I difetti (da correggere) dei collegi proporzionali

di Roberto D’Alimonte

Per eliminare le liste bloccate i collegi uninominali sono la vera alternativa  al voto di preferenza.  Quelli più noti sono i collegi maggioritari ma non è di questi che si sta parlando nell’ambito della trattativa sulla nuova legge elettorale  E’ un peccato perché è di questi collegi che l’Italia avrebbe bisogno oggi. Ma tant’è. Gli interessi del Paese non coincidono con quelli dei partiti. Né esiste un attore esterno in grado di imporre questa riforma. La UE si occupa d’altro anche se la governabilità economica non è indipendente da quella politica.

            Le alternative ai collegi maggioritari sono tre . Di voto di preferenza e liste flessibili ci siamo già occupati (si veda il Sole del 27 luglio e del primo agosto). I collegi uninominali proporzionali sono la terza. Sono lo strumento preferito dal Pd in alternativa al voto di preferenza, ma non sono graditi a  tutti gli altri partiti. Almeno per ora. I collegi proporzionali sono un meccanismo ‘strano’, attualmente utilizzato per le elezioni provinciali. Con i collegi maggioritari hanno in comune la caratteristica positiva che i candidati si devono presentare davanti agli elettori di un dato collegio con la loro faccia per cercarne i voti.  Ma, a differenza dei loro omologhi maggioritari, arrivare primi  nel proprio collegio potrebbe non bastare per ottenere il seggio.

            Facciamo un esempio con una circoscrizione di 10 seggi.  La circoscrizione viene divisa in dieci collegi. In ogni collegio i partiti presentano un candidato (da qui il termine collegi uninominali). Si contano i voti di tutti i candidati dello stesso partito in tutti i collegi della circoscrizione. Questa somma viene utilizzata per determinare con formula proporzionale (da qui il termine collegi proporzionali) quanti seggi spettano a ciascun partito in quella circoscrizione. Ma a chi vanno i seggi?  Se il Pdl ha diritto a tre seggi, vengono eletti i suoi tre candidati che hanno ottenuto la percentuale più alta dei voti nei collegi della circoscrizione indipendentemente dal fatto che in quei collegi siano arrivati primi. Questo produce due effetti negativi.

             Il primo è  che in un dato collegio il candidato che ha ottenuto più voti possa non essere eletto.  Questo può accadere se un dato partito è molto forte in una data circoscrizione per cui tutti i suoi candidati arrivano primi in tutti i collegi. Dato che l’ attribuzione proporzionale dei seggi impedisce che li possa vincere tutti la conseguenza è che alcuni suoi candidati (quelli con meno voti rispetto ai loro colleghi di partito negli altri collegi) non saranno eletti pur avendo avuto più voti dei loro avversari nel loro collegio.

            Il secondo effetto è che possono esserci collegi che eleggono più di un candidato e collegi che non ne eleggono nessuno.  Può accadere infatti che in un dato collegio sia il candidato del Pd che quello del Pdl o di altro partito abbiano conseguito  percentuali di voto tra le più alte di tutti i candidati del loro partito nella circoscrizione e allora quel collegio eleggerà due rappresentanti. Al contrario in un altro collegio della stessa circoscrizione può accadere che nessuno dei candidati sia tanto competitivo da ottenere una percentuale di voti superiore a quella ottenuta dai loro colleghi di partito negli altri collegi. In questo caso il collegio in questione non avrà rappresentanti in parlamento.

            Questi due effetti dei collegi proporzionali sono in realtà dei difetti che potrebbero essere in parte mitigati con alcuni accorgimenti tecnici. Tanto più che, a quanto pare dalle indiscrezioni che filtrano, i partiti della ‘strana maggioranza’ stanno cercando un accordo che prevede un mix di collegi e  di liste. Solo quando saranno noti i dettagli di questo accordo si potrà valutare il reale funzionamento del nuovo sistema elettorale. Per ora ci limitiamo a dire che se la scelta dovesse essere tra voto di preferenza e collegi proporzionali questi ultimi sarebbero senz’altro da preferire come male minore. Tutti e due hanno difetti e alcuni sono comuni. Ma i collegi proporzionali costringono i candidati a cercare i voti tra tutti gli elettori del collegio mentre con il voto di preferenza basta corteggiare lobbies e clientele organizzate per ottenere il seggio. E’ una differenza che incide negativamente sul tipo di rappresentanza che si vuole avere e quindi sul funzionamento delle istituzioni parlamentari.

 Pubblicato sul Sole 24 Ore del 5/08/2012

Roberto D’Alimonte (1947) è professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano. Dal 1974 fino al 2009 ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato come visiting professor nelle Università di Yale e Stanford. Collabora con il centro della New York University a Firenze. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano i sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto in Italia. A partire dal 1993 ha coordinato con Stefano Bartolini e Alessandro Chiaramonte un gruppo di ricerca su elezioni e trasformazione del sistema partitico italiano. I risultati sono stati pubblicati in una collana di volumi editi da Il Mulino: Maggioritario ma non troppo. Le elezioni del 1994; Maggioritario per caso. Le elezioni del 1996; Maggioritario finalmente? Le elezioni del 2001; Proporzionale ma non solo. Le elezioni del 2006; Proporzionale se vi pare. Le elezioni del 2008. Tra le sue pubblicazioni ci sono articoli apparsi su West European Politics, Party Politics, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. E’ membro di ITANES (Italian National Election Studies). E’ editorialista de IlSole24Ore. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.