Elezioni in Germania: la Merkel è l’unico governante europeo più forte della crisi economica

di Aldo Paparo

Le elezioni tedesche tenutesi domenica scorsa hanno segnato una svolta sotto molteplici punti di vista: sia rispetto alla tradizione elettorale, sia ai suoi sviluppi degli ultimi anni ed anche rispetto alle attese della vigilia basate sui sondaggi. Basti dire che, con il 4,8% dei voti, i liberali del FDP, l’alleato di governo della Merkel, non entrano in Parlamento, non avendo raggiunto la soglia del 5%. Ciò accade per la prima volta nel dopoguerra. I sondaggi avevano previsto che sarebbero stati vicini alla soglia, ma tutti li davano fra il 5 e il 6%. Così il nuovo Bunestag avrà solo 4 partiti con propri rappresentanti e non più 5 – considerando CDU e CSU un solo gruppo. Anche questa è una prima volta dalla riunificazione. Infatti nel 2002, quando la Linke non superò la soglia al proporzionale, aveva comunque vinto due collegi uninominali. Nel 1994 l’allora PDS ne vinse quattro, accedendo così alla ripartizione proporzionale pur con il 4,4% in virtù della clausola dei tre collegi vinti. Nel 1990, le prime elezioni dopo la caduta del muro, la soglia fu calcolata separatamente fra Est e Ovest: fu così che entrarono al Bundestag Verdi e PDS.

Ma questo non è l’unico elemento di novità. La unione di CDU e CSU avanza di quasi 8 punti percentuali rispetto al 2009, raggiungendo il 41,5% dei voti. Nei sondaggi di settembre, nessuno l’aveva stimata oltre il 40% delle intenzioni di voto. Come mostrato dalla figura 1, viene così ad interrompersi un trend di calo che continuava sostanzialmente inarrestato dagli anni ’80.

Fig. 1 – Storia elettorale in Germania: percentuali dei voti proporzionali nelle elezioni per il Bundestag

Ma oltre al riequilibrio dei rapporti di forza all’interno dell’ormai ex coalizione di governo, vi sono molti altri elementi da rilevare. La SPD ha registrato un lieve recupero rispetto alle precedenti politiche: dal 23 al 25,7% dei voti. Ma è comunque rimasta assai lontana dai suoi standard precedenti ed anche al di sotto delle aspettative dei sondaggi che la vedevano più vicina a 30 che al 25%.

Gli altri partiti della sinistra hanno registrato un calo: i Verdi scendono dal 10,7 all’8,4%; la Linke si ferma all’8,6%, contro l’11,9% di quattro anni fa. Un ultimo attore merita di essere citato, oltre ai Pirati che confermano il loro 2%. E anche in questo caso si tratta di una novità: è il partito antieuro AFD. Non riesce ad entrare in Parlamento, ma ha comunque raccolto il 4,7% dei voti dei tedeschi.

La Merkel ha davvero ottenuto un risultato sensazionale: ha sfiorato la maggioranza assoluta  dei seggi del Bundestag, arrivando al 49,4%. Si tratta del migliore risultato dopo Adenauer nel 1957 (figura 2). Anche gli altri partiti che hanno superato la soglia risultano significativamente sovrarappresentati. L’alta disproporzionalità registrata è un ulteriore elemento di novità di queste elezioni. Si tratta di un valore pari a 7,85 dell’indice di Gallagher che, seppur non particolarmente elevato se comparato con paesi quali Francia e Regno Unito, rappresenta di gran lungo il massimo storico per la Germania. Siamo di fronte ad un valore pari a quello occorso in Italia nel 1994, in occasione delle prime elezioni svoltesi con il mattarellum.

