di Claudia Zucca
La rubrica “il CISE ospita” è dedicata ad analisi che riceviamo da studiosi esterni al CISE, e che contribuiscono ad arricchire le nostre riflessioni.
Claudia Zucca (1984) si è laureata in ‘Scienze dell’Organizzazione e del Governo’ presso l’Università degli studi di Bologna, con una tesi di laurea dal titolo “La selezione dei candidati nelle elezioni irlandesi: 1997-2007”, dopo aver effettuato un anno di studio alla University College of Cork. Ha in seguito conseguito un Master of Science alla Kingston University (London) in ‘Political Communication Advocacy and Campaigning’ ed attualmente frequenta il Master of Arts in ‘Parlamento e Politiche Pubbliche’ alla LUISS Guido Carli, Roma.
Il 6 Maggio scorso in Sardegna si è votato per 10 Referendum che la pubblicistica ha, semplificando, definito “anti-casta” e che hanno provocato una profonda crisi istituzionale e politica. Cercheremo qui di descrivere cosa è successo e di analizzarne le implicazioni. L’immagine di seguito riporta i quesiti referendari come sono stati presentati dalla campagna promossa dalla regione. Procederemo ora alla spiegazione dei quesiti.
Fig. 1
I quesiti
I primi quattro quesiti sono di carattere abrogativo e interpellano i cittadini sull’abolizione delle quattro nuove province (Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Olbia-Tempio, Ogliastra) istituite in seguito ad un referendum popolare consultivo nel 2002.
Il quinto quesito, di carattere consultivo, chiede di esprimersi sull’abolizione delle quattro province storiche della Sardegna (Cagliari, Nuoro, Oristano, Sassari). Una prima ambiguità si riscontra nel fatto che non è pacifico che Oristano sia considerata una provincia storica. Infatti le province storiche vennero istituite nel 1859 con decreto del ministro Rattazzi sotto la legislazione del Regno di Sardegna poi incluso in quella del Regno d’Italia con l’allegato A della legge 20 Marzo 1865, mentre la provincia di Oristano venne istituita con la legge 16 Luglio 1974 n° 306. Per questo motivo, nonostante nel testo del quesito numero cinque sia inclusa Oristano tra le province storiche (come nella percezione collettiva) c’è una contesa in atto, dovuta all’ambiguità della dicitura su base giuridica.
Il sesto quesito è anch’esso di carattere consultivo e riguarda la riscrittura dello Statuto Sardo. La Sardegna, in quanto regione a statuto speciale, ha uno statuto di autonomia approvato con legge costituzionale 26 Febbraio 1948 n°3 ai sensi dell’ art. 116 della Costituzione. In seguito alla legge costituzionale 2/2001 anche la regione Sardegna, al pari di quelle a statuto ordinario, può emanare una legge statutaria. La Sardegna di fatto non dispone di questa legge. Il dibattito politico non è unanime su questo tema. Alcuni sostengono la necessità di modifica dello statuto, altri difendono lo statuto e rivendicato la necessità di una legge statutaria. Quindi il quesito referendario si inserisce all’interno di questo dibattito prendendo una posizione abbastanza netta e non super partes.
Il settimo quesito chiede all’opinione pubblica se sia favorevole all’elezione diretta del presidente della Regione attraverso l’uso di elezioni primarie. In primo luogo, la formulazione del quesito non fa riferimento al fatto che esista già l’elezione diretta del presidente (legge 2/2001). In secondo luogo, propone l’uso di elezioni primarie in qualche misura istituzionalizzate, ma senza definirne le modalità, con il fine di richiamare l’idea di una elezione diretta di stampo presidenziale in stile America Latina, ma creando una palese ambiguità semantica.
