di Vincenzo Emanuele
Uno dei dati che emerge con maggiore chiarezza dalle prime analisi del voto amministrativo di domenica e lunedì è lo sfarinamento del sistema partitico italiano. Nella Tabella e nei grafici seguenti abbiamo calcolato gli indici di bipartitismo e bipolarismo nei 26 comuni capoluogo in cui si è votato e li abbiamo messi a confronto con gli stessi valori degli indici nelle precedenti comunali. Per indice di bipolarismo intendiamo la somma dei voti maggioritari dei due candidati sindaci che hanno ottenuto più voti in ogni città, mentre l’indice di bipartitismo si riferisce alla somma dei voti ottenuti dalle due liste con i maggiori consensi. I valori di questi indicatori ci forniscono alcuni dati precisi per valutare la tenuta dei blocchi e delle principali opzioni partitiche nel nostro paese. Il boom di Grillo, l’enorme numero di liste civiche, la presenza di candidati del Terzo Polo e il crollo del Pdl hanno differenziano fortemente questa elezione dalla precedente tornata comunale che, per la stragrande maggioranza dei comuni (24 su 26, con le uniche eccezioni di Brindisi e Catanzaro che votarono rispettivamente nel 2009 e nel 2011) si è svolta nel 2007, cioè in una situazione di grande stabilità e quasi perfetto bipolarismo (si trattava dell’anno successivo alle politiche 2006, quelle del confronto tra le due maxi-coalizioni dell’Unione della Casa delle Libertà). I numeri sono eloquenti: i primi due candidati sindaco sommavano l’87,6% dei voti nel 2007 mentre oggi totalizzano appena il 69,3%. Si tratta di una perdita di oltre 18 punti percentuali che, disaggregata per zona geografica, rivela ulteriori elementi interessanti. Mentre al Sud la maggiore tenuta del centrodestra e la più ridotta consistenza dei grillini (la lista del Movimento 5 Stelle è presente solo in metà dei comuni meridionali) attenuano il calo rispetto al 2007 limitandolo a 11,5 punti (con perdite minime a Catanzaro e a Lecce, che si attestano entrambe su valori di bipolarismo superiori al 90%), nella Zona rossa (-19 punti) e soprattutto al Nord (-26,2 punti) il dato è eclatante. Nelle 10 città settentrionali cinque anni fa oltre 9 elettori su 10 convergevano sui due maggiori candidati sindaco, oggi meno di due su tre si comportano allo stesso modo, mentre oltre un terzo sceglie di rivolgersi a candidati “minori”. A Como e a Belluno l’indice è addirittura inferiore al 50%. (bottomlineequipment.com) Su questo dato eccezionale incide certamente anche la divisione tra Pdl e Lega che ovunque tranne che a Gorizia si sono presentate separatamente.
Sebbene con differenze meno marcate, anche l’indice di bipartitismo testimonia lo stato di crescente polverizzazione dei partiti italiani. La somma delle prime due liste nei 26 comuni capoluogo è in media del 34%, in calo di 6,3 punti rispetto alle ultime comunali. Questo dato, già di per sé significativo, acquisisce ancor più importanza se pensiamo che nel 2007 Pd e Pdl non esistevano ancora e al loro posto c’erano Forza Italia, An, i Ds e la Margherita, tutti partiti di medie dimensioni. Ebbene, oggi siamo tornati ad un livello di concentrazione del voto verso i due maggiori partiti molto più basso perfino rispetto all’epoca precedente alla formazione di Pd e Pdl. Non solo, ma se aggiungiamo il fatto che molto spesso le due liste che arrivano prime non sono quelle di Bersani e Alfano ecco che il quadro di vorticosa atomizzazione si fa sempre più chiaro. Come per l’indice di bipolarismo, si conferma la maggiore tenuta del bipartitismo in termini relativi al Sud (-4,2, ma con crescite rispetto al 2007 a Taranto, Trani, Lecce, e l’Aquila) rispetto al Nord (-9 punti, con il picco di -21 punti a Genova). In termini assoluti però è la Zona rossa l’area del paese che fa segnare i valori di bipartitismo più alti, grazie alla sostanziale tenuta del Pd nella sua storica area di forza: nelle quattro città tosco-emiliane le due liste più votate considerate insieme cumulano il 45,1% dei voti, con la crescita di Piacenza (+7 punti) che controbilancia il crollo dell’indice a Parma (-23 punti). Il Nord con il 35,9% è di poco superiore alla media nazionale, ma al suo interno presenta un’ampia variabilità (si passa dal 52,2% di Verona al 18,5% di Cuneo) mentre il Sud (28,6%) si conferma l’area con la più alta frammentazione del paese: con l’eccezione di Trani, tutte le altre 11 città mostrano valori dell’indice inferiori al 30% con Palermo addirittura al 18,5% ( e il primo partito appena al 10,3%, dato ancor più clamoroso se pensiamo che si tratta di poco più del doppio della soglia di sbarramento del 5% vigente in Sicilia per tutte le liste).