di Roberto D’Alimonte
Il sì unanime all’interno della conferenza dei capigruppo alla calendarizzazione della riforma elettorale alla Camera non deve ingannare. E’ un segnale. Ma il cammino verso una riforma resta lungo e complicato. Le divisioni tra i partiti e dentro i partiti restano profonde. Il resto lo fanno l’incertezza sugli scenari futuri e soprattutto il ‘fattore Berlusconi’. Dal 15 Ottobre di questo anno al 15 Ottobre del 2014 il Cavaliere potrebbe essere agli arresti domiciliari e quindi- si presume- sarà impossibilitato a fare campagna elettorale a modo suo. E’ credibile che, in queste condizioni, voglia una riforma elettorale che potrebbe avvicinare la data delle elezioni? E’ credibile inoltre che sia disposto a sostituire un sistema elettorale che, così come è, gli può garantire comunque un ruolo determinante con un altro che dovrebbe invece favorire la governabilità con il rischio di una sua emarginazione? Certo, se tra qualche mese avesse risolto il problema della successione alla guida della coalizione e i sondaggi fossero favorevoli, allora cambiando le convenienze cambierebbero anche le preferenze. Ma a quel punto bisognerà vedere cosa deciderà il Pd. Per ora però facciamo finta che questi dubbi siano irrilevanti. In fondo c’è il Presidente Napolitano che preme. E questo fattore non va certo sottovalutato.
Tra le riforme possibili la più discussa in questo momento è quella già tentata senza successo alla fine della scorsa legislatura: una soglia del 40% di voti per far scattare il premio di maggioranza e la sostituzione delle liste bloccate con il voto di preferenza. Non è una cattiva proposta, ma ha un problema. Cosa succede se nessuna lista o nessuna coalizione arriva al 40 % dei voti? Da quello che si sente dire la risposta è preoccupante: i seggi verrebbero assegnati con formula proporzionale, tutt’ al più con un premietto di consolazione per chi arriva primo. Il risultato di una riforma del genere è che le elezioni non sarebbero decisive e i governi si farebbero dopo il voto. Esattamente come è accaduto dopo le elezioni dello scorso Febbraio.
Questo non sarebbe un problema se l’Italia fosse la Germania. A Berlino i governi si fanno normalmente dopo il voto e sono frutto di accordi post-elettorali tra i partiti. E così sarà dopo le prossime elezioni di Settembre. Ma noi non siamo la Germania. Siamo un paese molto più frammentato e diviso e per di più afflitto da una cultura politica che non privilegia responsabilità e stabilità. Per questo sarebbe meglio che il prossimo sistema elettorale fosse decisivo, cioè che mettesse gli elettori, e non i partiti, in condizione di scegliere chi governa. In breve, la sera delle elezioni si deve sapere chi ha vinto. Questo fa un sistema elettorale decisivo.
Per ottenere questo risultato occorre un sistema di voto disproporzionale, vale a dire un sistema che dia a chi vince più seggi dei voti che ha ottenuto. Così funzionano, per esempio, Francia e Gran Bretagna. Visto che il sistema in vigore, il vituperato porcellum, viene considerato potenzialmente troppo disproporzionale, la soluzione più efficace per combinare decisività e disproporzionalità è quella di assegnare il premio di maggioranza al secondo turno se nessun partito o coalizione arriva al 40 % dei voti al primo turno. In alternativa, il ballottaggio potrebbe scattare se nessuno arriva al 50 % dei voti al primo turno.
Per fare le cose bene la riforma dovrebbe contenere anche altre modifiche. Per esempio il superamento del bicameralismo paritario in modo che sia solo la Camera a dare la fiducia. In questo modo si eviterebbe il rischio di risultati diversi nei due rami del parlamento. Un rischio che resterebbe anche introducendo al Senato un unico premio a livello nazionale al posto dei 17 premi regionali. Ma si tratta di modifica costituzionale e quindi almeno per ora non si farà. Invece si può e si deve abolire la possibilità che partitini e liste fasulle che restano sotto le soglie di sbarramento possano comunque apportare i loro voti alla coalizione cui appartengono per la assegnazione del premio.
Il doppio turno di lista di cui stiamo parlando qui non risolverebbe certo tutti i nostri problemi, ma servirebbe quanto meno a favorire un minimo di governabilità. In aggiunta darebbe al vincente una legittimità che il sistema attuale non può dare dato che, nell’attuale contesto così frammentato, il cosidetto porcellum potrebbe produrre un eccesso di disproporzionalità, come è successo alle ultime elezioni. Con il doppio turno di lista invece, anche nella ipotesi di vittoria al primo turno con il 40 %, il premio sarebbe limitato ( il 40% dei voti diventerebbe il 54 % dei seggi). Mentre nella ipotesi che il premio scatti solo al raggiungimento del 50 % dei voti al primo turno il vincente al ballottaggio avrebbe comunque la maggioranza più uno dei consensi. Inoltre un sistema del genere introdurrebbe di fatto una specie di elezione diretta del primo ministro senza bisogno di riformare la costituzione. Il modello di governo resterebbe parlamentare, conservando così la flessibilità di questo tipo di regime politico. Senza contare che su questo sistema di voto si potrebbe facilmente innestare la riforma dei poteri del primo ministro e il rafforzamento del ruolo dell’esecutivo.
Quanto alle liste bloccate, vista la loro demonizzazione universale, la soluzione più semplice è quella di reintrodurre il voto di preferenza. Con una importante differenza rispetto al passato. Invece di utilizzare circoscrizioni molto ampie, sarebbe opportuno dividere il territorio nazionale in circoscrizioni più piccole. Sarebbe più facile per gli elettori conoscere i candidati e si ridurrebbe di molto il costo delle campagne elettorali. Certo, anche piccole circoscrizioni non funzionerebbero come i collegi uninominali maggioritari. Ma i collegi, dopo essere stati introdotti ‘per caso’ nel 1993, sono stati purtroppo eliminati nel 2005 e difficilmente ritorneranno oggi. Con buona pace di chi pensa che sia ancora possibile la resurrezione della ‘legge Mattarella’.
Pubblicato su Il Sole 24 Ore dell’11 Agosto