L’ottavo quesito è di fatto il “referendum anti-casta” cioè l’abrogazione di un articolo della legge che regolamenta la retribuzione dei consiglieri regionali e i finanziamenti dei relativi gruppi politici. La tematica deriva dalla polemica su scala nazionale sul tema, ma senza tenere conto del fatto che abolita una legge è necessario farne subito un’altra che può potenzialmente essere molto più svantaggiosa della precedente. Nello specifico, nell’ultimo anno, il Consiglio Regionale, su proposta della Presidente Claudia Lombardo ha apportato ingenti tagli alle spese del Consiglio stesso (stipendi inclusi), che potrebbero essere ora appunto elusi tramite il varo di una nuova legge in materia, ottenendo quindi l’effetto contrario.
Il quesito numero nove implica l’abolizione di tutti i consigli di amministrazione delle varie agenzie ed enti strumentali facenti capo alla regione, senza definire da chi o da cosa debbano essere sostituiti, facendo propendere per una sorta di commissariamento messo in atto nella forma di organi monocratici. Di fatto il Presidente della Regione sta nominando dei commissari di sua fiducia per sostituire i consigli che vengono sciolti.
Il quesito numero dieci propone la riduzione a 50 dei consiglieri regionali, sempre nell’ottica anti-casta del risparmio. Considerando che una legge sulla materia è attualmente in discussione a livello nazionale (già approvata in prima lettura al senato) e che a livello regionale è stata già approvata una legge per la riduzione da80 a60 del numero dei consiglieri ci si chiede quale sia l’utilità concreta del quesito.
Promotori, sostenitori e detrattori
I referendum sono stati promossi da una coalizione politica trasversale che si è costituita in “comitato referendario”, i cui massimi esponenti sono Massimo Fantola dei Riformatori Sardi (RS), Mario Segni (Patto Segni) e Arturo Parisi (PD), aiutati da un gruppo che si chiama “La Base”, da parte dell’IdV e del Movimento Cinque Stelle. I Riformatori sono un partito centrista vicino all’Udc (con il quale si è alleato per le politiche 2006 eleggendo Fantola senatore) che si candida per la prima volta alle elezioni regionali nel 2004 nella coalizione di centro destra guidata da Mauro Pili. “La Base” si definisce come un movimento popolare dal basso formatosi in Sardegna come “reazione alla putrescenza del sistema partitico”. I sostenitori dell’idea referendaria provengono trasversalmente da tutti i partiti riscuotendo un enorme supporto popolare, tanto che a partire da Novembre2011, in un mese e mezzo, sono state raccolte più di 30.000 firme quando ne sarebbero state necessarie meno della metà.
Un sostenitore d’eccezione è il Presidente della Regione Ugo Cappellacci (PDL), che ha promosso una forte campagna per spingere i sardi a votare per il referendum anti-casta, tentando così di cavalcare l’ondata di malcontento. Anche l’ex Governatore Soru ha preso posizione favorevole alla consultazione.
Dall’altra parte invece l’UPS (Unione Province Sarde) si è opposta ai quesiti sostenendo la loro illegittimità e presentando due ricorsi, al Tar e alla prima sezione del tribunale civile di Cagliari. Il Tar si è dichiarato non competente, mentre il tribunale di Cagliari ha respinto il ricorso.
L’ammissibilità dei quesiti
Per ricostruire l’ammissibilità dei quesiti seguiremo qui la linea dei ricorsi proposti dall’UPS e la integreremo con alcune osservazioni.
