di Roberto D’Alimonte
Pubblicato sul Sole 24 Ore il 30 ottobre 2012
Non è mai successo nel nostro Paese che in una elezione regionale la partecipazione elettorale sia scesa sotto il 50%. In Sicilia ha votato il 47,4%. Per trovare un valore inferiore dobbiamo far riferimento alle europee in Sardegna nel 2009 quando solo il 40,9% degli elettori è andato alle urne.
Questo dato rappresenta il record negativo per qualunque regione in qualunque tipo di consultazione. In Sicilia ci si è andati molto vicino. Nelle regionali del 2008 aveva votato il 66,7% ma allora si votava anche per le politiche e le urne erano aperte anche il lunedì. Il confronto più attendibile è quello con le regionali del 2006 quando la partecipazione è stata il 59,2%. Il calo quindi è stato di quasi 12 punti percentuali. In valori assoluti vuol dire una differenza di mezzo milione di elettori.
Non è mai nemmeno successo che in una elezione regionale il primo partito abbia ottenuto meno del 15% dei voti. Questa è più o meno la percentuale del movimento di Grillo. È una cifra che per il Movimento 5 Stelle rappresenta un notevole successo, ma che da un punto di vista sistemico desta gravi preoccupazioni. Dopo il M5S troviamo un Pd al 13,5% e un Pdl addirittura al 12,9%. Certo, si tratta della Sicilia e di una elezione regionale con liste civiche legate ai candidati. Ma anche tenuto conto di queste attenuanti resta la netta impressione che si sia davanti alla ulteriore frantumazione del sistema dei partiti. E come si governano una regione e un paese in queste condizioni?
Il centrosinistra ha vinto con poco più del 30% dei consensi in una regione che è ancora, nonostante Grillo, prevalentemente orientata a destra. Il risultato del Pd non è soddisfacente. Non cresce in una situazione in cui il mercato elettorale diventa più fluido. Lo stesso si può dire della sinistra radicale e dell’Idv. Entrambi non riescono ad arrivare al 5% e quindi restano fuori dalla assemblea regionale. Complessivamente il bacino elettorale della sinistra non si è allargato. Ha funzionato però l’alleanza tra Pd e Udc. E questa è una nota positiva.
La destra siciliana esce male da queste elezioni. Nella sua sconfitta c’è di tutto. C’è il voto di protesta che si è rivolto sia verso Grillo che verso l’astensionismo. C’è la voglia di cambiamento. C’è forse una minore presa del voto clientelare. Ma ci sono anche le divisioni profonde che separano le sue varie componenti. E questo spiega non solo la vittoria di Crocetta ma anche il pessimo risultato del Pdl. Alle politiche del 2008 il partito di Berlusconi aveva ottenuto addirittura il 46,6% dei voti. Nelle regionali del 2006 aveva il 33,4%. Il 12,9% di oggi è una débâcle, anche se si deve tener conto della scissione di Fini e di quella di Miccichè che si sono presentati con liste diverse. Nel suo complesso però la destra non è sparita. Resta lì, con i suoi Musumeci, Lombardo, Miccichè, Romano ecc. Aspetta un nuovo federatore.
E cosa dire infine di Grillo e del suo movimento? Il 18% del suo candidato fa impressione. Fino ad oggi a livello regionale aveva ottenuto il suo maggiore successo in Emilia Romagna nel 2010 arrivando al 6% come lista e al 7% come voto al candidato-presidente. Il risultato di Parma per quanto importante era pur sempre un successo cittadino. In Sicilia alle amministrative della scorsa primavera si era presentato in soli tre comuni superiori ai 15mila abitanti ottenendo il 4,2%. Si parla di pochi mesi fa. Oggi è il primo partito nell’isola. Il Sud non è più il buco nero del M5S. È così che si spiegano le stime che lo danno oltre il 15% a livello nazionale. Fino ad oggi erano dati di sondaggio, oggi sono un dato reale.