Comunali 2013: il quadro dei comuni superiori non capoluogo

di Aldo Paparo

Ad appena tre mesi dalle elezioni politiche, i prossimi 25 e 26 maggio si terrà il primo turno delle elezioni comunali in molte città italiane. Abbiamo già dettagliatamente presentato la situazione dei 16 comuni capoluogo chiamati alle urne. Qui mostriamo invece un quadro sintetico dei comuni con almeno 15.000 abitanti ma che non sono capoluogo di provincia. Come riportato nella tabella 1, si tratta 76 unità che amministrano un totale di quasi due milioni e mezzo di cittadini. Il 60% di questi si trova al Sud, meno di un terzo nelle regioni settentrionali, mentre poco più del 10% sono i comuni superiori al voto della zona rossa.

Dodici mesi fa, i comuni superiori non capoluogo erano quasi il doppio (131). Gli italiani interessati erano invece circa 3,6 milioni, il 50% in più di quest’anno. Dunque il comune superiore non capoluogo medio è più popoloso quest’anno: circa 32.000 abitanti contro i 28.000 dell’anno scorso.

Tab. 1  – I comuni non capoluogo di provincia con almeno 15000 abitanti al voto nel 2013, per zona geografica e classe di ampiezza demografica di appartenenza.

Guardando alla classe demografica, 39 comuni superiori hanno meno di venticinquemila abitanti, 23 sono compresi fra i venticinque e i cinquantamila, 14 superano i cinquantamila e nessuno i centomila. Come popolazione totale i tre gruppi risultano piuttosto omogenei, sono invece assai sbilanciati geograficamente. Infatti dei 14 comuni della categoria più popolosa ben 11 sono meridionali, mentre del nord c’è solo Cinisello Balsamo.

In termini di abitanti, la maggiore concentrazione al Sud dei comuni più grandi comporta una ulteriore sovrarappresentazione di tale area del paese: vi risiedono due abitanti su tre. Il 22% invece vive al nord, la zona rossa mantiene il suo decimo abbondante del totale.

La tabella 2 mostra il colore politico dell’amministrazione uscente, anche qui distinguendo per zone geografiche. Tralasciando l’aspetto relativo alle diverse configurazioni locali delle coalizioni, il Pdl aveva conquistato il 58% dei comuni. Se a questi si sommano i comuni vinti dalla Lega da sola, il totale della coalizione di Berlusconi supera il 60%. Il centrosinistra targato Pd esprime invece il sindaco uscente in un terzo dei comuni al voto.

Tab. 2 – I comuni non capoluogo di provincia con almeno 15000 abitanti al voto nel 2013, per zona geografica e coalizione vincente delle precedenti elezioni comunali.

Tutti i sindaci erano espressione di una delle due coalizioni principali, con l’eccezione di Aprilia, dove aveva vinto un candidato che correva contro sia il Pd che il Pdl. Solo nella zona rossa il centrosinistra aveva conquistato più amministrazioni del centrodestra. Anche nelle regioni settentrionali risulta, seppur leggermente, sovrarappresentato in termini di vittorie (36,4%) rispetto al totale nazionale, ma è nettamente sconfitto dalla coalizione rivale. Al sud, poi, il Pd aveva vinto in appena un quarto dei comuni, e per ciascuno di questi ve ne sono oltre due vinti dal Pdl.

Emerge quindi il quadro di una competizione nettamente bipolare con un forte vantaggio per il centrodestra. Per interpretare tale dato è necessario fare riferimento al momento in cui si sono svolte le precedenti tornate comunali in questi comuni. Come si può osservare nella tabella 3, quasi i due terzi dei comuni aveva svolto le precedenti consultazioni amministrative in concomitanza con le politiche vinte da Berlusconi su Veltroni. Già questo elemento aiuta a comprendere il contesto entro cui sono nate le precedenti giunte comunali. In particolare si consideri che i ballottaggi si svolsero a due settimane dal verdetto delle politiche ed è quindi ragionevole ipotizzare che abbiano potuto subire un effetto trascinamento dal risultato di queste.

Inoltre dobbiamo considerare come  la popolarità del governo Berlusconi, seppur in calo, si sia mantenuta piuttosto alta fino alla primavera 2010. Anche sul piano elettorale il centrodestra si era dimostrato in salute, tanto che le elezioni regionali videro le vittorie di Cota, Zaia e Polverini. Solo a partire dal 2011, il governo cominciò a pagare dazio in termini di risultati alle urne, anche per via della crisi economica [1]. Dunque, il fatto che un ulteriore 25% delle precedenti consultazioni comunali dei nostri 76 casi si collochi fra le primavere del 2009 e del 2010, con solo poco più del 10% occorso invece fra 2011 e 2012 va necessariamente tenuto in considerazione. In totale sono quasi il 90% i sindaci uscenti eletti fra 2008 e 2010, e quindi all’interno di una stagione favorevole al centrodestra. Questo è l’elemento cruciale per interpretare opportunamente la situazione di partenza e quindi poi anche il risultato elettorale che ci apprestiamo ad osservare.

Tab. 3 –  I comuni non capoluogo di provincia con almeno 15000 abitanti al voto nel 2013, per zona geografica e anno di svolgimento delle precedenti elezioni comunali.

La tabella 3 ci permette anche di valutare il ricorso ad elezioni anticipate e la stabilità degli esecutivi comunali, per questi 76 casi. In totale sono il 63% i comuni che rinnovano i propri organi alla scadenza naturale, con una durata media della legislatura che sfiora i 4 anni e mezzo. Al nord sono oltre i due terzi le legislature complete, nella zona rossa il 75%. Solo al sud si è manifestata una minore stabilità, con oltre quattro comuni su dieci chiamati al voto anticipatamente.

Veniamo infine al ricorso ai ballottaggi. La tabella 4 mostra che esattamente metà dei comuni ha eletto il proprio sindaco al primo turno e metà ha invece avuto bisogno del secondo. Questo singolare risultato si ripete curiosamente in tutte e tre le zone geografiche. Interessante rilevare come anche i sindaci del centrodestra si dividano perfettamente a metà fra quelli eletti al primo turno e quelli eletti invece al ballottaggio (22 in entrambi i casi). Lo stesso avviene anche per il centrosinistra: sono dunque 13 gli eletti  in turno unico, contro i 13 dei due.

Tab. 4 –  I comuni non capoluogo di provincia con almeno 15000 abitanti al voto nel 2013, per zona geografica e turno di elezione del sindaco nella precedente consultazione.

In conclusione notiamo come non vi sia una relazione fra il turno di elezione e la durata dell’esecutivo. Ci si potrebbe attendere che i sindaci eletti al secondo turno, disponendo di un consenso meno largo rispetto ai colleghi vincitori già al primo turno, possano avere maggiori difficoltà a portare a termine la legislatura. In realtà, fra i comuni che votano dopo cinque anni, la maggioranza aveva eletto il sindaco in due turni (26 contro 22). Invece i vincenti al primo turno sono la maggioranza fra quanti non hanno completato la legislatura (16 a 12).


[1] Sul punto si vedano, Chiaramonte A. e R. D’Alimonte, The Twilight of the Berlusconi Era: Local Elections and National Referendums in Italy, May and June 2011, South European Society and Politics, Vol. 17, No. 2, June 2012, pp. 261–279.