Secondo la ricostruzione dell’UPS in Sardegna non è possibile effettuare nessun referendum, perché la disciplina che li regola è contenuta nella legge 20 del 1957 che risulterebbe tacitamente abolita dall’abrogazione dell’ articolo 32 (tramite la legge costituzionale n°2 del 2001) e dalla modifica dell’articolo 15 dello Statuto Sardo, avvenuta sempre nel 2001. I due articoli riguardavano rispettivamente la possibilità di sottoporre a referendum popolare i disegni di legge regionali (art.32), e la previsione che sia la legge Statutaria a regolamentare lo svolgimento dei referendum (art.15). Questa modifica allo statuto, fa si che la legge 20/1957 perda il suo effetto e rimetta la disciplina alla Statutaria (in linea con l’art 123 Cost). Quest’ultima fu varata nel 2008, ma subito abrogata dalla Corte Costituzionale e mai riproposta. Secondo questa linea nessun referendum avvenuto in Sardegna dal2001 inpoi sarebbe valido, proprio per l’assenza di una norma applicabile in materia. Secondo l’interpretazione contraria invece, fino all’approvazione della Statutaria, rimarrebbe in vigore la disciplina precedente e quindi tutti i referendum effettuati negli scorsi 11 anni sarebbero validi. A questo si può ricollegare la questione suddetta sull’opportunità politica del sesto quesito, che entra proprio nel merito della polemica tra chi ritiene impellente la scrittura di una statutaria e chi sostiene invece la necessità della riforma dello Statuto.
Inoltre, i quesiti due, tre e quattro, sempre secondo la ricostruzione dell’UPS, non sarebbero ammissibili perché violerebbero l’art. 43 comma 2 dello Statuto sardo, che stabilisce che le circoscrizioni e le province possano essere modificate solo in conformità alla volontà delle popolazioni di ciascuna delle province stesse e non, come invece è stato, della popolazione di tutta la regione; perchè, in base alla norma costituzionale, ogni elettore deve esprimersi sulla sola modifica che lo riguarda direttamente. In aggiunta, non è ammissibile che si includa in un unico quesito la soppressione di quattro province, ma occorrerebbero tanti quesiti quante le province da sopprimere, affinchè sia tutelata la possibilità di sopprimerne alcune ma non altre (art 43).
Oltre a ciò si deve considerare che i quesiti uno e due sono inammissibili anche perchè diretti a determinare l’abrogazione di leggi costituzionalmente necessarie (legge regionale n°4/1997 e legge regionale n°10/2002) che regolano la istituzione di nuove province e la fusione di province esistenti in rigorosa attuazione dell’articolo 43 comma 2 dello Statuto Speciale. In assenza di tale disciplina legislativa la previsione di rango costituzionale non avrebbe alcuna possibilità di operare concretamente nell’ordinamento, si viene a creare quindi l’ abrogazione secca di una disciplina costituzionalmente necessaria.
In aggiunta, occorre fare delle osservazioni sull’ammissibilità dei quesiti numero sei e otto. Il sesto quesito chiede al popolo sardo se è favorevole alla costituzione di un’Assemblea Costituente per la riscrittura dello Statuto. Secondola Sentenzadella Corte Costituzionale 106/2002 non è possibile utilizzare diciture tipiche del parlamento in contesti regionali, tra cui quella di “Assemblea Costituente”, il quesito è perciò manifestamente incostituzionale anche alla luce del fatto che nel 2008la Coste Costituzionale dichiarò l’illegittimità dell’Assemblea Costituente istituita dalla giunta Soru per la scrittura di una legge statutaria.
Riguardo al quesito numero otto invece, si riscontra una palese violazione dell’art 26 dello Statuto che prescrive che i consiglieri regionali ricevano un’ indennità fissata con legge regionale. Il quesito prevede la cancellazione della legge in questione e non supplisce con alcun tipo di riformulazione della norma, è perciò anch’essa una violazione secca di una disciplina costituzionalmente necessaria.
Di fatto nessuno è competente nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dei quesiti, non lo era il tribunale di Cagliari, non lo era il TAR Sardegna, non lo è stato l’ufficio elettorale regionale. Nessuno ha potuto quindi ostacolare lo svolgimento dei referendum, che potevano essere impediti solo seguendo la via politica.
La campagna referendaria
La campagna referendaria è stata promossa dal comitato referendario e dalla Regione Sardegna.
