centrodestra (in dodici occasioni nella forma della lista civica che associa il nome della città all’aggettivo “popolare”); Popolari per l’Italia; Rivoluzione Cristiana; Scelta Civica (in undici occasioni nella forma Cittadini per Bologna, Cagliari, ecc.); Unione di Centro.

    Le liste che compongono il gruppo della sinistra sono: Cosenza in Comune; Crotone Bene Comune; Dipende da Noi; Insieme a Sinistra; Milano in Comune; Napoli in Comune a Sinistra; Partito Comunista d’Italia; Partito Socialista Italiano (Psi); Pordenone in Comune; Ravenna in Comune; Rete a Sinistra; Rimini in Comune Diritti a Sinistra; Rimini People; Sì – Sinistra per Trieste; Sinistra per Milano; Sinistra Ecologia Libertà (SEL); Sinistra per Brindisi; Sinistra per Isernia; Sinistra Unita; Sinistra per Rimini; Sinistra per Roma; Torino in Comune – La Sinistra; Verdi.

    [3] Va precisato che Forza Italia e Lega Nord presentano, come il PD, un rapporto vicino a 1:2 tra le preferenze espresse al Centro-Nord e quelle espresse al Sud. Per ciò che riguarda le altre forze politiche, tale rapporto è uguale a: 1:1,7 per i partiti della sinistra; 1:1,5 per i partiti centristi; 1:1,3 per Fratelli d’Italia.

     

  • Il voto di preferenza alle Regionali 2015

    Il voto di preferenza alle Regionali 2015

    di Stefano Rombi (Università di Cagliari)

    Per quanto possa sembrare dissonante rispetto all’ampio dibattito giornalistico, il voto di preferenza è diffuso in tutte le elezioni del nostro paese. L’Italia, dunque, è il paese del voto di preferenza e le elezioni regionali non fanno eccezione. In tutte le sette competizioni elettorali svoltesi il 31 maggio 2015, agli elettori è stata concessa la possibilità di indicare nella scheda il nome del loro candidato preferito alla carica di consigliere regionale. Tuttavia, mentre in Liguria, Marche, Puglia e Veneto l’elettore ha avuto a disposizione un solo voto di preferenza, in Campania, Toscana e Umbria è stata prevista la cosiddetta doppia preferenza di genere. Una modalità di voto secondo la quale l’elettore può esprimere fino a due preferenze, a patto che i due candidati preferiti siano di genere opposto.

    In generale, la comparazione del voto di preferenza sul piano territoriale e interpartitico è possibile tenendo in considerazione il rapporto tra il numero di voti di preferenza espressi e il numero di voti di preferenza esprimibili. Nel nostro caso, abbiamo elezioni in cui le preferenze esprimibili corrispondono semplicemente al numero di voti validi (Liguria, Marche, Puglia e Veneto). In questi casi, è sufficiente rapportare le preferenze ai voti validi. In Campania, Toscana e Umbria, invece, il denominatore è parzialmente diverso. In queste regioni, infatti, ciascun elettorale ha potuto indicare un massimo di due nomi. Di conseguenza, il numero di preferenze potenziali corrisponde al doppio dei voti validi. Seguendo queste due diverse procedure, otterremo un indice – Indice di preferenza (IP) –, variabile tra un minimo di 0 e un massimo di 1, in grado di rendere comparabile il gioco delle preferenze nelle diverse realtà chiamate alle urne.

