Comunali 2013: l’Italia è ancora bipolare

di Vincenzo Emanuele

Dall’analisi dei dati delle elezioni amministrative svoltesi domenica e lunedì emerge un elemento chiaro e per certi versi sorprendente: la politica locale, in Italia, è ancora strutturata su una base fondamentalmente bipolare. Questo dato appare in controtendenza rispetto agli ultimi tempi.

Il sistema partitico italiano vive infatti ormai da anni in uno stato di perenne semi-strutturazione: dopo le politiche del 2006, anno del confronto tra le due maxi-coalizioni dell’Unione e della Casa delle Libertà, i due grandi blocchi politici di centro-sinistra e centro-destra sono stati attraversati da un processo di sfarinamento che ha visto il distacco progressivo di pezzi delle originarie coalizioni che hanno iniziato a correre in autonomia (si pensi all’Udc e a Fli nel centrodestra, alla sinistra radicale e all’Idv nel centrosinistra). Inoltre, il sistema partitico ha visto nascere anche nuovi sfidanti esterni ai due blocchi, su tutti Scelta Civica e il Movimento 5 Stelle. Ed è stata proprio la nascita di queste due nuove forze politiche a stravolgere il paesaggio del nostro sistema partitico all’indomani delle politiche 2013: il sistema bipolare radicatosi dal 1994 in poi non esisteva più, sostituito da un sistema a tre poli e mezzo. L’indice di bipolarismo faceva segnare un misero 58,7% (40 punti in meno del 2006) e quello di bipartitismo scendeva al 51%, dopo aver toccato il 70,6% alle politiche del 2008 [Chiaramonte ed Emanuele 2013, 95-96].

In questo contesto si collocano le elezioni amministrative di domenica e lunedì.

La Tabella 1 presenta i dati relativi ai 16 comuni capoluogo al voto. Quando parliamo di indice di Bipolarismo intendiamo la somma dei voti maggioritari raccolti dai due candidati sindaci più votati in città, mentre l’indice di Bipartitismo si riferisce alla somma dei voti ottenuti dalle due liste con i maggiori consensi. Sono due indice utili a misurare la struttura della competizione e il livello di concentrazione dei voti sulle opzioni politiche principali.

Alle scorse comunali l’indice di bipolarismo aveva fatto segnare, nei 16 capoluoghi al voto, una media dell’ 81,9%. Una cifra alta, ma non altissima. Segno evidente che, tra il 2008 e il 2012 (gli anni delle ultime amministrative per i comuni al voto domenica e lunedì scorso), il trend di destrutturazione del sistema era già in atto, sebbene con proporzioni ancora non eclatanti. Allo stesso tempo l’indice di bipartitismo medio era stato del 50,5%: un livello molto alto se pensiamo che si trattava di elezioni comunali, sempre caratterizzate dalla presenza di numerose liste civiche e locali che riducono i consensi dei grandi partiti nazionali. Una cifra giustificata dal fatto che tutte le elezioni della precedente tornata si erano svolte successivamente alla nascita di Pd e Pdl.

Nei 16 comuni al voto domenica e lunedì l’indice di bipolarismo ha subito un calo di quasi 10 punti, attestandosi al 72,1%. Si tratta certamente di una diminuzione considerevole, ma, guardando al dato assoluto, il 72% rappresenta una cifra che, in un contesto come quello precedentemente descritto, appare confortante. Il confronto con il 58,7% delle politiche trasforma il dato di queste amministrative, permettendoci di leggerlo nel senso di una sostanziale ripresa del bipolarismo in Italia. Anche un altro dato spinge verso questo tipo di interpretazione: quello delle amministrative dello scorso anno. Nel 2012 si votò in 26 comuni capoluogo (tra cui Palermo, Genova e Parma) e si trattò delle prime elezioni in cui emerse il fenomeno del Movimento 5 Stelle. L’indice di bipolarismo subì un crollo di oltre 18 punti, scendendo al 69% [Emanuele 2012, 53-54]. Erano i primi segnali della rottura del sistema bipolare, poi compiutamente realizzatasi alle politiche di febbraio. Il quadro riassuntivo della Tabella1 chiarisce invece il fatto che, almeno a livello locale, l’Italia del 2013 è ancora bipolare. L’indice risulta complessivamente più alto al Nord (76,5%) e più debole nella Zona rossa (65,1%) che già alle scorse comunali appariva l’area del paese con il livello più basso dell’indice. La spiegazione è facile: mentre al Nord il confronto fra le due coalizioni principali è serrato, nelle regioni rosse la mancanza di competitività del centrodestra si riflette in un cospicuo abbassamento dei valori dell’indice. Al Sud la situazione appare invece estremamente variegata, con alcune città perfettamente bipolari (Isernia e Iglesias) e, all’opposto, il caso estremo di Avellino, in cui, complice la presenza di molti candidati competitivi, i due candidati più forti raccolgono insieme appena il 41,9%. Nel complesso vi sono 13 città in cui l’indice si abbassa mentre altre 3 che registrano un’inversione di tendenza, facendo segnare un incremento del livello di bipolarismo: si tratta di Vicenza, Massa e Isernia (+17,3).