Tutta la campagna del comitato è basata sull’idea di cambiamento presentata in diverse sfumature e versioni e con slogan accattivanti. I colori predominanti sono tre e vengono alternati nella costruzione delle immagini. Abbiamo manifesti in campo azzurro, che suggeriscono la serenità; in sfondo rosso, che suggeriscono la riscossa, e giallo che suggerisce un’idea di calore e ricerca del nuovo. Tutti i manifesti presentano tonalità cromatiche decise che suggeriscono sicurezza, decisione e semplicità come a denotare che il loro messaggio è essenzialmente vero, nulla da discutere a riguardo. Mostriamo qui di seguito alcuni dei manifesti usati:
Il primo manifesto (fig.2) vuole comunicare come i referendum siano l’unica occasione che ha il popolo di partecipare alla vita democratica, facendo perno sul sentimento di distacco dalla politica e di mancanza di partecipazione diretta. Il secondo (fig.3) ha un messaggio più aggressivo impresso su di uno sfondo rosso che dà quasi l’idea di una vendetta della gente sulla classe di governo. Inoltre fa parte di una serie di manifesti che presentano giochi di parole allitterate, di cui: “basta con i costi della casta, basta con quelli con le mani in pasta” è un altro esempio.
Nelle immagini successive (figg. 4-6), il primo manifesto in campo giallo mette in relazione l’idea di cambiamento tramite l’uso di tre concetti particolarmente significativi oggi in Italia: la riduzione del numero dei politici e della loro retribuzione, nonché il tema del lavoro. I primi due temi sono collegati allo spirito del referendum anti-casta, mentre il terzo è semplicemente usato come esca, in maniera faziosa e demagogica, in quanto non collegato alla materia della consultazione. La seconda immagine è presa dalla pagina Facebook del comitato referendario e porta il supporto di un personaggio d’eccezione quale l’ex Presidente della Regione Renato Soru che invita ammiccante ad andare a votare circondato dalla scritta rossa e accompagnato dal messaggio “Changenow”: cambia adesso.
La campagna promossa dalla Regione Sardegna non è stata una normale campagna pubblicitaria che informa i cittadini sulle consultazioni referendarie, perchè si riscontra negli slogan una chiara presa di posizione. Il filmato diffuso nelle televisioni locali inizia con un testo che dice: “Una grande occasione di partecipazione per tutti i sardi domenica 6 Maggio”. Lo sfondo della pubblicità presenta una serie di mani che si uniscono e si sovrappongono su campo bianco (quelle riportate nella terza immagine più in basso) e compaiono e sfumano gradualmente le frasi: “democrazia diretta”, “volontà popolare”, “partecipazione”, solo dopo questa intro viene descritto il referendum. La figura numero 6 non riporta slogan faziosi, ma l’immagine che presenta in alto richiama un’idea di unione, solidarietà e partecipazione, facendo si che il volantino non sia comunque neutrale.
Figg. 4, 5 e 6
Inoltre, è stato promosso uno spettacolo teatrale intitolato “L’onorevole Sciupone”, la cui locandina riporta il logo del comitato referendario (fig. 7).
Lo spettacolo è stato messo in scena gratuitamente a Nuoro, Sassari e Cagliari; la trama è incentrata su un onorevole la cui “scommessa occupazionale” è aumentare gli stipendi ai colleghi, garantirgli la rielezione, o in mancanza di essa un posto in un consiglio di amministrazione degli enti pubblici. In breve l’onorevole Emanuele Sciupone difende i privilegi della casta. Si sottolinea che il regista è stato assessore nella giunta Cappellacci per circa due anni.
Fig. 7
Il messaggio promosso da queste campagne è univoco: che il popolo si schieri contro la classe di governo affinché si tutelino la democrazia, la solidarietà e l’autodeterminazione. Notevole è il fatto che la stessa classe di governo promuova il messaggio, che viene a connotarsi a tutti gli effetti come un fenomeno di “antipolitica” di stampo populista, comparabile con i movimenti del partito dell’uomo qualunque, in chiave storica, o del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo.