    Fig. 1 – Indice di preferenza (IP) nelle 7 regioni al voto

    La Figura 1 indica come l’IP più elevato si sia registrato nelle elezioni regionali pugliesi, dove circa il 71% degli elettori ha espresso un voto di preferenza. Il Veneto, invece, presenta l’indice più contenuto, pari a 0,31. Se, in termini comparati, il dato di una regione settentrionale come il Veneto non sorprende, ciò che stupisce è il dato relativamente contenuto della Campania, una regione che mostra tradizionalmente un uso ben più consistente delle preferenze. I casi sono due: o la Campania ha improvvisamente mutato le tendenze di fondo del proprio comportamento elettorale oppure il problema sta nella misurazione. Propendiamo, naturalmente, per la seconda ipotesi. Con ogni probabilità, per quanto metodologicamente corretta, la soluzione adottata nella costruzione della Figura 1 potrebbe aver sottostimato l’IP delle regioni caratterizzata dalla doppia preferenza (Campania, Toscana e Umbria). Per aggirare questo inconveniente e produrre una fotografia più realistica, la Figura 2 presenta una comparazione basata sugli scarti dall’IP medio. In primo luogo, la procedura seguita ha previsto il calcolo di due medie, una riguardante le regioni con preferenza unica, l’altra relativa alle regioni con la doppia preferenza. In secondo luogo, lo scarto di ogni regione è stato calcolato in base alla media del gruppo di appartenenza. Ciò sembra assicurare adeguatamente la comparabilità dei sette casi.

    Fig. 2 – Indice di preferenza nelle 7 regioni al voto. Scarti dalla media

    Come si vede, le uniche due regioni in cui l’indice di preferenza è più alto della media sono la Puglia (+0,25) e la Campania (+0,08). Più in generale, il grafico dà conto di un’interessante, ma tutt’altro che nuova, tendenza: l’utilizzo del voto di preferenza diminuisce via via che ci si dirige verso il settentrione del paese. In Liguria e Veneto, infatti, gli elettori esprimono un voto di preferenza in misura inferiore rispetto alla media. In particolare, lo scarto tra i rispettivi IP e l’IP medio sia pari a -0,08 nel caso ligure e a -0,15 in quello veneto.

    Se l’analisi territoriale del voto di preferenza restituisce uno scenario piuttosto prevedibile, resta da comprendente come gli elettori delle diverse forze politiche abbiano impiegato questo particolare tipo di voto. Preliminarmente, va chiarito che per ragioni di spazio abbiamo deciso di considerare soltanto i partiti di carattere nazionale, escludendo dunque tutte le liste civiche e tutte le compagini di tipo regionale. Più esattamente, abbiamo preso in esame sette partiti: Fratelli d’Italia (FdI), Forza Italia (FI), Lega Nord (LN), Movimento 5 Stelle (M5S), Nuovo Centro Destra (NCD), Partito Democratico (PD) e Sinistra Ecologia Libertà (SEL).

    Tanto per cominciare, la Tabella 1 fornisce un’informazione molto importante: l’IP medio per partito. Osservando l’ultima colonna, è facile notare come il NCD – nelle sue variegate sembianze – sia la forza politica con l’indice di preferenza medio più elevato (0,62). All’estremo opposto troviamo il partito di Grillo (Lanzone e Rombi 2014), con un indice medio pari a 0,25. Peraltro, il valore del M5S è del tutto simile a quello fatto registrare dalla Lega Nord (0,27). Ciò mostra come i due partiti più decisamente avversi all’attuale assetto del sistema politico italiano siano anche quelli meno legati ad un tipo di consenso basato sulla relazione personale candidato-elettore. Nel loro caso, il germe della micro-personalizzazione (Calise 2013), insinuatosi in molte forze politiche, non sembra ricoprire un ruolo così rilevante.