Fig. 2 – Storia elettorale in Germania: percentuali dei seggi del Bundestag

 Come è potuto accadere che un sistema elettorale noto per la proporzionalità dei suoi effetti circa la competizione partitica (al di là del meccanismo della selezione di parte del personale parlamentare attraverso i collegi uninominali) abbia in questa occasione generato una sproporzione fra voti e seggi così significativa? La risposta a questa domanda può facilmente essere visualizzata nella figura 3. Questa mostra la l’evidente legame fra sovrarappresentazione dei due grandi partiti e voti dispersi ai fini dell’attribuzione dei seggi perché ottenuti da liste al di sotto della soglia del 5%. L’R della correlazione fra queste due variabili è pari a 0,997. Appare quindi chiaro che le elezioni del 2013, in cui si registra la massima concentrazione di voti dispersi (quasi uno ogni 6), siano anche quelle caratterizzate dalla massima disproporzionalità.

Fig. 3 – Storia elettorale in Germania: i grandi partiti e la disproporzionalità del sistema elettorale

Nella figura 3 possiamo anche osservare un altro fenomeno interessante. Nelle ultime due elezioni precedenti questa, si era registrato un significativo calo del grado di bipartitismo del sistema politico tedesco. Nel 2009 meno di 3 elettori su 5 avevano scelto uno dei due grandi partiti. Nel 2013 anche questo trend si è interrotto: più di due elettori su tre sono su una delle due opzioni principali, che sfiorano l’80% dei seggi del Bundestag, grazie alla disproporzionalità derivante dalla dispersione dei voti sotto soglia di cui abbiamo detto sopra.

Un ultimo elemento rimane da indagare: la comparazione delle elezioni tedesche con le altre elezioni europee che si sono svolte negli ultimi due anni, da quando cioè la crisi ha costretto i governi a varare misure di austerity. Anche sotto questo profilo, la performance dell’Unione guidata dalla Merkel appare straordinaria. Come si può vedere nella tabella 1 è riuscita ad incrementare il proprio totale di voti del 24%.

Tab. 1 – Le elezioni europee al tempo della crisi: rendimento elettorale dei governi in carica al momento del voto e dei partiti al loro sostegno

Il resto dei governi uscenti in questi ultimi due anni ha invece subito pesanti battute d’arresto alla riprova elettorale, fossero essi di destra o di sinistra. A cominciare nel novembre 2011 con i socialisti spagnoli,  che perdevano 4 milioni di voti, il 40% quasi di quanti li avevano riportati al governo del paese nel 2008. Nel maggio dell’anno successivo il Presidente francese Sarkozy diventava il primo incumbent a non ottenere un secondo mandato in oltre trent’anni e doveva lasciare l’Eliseo ai socialisti per la prima volta dai tempi di Mitterand. Ancora peggio andava ai socialisti greci, ridotti al 13% dopo avere avuto la maggioranza assoluta dei seggi nel 2009. Dopo l’estate toccava all’Olanda: qui si registra l’unico tasso in crescita, Merkel a parte. E’ quello del VVD guidato da Rutte, il premier uscente (il primo nè democristiano nè socialista dal 1918). Il suo partito incrementa i propri voti del 30% nei due anni del suo governo. Non così i suoi partner di governo: CDA e PVV cedono entrambi oltre un terzo dei propri voti 2010. Veniamo infine all’Italia, nel febbraio 2013. I tre partiti che sostenevano il governo Monti segnano tutti un netto calo a confronto con il 2008: il 29% per il PD, il 46% per il PDL e addirittura il 70% per l’UDC.

In questo quadro appare particolarmente negativo ma comunque in linea il risultato della FDP, che smarrisce oltre i due terzi dei propri voti del 2009. In effetti, laddove vi erano governi di coalizione, gli alleati minori hanno dovunque pagato un dazio particolarmente elevato. E’ invece davvero rimarchevole la crescita della CDU-CDU. Certo è vero che in Germania non si sono dovute prendere misure di austerity, ma comunque si sono dovuti pagare pesanti costi per i salvataggi dei paesi UE. Le scelte della Merkel sul piano europeo hanno sollevato molte critiche (vedi il successo dell’AFD), ma evidentemente gli elettori tedeschi ritengono siano state le più assennate.