Il comportamento di voto, il quorum e l’impatto
Era possibile ritirare da1 a10 schede, ma la tendenza di voto è stata quella di votare per tutti e 10 i quesiti. Il quorum del 33,3% (pari ad un terzo degli aventi diritto, che sono stati quantificati come 1.479.925) è stato raggiunto in media con il 35,50% rendendo valido il risultato di tutti e dieci i quesiti. Analizziamo il dato dell’affluenza per ciascuna delle otto circoscrizioni costruite su base provinciale.
Tab. 1: Affluenza per quesito nelle circoscrizioni provinciali
Come emerge dalla tabella, le percentuali di affluenza dei singoli quesiti sono omogenee su base circoscrizionale, quindi i dieci quesiti sono stati graditi allo stesso modo dai votanti.
Il Medio Campidano è la provincia con le più alte percentuali di voto, segue Cagliari con circa quattro punti di affluenza in meno. Poi Sassari, Nuoro e Oristano.
Nelle rimanenti tre circoscrizioni il quorum non è stato raggiunto ed è importante sottolineare che siano appunto le circoscrizioni corrispondenti a tre delle province che si propone di abolire (Carbonia-Iglesias, Ogliastra, Olbia-Tempio). In quelle zone infatti la risposta popolare alla proposta di abolizione delle province è stata quella di disertare le urne, segno della contrarietà all’abolizione delle province suddette. Il Medio Campidano è quindi il caso deviante.
Le province di Carbonia-Iglesias, Ogliastra e Olbia-Tempio erano state pensate per soddisfare una necessità logistica precisa, in quanto volte a fornire una rete di strutture capillari che potesse facilitare questi territori geograficamente poco raggiungibili e rendere più agevole, rispetto alla vecchia struttura organizzativa provinciale, lo svolgimento delle attività amministrative.
Invece l’area del Medio Campidano, che apparteneva alla provincia di Cagliari, dista pochissimo dal capoluogo e non era stata creata per rispondere ad una necessità di facilitazione geografica. Per questo è stata probabilmente percepita dai suoi stessi abitanti come superflua.
Osserviamo ora l’esito del voto su base regionale. Il quesito che ha ottenuto più consensi è quello sulla riduzione a 50 del numero dei consiglieri, con il 98,27% dei SI, mentre il quesito meno gradito
Tab. 2 Percentuale di favorevoli e contrari a ciascun quesito
è stato il quinto (con il 65,98% dei SI), che riguardava l’abolizione delle province storiche. I quattro quesiti relativi all’abolizione delle province avrebbero dovuto, a rigor di logica, riportare lo stesso numero di SI, invece, si riscontra quasi un punto percentuale in più nei SI per il secondo e terzo quesito, rispetto al primo ed al quarto.
Un altissimo numero di SI (intorno al 97%) è stato poi riportato dai quesiti sulla soppressione della legge sul finanziamento alla politica e sull’abolizione dei cda di agenzie ed enti strumentali, che distaccano di circa 2 e 3 punti percentuali i consensi relativi rispettivamente all’elezione diretta del Presidente della regione e dell’assemblea costituente (quesiti numero 6 e 7).
Dai dati emerge che i quesiti specificamente anti-politici sono stati preferiti a quelli di natura amministrativa.
Nessuno si aspettava che il quorum sarebbe stato raggiunto, così come nessuno si aspettava che l’accoglimento dei referendum avrebbe riscosso un tale successo rispetto al generale disinteresse che caratterizza in Sardegna gli strumenti di democrazia diretta.