    Tab. 1- Indice di preferenza per partito nelle sette elezioni regionali


    Se guardiamo a quanto accaduto nelle singole competizioni regionali, emerge innanzitutto come il NCD abbia, generalmente, l’IP più elevato. Le uniche eccezioni riguardano la Puglia e l’Umbria. Il partito di Alfano ha raggiunto il suo picco massimo nelle elezioni liguri dove, sebbene all’interno della lista Area Popolare (NCD e UDC), ha fatto segnare un IP pari 0,82. Alle elezioni pugliesi e umbre è stata SEL (presente all’interno di due liste di sinistra comprensive anche di altre forze minori) a far segnare l’indice di preferenza più consistente: 0,93 nel primo caso e 0,43 nel secondo. L’IP registrato in Puglia dal partito di Vendola, peraltro, è il più elevato in assoluto, il che è piuttosto coerente con quanto accaduto alle elezioni europee, quando gli elettori de L’Altra Europa con Tsipras furono tra i più assidui utilizzatori del voto di preferenza (Rombi 2014). Al contrario, in tutte le regioni, ad eccezione di Marche e Toscana, è stato il Movimento 5 Stelle a presentare l’IP più contenuto, con un minimo pari 0,17 toccato alle elezioni umbre. Nella competizione marchigiana e in quella toscana sono stati i leghisti ad utilizzare in misura minore il voto di preferenza. Nel primo caso, la Lega Nord ha fatto registrare un indice pari a 0,16 (il più basso in assoluto), mentre nel secondo caso il suo IP è stato uguale a 0,24.

    Per chiudere, è opportuno osservare più da vicino il comportamento degli elettori del partito del capo del governo, da un lato, e del partito di Berlusconi, dall’altro. Il PD e Forza Italia mostrano un IP medio pari, rispettivamente, a 0,46 e 0,45. Almeno sotto il profilo quantitativo, dunque, i loro elettorati sembrano comportarsi in maniera analoga. Questa tendenza, peraltro, era già emersa durante le scorse elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo. Guardando ai dati in maniera disaggregata, si nota come tra gli elettori democratici l’utilizzo del voto di preferenza si sia rivelato massiccio soprattutto nelle elezioni pugliesi, dove l’IP è arrivato ad un ragguardevole 0,75: 3 elettori su 4 hanno espresso una preferenza. Anche nelle file di FI sono stati i pugliesi a utilizzare maggiormente le preferenze ma, in questo caso, l’indice è più contenuto e si attesta a 0,64.

    In definitiva, il voto di preferenza è stato, come sempre, un fenomeno in prevalenza meridionale (Scaramozzino 1979; De Luca 2001), benché anche nelle regioni centro-settentrionali stia raggiungendo quote significative. Va aggiunto, poi, che questi dati sembrano sfatare un radicato luogo comune, secondo il quale le preferenze sarebbero soprattutto appannaggio di candidati presenti nelle liste di partiti centristi, neo-centristi o, in ogni caso, di matrice democristiana. Bene, a conferma di una tendenza già presente alle Europee 2014, il voto di preferenza è moltissimo impiegato anche dagli elettori delle forze politiche che si pongono alla sinistra del Partito Democratico. Le interpretazioni, a questo punto, potrebbero sprecarsi. In questa sede, però, vogliamo limitarci a far parlare i dati. Ciascuno potrà proporre le proprie spiegazioni.

     

    Riferimenti bibliografici

    Scaramozzino, P. (1979), Un’analisi statistica del voto di preferenza in Italia, Giuffrè, Milano.

    De Luca, R. (2001), Il ritorno dei “campioni delle preferenze” nelle elezioni regionali, “Polis”, vol. 15 (2), pp. 227-245.

    Rombi, S. (2014), Il voto di preferenza: tra meridione, neo-democristiani e intellettuali, in L. De Sio, V. Emanuele e N. Maggini (a cura di), Dossier CISE n. 6 – Le Elezioni Europee 2014, CISE, Roma, pp. 153-157.

    Calise, M. (2013), Fuorigioco. La sinistra contro i suoi leader, Laterza, Roma-Bari.

    Lanzone, M.E. e Rombi, S. (2014), Who Did Participate in the Online Primary Elections of the Five Star Movement (M5S) in Italy? Causes, Features and Effects of the Selection Process, “Partecipazione e Conflitto”, vol. 7 (1), pp. 170-191.