Tab. 1 Indici di bipolarismo e bipartitismo nei comuni capoluogo (elezioni 2013 e confronto con le precedenti comunali).

Anche l’indice di bipartitismo è sceso notevolmente in queste elezioni passando dal 50,5% al 39,7% con una perdita di quasi 11 punti. Come nel caso del bipolarismo, anche questa cifra può essere interpretata come un’inversione di tendenza rispetto al recente passato. Alle amministrative dello scorso anno ad esempio il valore dell’indice nei 26 comuni capoluogo al voto era stato ben più basso, pari in media al 34%. Alle elezioni amministrative la proliferazione di liste e il contesto locale della competizione incentivano la frammentazione e la sotto-rappresentazione dei grandi partiti. A maggior ragione nel 2013 in cui l’onda lunga delle politiche avrebbe potuto abbattersi sul voto comunale creando un’atomizzazione del sistema partitico. Non è stato così. Certo, l’indice di bipartitismo non è uguale dappertutto, anche se fra le tre aree del paese è piuttosto omogeneo, con una leggera prevalenza della Zona rossa sulle altre aree (grazie alla forza del Pd). A Iglesias si registra il livello massimo (56,5%), a Sondrio (30,9%) e Barletta (30,4%) il minimo. Rispetto alle ultime comunali vi è un vero e proprio tracollo dell’indice a Viterbo (-30 punti), Imperia (-27,5) e Roma (-25). In generale, sono 11 su 16 le città in cui esso perde valore. In controtendenza Vicenza, Treviso, Sondrio, Isernia e Barletta dove il bipartitismo appare in aumento.

La Figura 1 incrocia i valori dei due indici per le 16 città, pervenendo così ad una più chiara visione della struttura della competizione che si realizza nei diversi contesti. La Figura è infatti divisa in 4 quadranti sulla base del valore mediano del bipolarismo (73,8%) e del bipartitismo (37%). In tal modo emergono 4 possibili situazioni. Nel quadrante in basso a sinistra troviamo quei comuni in cui il contesto politico è assai frammentato, sia per quanto concerne l’arena maggioritaria che quella proporzionale: si tratta del caso estremo di Avellino, Siena e Barletta. Anche Viterbo e Massa rientrano in questo quadrante, ma si trovano al “confine”: il capoluogo laziale pur avendo un basso bipolarismo presenta un indice di bipartitismo vicinissimo al valore mediano, mentre quello toscano risulta vicinissimo all’incrocio degli assi (valori mediani per entrambi gli indici). Nel quadrante in alto a destra troviamo invece quei comuni in cui la competizione si concentra sui candidati e sulle forze maggiori. Potremmo dire che si tratta delle città in cui il sistema partitico è più “strutturato”. Oltre al caso estremo di Iglesias, che fa da contraltare a quello di Avellino dalla parte opposta del grafico, troviamo 3 città del Nord est: Brescia, Treviso e Vicenza. Qui, complice il calo della Lega, anche l’indice di bipartitismo risulta su livelli comparativamente alti. Anche Imperia ricade in questo quadrante, sebbene vicina all’incrocio degli assi.

Fig. 1 La struttura della competizione nei comuni capoluogo.

 

Rimangono poi le due situazione intermedie che per certi versi sono le più interessanti: il caso di alto bipartitismo ma basso bipolarismo, e la situazione esattamente opposta. Il primo caso è rappresentato nel quadrante in alto a sinistra da due città della Zona rossa, Ancona e Pisa. In queste due città il Pd ottiene un ottimo risultato che trascina l’indice di bipartitismo, ma lo stesso non può dirsi della competizione maggioritaria in cui permangono terzi candidati con consensi notevoli. Nel quadrante in basso a destra vi sono infine le città caratterizzate da una competizione maggioritaria ridotta ai due maggiori sfidanti i quali sono però sostenuti da coalizioni ampie e con consensi distribuiti in modo assai omogeneo fra le diverse liste: in questo contesto il caso emblematico è quello di Isernia (oltre 60 punti di scarto tra i due indici), ma anche due città lombarde come Sondrio e Lodi rientrano in tale quadrante. In generale tutte le 6 città del Nord cadono nei due quadranti ad alto bipolarismo, mentre i comuni della Zona rossa sono tutti nella parte opposta del grafico. Con l’eccezione di Iglesias, invece, tutti i comuni del Sud si trovano nei due quadranti a basso bipartitismo, segno evidente di una competizione frammentata e caratterizzata dalla moltiplicazione di liste personali e civiche.