Il vuoto normativo
A seguito dell’esito dei primi quattro referendum vengono abrogate: a) la legge regionale 12 Luglio 2002 n°9 che istituisce le province di Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio; b) la deliberazione del consiglio regionale della Sardegna del 31 Marzo 1999 che individua le nuove circoscrizioni provinciali della Sardegna, in applicazione dell’art.4 della legge regionale 2 Gennaio 1997 n°4; c) la legge regionale del 2 Gennaio 1997 n°4 recante disposizioni in materia di riassetto generale delle province e procedure ordinarie per l’istituzione di nuove province e la modificazione delle circoscrizioni provinciali; d) la legge 1 Luglio 2002 n°10 recante disposizioni in materia di adempimenti conseguenti alla istituzione di nuove province, norme sugli amministratori locali e modifiche alla legge regionale 2 Gennaio 1997 n°4.
In seguito al quesito numero otto viene abrogato l’art.1 della legge regionale 7 Aprile 1966 n°2 recante provvedimenti relativi al Consiglio regionale della Sardegna e successive modificazioni.
All’abrogazione delle norme suddette non viene a corrispondere una disciplina sostitutiva di nessun tipo; si viene perciò a creare un vuoto normativo riguardo all’amministrazione delle competenze e dei territori delle province nonchè alla regolazione della vita politica del Consiglio regionale. Andremo ora a vedere cosa implicano queste abrogazioni.
In primo luogo non si sa con che cosa le nuove province dovrebbero essere sostituite, non esiste nessuna proposta in merito. Si dava forse per scontato che venissero riassorbite nelle vecchie, ma nemmeno queste di fatto possono funzionare e devono quindi essere abolite, perchè non esiste più una disciplina che regoli i confini territoriali e quindi, in parole semplici, non si sa più quali siano i territori di competenza di ciascuna delle province vecchie.
Per conseguenza non è possibile nemmeno effettuare elezioni nella regione, perchè i collegi elettorali corrispondevano alle circoscrizioni e le circoscrizioni di fatto non dovrebbero esistere più. La possibile soppressione di tutte le province rientra, ovviamente, in una sfera di incostituzionalità, perchè le province stesse sono previste in tutte le regioni italiane dal titolo V della Costituzione.
Relativamente all’ottavo quesito, i consiglieri regionali e tutti i dipendenti dei gruppi che lavorano per il consiglio regionale si trovano automaticamente senza stipendio e l’attività politica dell’isola viene di fatto paralizzata.
La situazione del sistema amministrativo subito dopo l’esito dei referendum era di completo caos e la ratifica del risultato del referendum stesso non è arrivata perchè avrebbe messo il Presidente della Regione nella situazione di promuovere disposizioni incostituzionali o di non riconoscere la volontà popolare affermatasi con i referendum.
Il Presidente del Consiglio Regionale, Claudia Lombardo, ha quindi convocato una commissione di quattro giuristi (due costituzionalisti: Ciarlo e Deffenu; due amministrativisti: Ballero e Contu) per cercare di capire la situazione giuridica che si è venuta a creare. Intanto l’ex comitato referendario, ha costituito un nuovo comitato chiamato “Super Partes” composto da notabili, che si dà come fine il fare pressione affinché le decisioni prese con i referendum vengano osservate.
La risposta del Consiglio Regionale è stata allora la “legge ponte” n°11 del 25 Maggio 2012: Norme sul riordino generale delle autonomie locali e modifiche alla legge regionale n°10 del 2011. Questa prevede che tutte le province sarde, nuove e vecchie, vengano abolite nell’arco di nove mesi e rimanda ulteriori decisioni operative ad un’ulteriore legge di riordino da farsi entro l’autunno. Tali disposizioni sono già state ritenute incostituzionali da fonti autorevoli.
Alla luce di tutto questo, per ora, non ci sono risposte sul futuro dell’amministrazione locale della Sardegna. C’è inoltre la reale possibilità che il personale amministrativo di tutte le province venga automaticamente licenziato. Tutto quello di cui si dispone sono tanti pareri, molte ipotesi ed un nuovo ricorso dell’UPS.