  • Il voto di preferenza: tra meridione, neo-democristiani e intellettuali

    di Stefano Rombi

     Sono passati quasi nove anni dall’approvazione della legge Calderoli. Da allora il voto di preferenza è oggetto di pensosi e più o meno appassionanti dibattiti. La politica sembra dividersi tra chi lo ritiene l’unico baluardo a difesa della democraticità di un sistema elettorale e chi, viceversa, è convinto che si tratti soprattutto della fonte principale del voto di scambio. Senza entrare in questa ormai sterile discussione, possiamo sfruttare l’opportunità offerta dalle elezioni europee per esaminare più da vicino le dimensioni e la distribuzione di questo particolare tipo di voto.

    La legge elettorale per le elezioni europee risale al 1979. Tuttavia, il 22 aprile di quest’anno l’articolo 14 è stato modificato secondo la seguente formulazione: “L’elettore può esprimere fino a tre preferenze. Nel caso di più preferenze espresse, queste devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda e della terza preferenza”. In altre parole, la legge elettorale ha conservato la preferenza plurima, prevista fin dalla prima stesura, ma ha introdotto l’elemento dell’alternanza dei sessi a tutela del principio della parità di genere.

    Alle elezioni europee, dunque, ciascun elettore ha la possibilità di esprimere fino a tre voti di preferenza. Naturalmente, questa previsione produce conseguenze rilevanti anche sull’analisi del voto. (https://driventheatre.com) Infatti, la necessità di comparare il numero di preferenze espresse tanto sul piano territoriale quanto su quello inter-partitico richiede l’impiego di un indice neutro. In generale, si tratta di mettere in rapporto il numero di preferenze effettivamente espresse, con il numero di preferenze potenzialmente esprimibili. Ovviamente, in caso di preferenza unica la soluzione migliore consiste nel rapportare il numero di preferenze assegnate in un certo territorio con i voti validi. Quando, come nel nostro caso, sono ammessi più voti di preferenza, il calcolo dell’indice è parzialmente diverso. In particolare, se il numeratore rimane invariato, il denominatore cambia ed è dato dal prodotto tra i voti validi e il numero di preferenze ammesse. Naturalmente, l’indice varia tra un minimo di 0 – nessuna preferenza – e un massimo di 1 – tutti gli elettori hanno utilizzato le tre preferenze a disposizione.

    Ciò chiarito, in questo paragrafo intendiamo: primo, esaminare l’andamento dell’indice di preferenza (IP) su base regionale; secondo, discutere il peso di IP all’interno di ciascun partito, differenziando l’analisi tra le cinque circoscrizioni elettorali.

    Tabella 1. L’indice di preferenza nelle regioni italiane.
    Circoscrizione Regione

    Preferenze

    IP

    Meridionale Basilicata

    209.628

    0,29

    Insulare Sicilia

    1.419.955

    0,28

    Meridionale Calabria

    622.586

    0,28

    Meridionale Campania

    1.708.568

    0,25

    Meridionale Puglia

    1.126.682

    0,23

    Insulare Sardegna

    372.352

    0,22

    Centrale Lazio

    1.648.897

    0,22

    Nord-Orientale Trentino-Alto Adige

    242.858

    0,20

    Nord-Occidentale Valle d’Aosta

    26.238

    0,19

    Meridionale Molise

    77.320

    0,17

    Nord-Orientale Friuli-Venezia Giulia

    240.248

    0,14

    Nord-Orientale Veneto

    992.579

    0,14

    Nord-Occidentale Liguria

    300.125

    0,13

    Centrale Umbria

    153.041

    0,11

    Nord-Occidentale Lombardia

    1.608.801

    0,11

    Meridionale Abruzzo

    198.423

    0,10

    Centrale Marche

    229.693

    0,10

    Centrale Emilia Romagna

    566.616

    0,08

    Centrale Toscana

    452.194

    0,08

    Nord-Occidentale Piemonte

    518.745

    0,08

    Italia Italia

    12.715.549

    0,15

    Fonte: nostra elaborazione sui dati ufficiali

    Nota: le diverse tonalità di grigio indicano l’appartenenza a diversi quartili.

    Tanto per cominciare, la Tabella 1 illustra l’andamento di IP tra le 20 regioni italiane. Come si vede, la Basilicata – l’unica enclave storica della sinistra nel Mezzogiorno – fa registrare un indice molto elevato (0,29): circa il doppio del dato complessivo. Viceversa, Piemonte, Toscana e Emilia-Romagna presentano l’indice di preferenza più contenuto (0,08): circa la metà del dato relativo al livello nazionale, pari a 0,15. Non sorprende che quattro delle cinque regioni collocate nel primo quartile rientrino nella circoscrizione meridionale e una, la Sicilia, appartenga a quella insulare. Come accade ogni volta che le preferenze sono consentite, il Sud (insieme alle isole) ne fa un uso assai più esteso rispetto al resto del Paese. Potrebbe, invece, suscitare qualche punto interrogativo il valore molto contenuto fatto segnare da IP in Abruzzo (0,10). La regione del Gran Sasso, infatti, pur vicina geograficamente alle regioni centrali è, da un punto di vista politico, del tutto affine al resto del Meridione. Come si spiega allora un così limitato ricorso al voto di preferenza? Probabilmente ha giocato un ruolo importante la concomitanza tra elezioni europee e elezioni regionali, una doppia incombenza che potrebbe aver disincentivato l’utilizzo della preferenza; la quale, com’è noto, non è necessaria ad assicurare la validità del voto. Questa ipotesi sembra trovare conferma dal dato piemontese. Esattamente come in Abruzzo, infatti, anche in Piemonte si è votato per il rinnovo dei vertici regionali. E, come vediamo, in questa regione l’indice di preferenza è il più basso in assoluto.

    Tabella 2. L’indice di preferenza dei partiti nelle diverse circoscrizioni.
    Partito

    IP

    Nord Ovest

    IP

    Nord Est

    IP

    Centro

    IP

    Sud

    IP

    Isole

    IP

    Italia

    Ncd-Udc

    0,19

    0,16

    0,27

    0,31

    0,40

    0,27

    Lista Tsipras

    0,22

    0,17

    0,22

    0,31

    0,34

    0,24

    Svp

    0,24

    0,24

    FdI-An

    0,16

    0,17

    0,22

    0,37

    0,33

    0,24

    Scelta Europea

    0,10

    0,15

    0,18

    0,26

    0,24

    0,18

    Lega Nord

    0,15

    0,19

    0,14

    0,17

    0,23

    0,16

    Fi

    0,11

    0,09

    0,16

    0,24

    0,21

    0,16

    Pd

    0,09

    0,12

    0,15

    0,25

    0,29

    0,16

    Idv

    0,03

    0,06

    0,06

    0,18

    0,25

    0,11

    M5s

    0,05

    0,06

    0,08

    0,13

    0,21

    0,10

    Verdi

    0,05

    0,07

    0,08

    0,19

    0,18

    0,09

    Io Cambio – Maie

    0,03

    0,06

    0,07

    0,06

    0,09

    0,06

    Totale

    0,10

    0,12

    0,15

    0,23

    0,26

    0,15

    Fonte: nostra elaborazione.

    Nota: l’indice è calcolato considerando anche i voti espressi all’estero.

    Stabilito che il panorama illuminato dall’analisi territoriale del voto di preferenza ricalca tendenze ormai consolidate, possiamo ora osservare come esso si distribuisca tra le diverse forze politiche. Innanzitutto, se cominciamo dall’ultima colonna della Tabella 2, notiamo come alcuni partiti riportino un IP superiore al dato nazionale, mentre altri facciano registrare un indice inferiore. Il primo gruppo comprende liste quali: Ncd-Udc, Lista Tsipras, Svp, Fratelli d’Italia, Scelta Europea, Lega Nord e, infine, Forza Italia e Pd. Il secondo gruppo, oltre a tre partiti minori (Idv, Verdi, Io Cambio), comprende il M5s.

    La Tabella 2 mostra chiaramente come gli elettori maggiormente propensi ad utilizzare il voto di preferenza siano quelli del Ncd-Udc. Come si vede, il valore di IP è significativamente superiore a tutti gli altri, attestandosi a 0,27. Si tratta di un valore certamente ragguardevole e significativamente più elevato rispetto allo 0,24 della Lista Tsipras, seconda classificata nel nostro ranking. I due partiti maggiori del primo gruppo – Pd e Forza Italia – ottengono un indice di preferenza relativamente contenuto (0,16) e molto vicino al dato nazionale. Prima di guardare all’andamento di IP nelle diverse circoscrizioni, vale la pena segnalare il dato del M5s. Il partito di Grillo fa segnare uno degli indici di preferenza più bassi (0,10), tanto che solo il dato dei Verdi e della lista Io Cambio ha dimensioni inferiori (rispettivamente, 0,09 e 0,06). Si tratta di un valore tutt’altro che sorprendente. Il partito del comico genovese, infatti, da un lato ha una organizzazione territoriale poco radicata e, dall’altro, ha presentato candidati del tutto sconosciuti agli elettori che, peraltro, hanno avuto poche e marginali occasioni di proporsi all’elettorato durante la campagna.

    Scendendo al livello delle singole circoscrizioni, emerge come l’IP della lista di Alfano (e Casini) sia risultato il più elevato in tre macro-aree su cinque: Centro (0,27), Sud (0,31) e Isole (0,40). Naturalmente, sappiamo che la circoscrizione meridionale e quella insulare hanno mostrato, come sempre, una propensione relativamente maggiore nel ricorso al voto di preferenza. Tuttavia, date le sue proporzioni, vale comunque la pena rimarcare il peso del voto di preferenza al Ncd-Udc in questi territori: al Sud questo partito neo-democristiano ha conseguito circa 1/3 delle proprie preferenze, pari a 355.852; nelle due isole il numero di preferenze è minore in termini assoluti (203.856), ma addirittura superiore in termini relativi.  Se il dato del Ncd-Udc è perfettamente in linea con le aspettative, l’indice della Lista Tsipras sembra più consistente di quanto ci si sarebbe potuto attendere. Soprattutto se si considera che nel Nord-Ovest la lista guidata da personaggi come Barbara Spinelli e Moni Ovadia ha riportato l’indice di preferenza più elevato (0,22). Nel Nord-Est, inoltre, se si esclude il dato della Svp, il suo IP è secondo solo a quello della Lega Nord e si attesta a 0,17. Oltreché in ragione della capacità di attirare consensi da parte dei candidati più conosciuti, il dato della Lista Tsipras potrebbe essere spiegato dalla sua composizione. Com’è noto, infatti, essa è costituita da diversi partiti della sinistra tra i quali, soprattutto: Sinistra Ecologia e Libertà e Rifondazione Comunista. È probabile che, esattamente come accadeva tra le correnti dei partiti della Prima Repubblica, le preferenze multiple abbiano incentivato accordi di scambio reciproco tra le forze coalizzate al fine di favorire specifici candidati.

    Da ultimo, è interessante notare come il Pd, dominatore di queste elezioni, riporti una considerevole variabilità nel comportamento del proprio elettorato. Più esattamente, la differenza tra il dato della circoscrizione in cui IP è più consistente (Insulare) e il dato della circoscrizioni in cui è più contenuto (Nord-Occidentale) è molto significativa (0,20). In assoluto, è inferiore solo a quello di Idv (0,22), Ncd-Udc (0,21) e Lista Tsipras (0,21). Inoltre, è molto superiore rispetto agli altri due partiti rilevanti della competizione: M5s (0,16) e Forza Italia (0,12). Nel caso dei democratici, dunque, se al Nord la macro-personalizzazione ha guidato il successo del partito, al Sud e nelle isole Renzi non è sufficiente e la micro-personalizzazione continua a giocare un ruolo essenziale.