di Roberto D’Alimonte
Pubblicato sul Sole 24 Ore il 10 gennaio 2014
In materia elettorale le preferenze dei partiti tra i diversi sistemi di voto sono dettate dalle convenienze, cioè dal calcolo dei costi e dei benefici attesi associati a ciascun sistema. E questi variano in funzione di molti fattori che vanno dalla dimensione dei partiti, al tipo di elettorato, al posizionamento che hanno nello spazio politico. Tenendo conto di ciò, dei tre modelli proposti da Renzi quale conviene più o meno ai vari partiti presenti in Parlamento?
Partiamo dallo ‘spagnolo’, il proporzionale con piccole circoscrizioni e premio di maggioranza. In questo caso la risposta è ancora più netta che negli altri casi: questo modello conviene solo ai tre partiti maggiori, Pd, Forza Italia e M5s. Infatti, con circoscrizioni elettorali in cui si eleggono 4 o 5 deputati la percentuale di voti necessaria per ottenere uno di questi seggi è talmente elevata che anche partiti con il 10% dei voti sarebbero fortemente penalizzati. Quindi è un modello che certamente non va bene a Sel, Lega Nord, Lista civica e soprattutto al partito di Alfano.
Il secondo modello è una versione rivista della legge Mattarella. I collegi uninominali e un premio di maggioranza del 15% sono le sue caratteristiche principali. La prima di queste caratteristiche è la più rilevante. Sulla carta un sistema elettorale in cui in ciascun collegio vince il candidato che riceve più voti dovrebbe favorire esclusivamente i partiti maggiori. Ma l’esperienza recente italiana dice una altra cosa. Nel periodo in cui sono stati utilizzati i collegi, cioè tra il 1994 e il 200, i partiti maggiori hanno rinunciato a presentarsi da soli e hanno preferito formare delle coalizioni pre-elettorali con partiti affini per massimizzare le loro possibilità di vittoria. Questi accordi prevedevano candidati comuni distribuiti più o meno proporzionalmente tra i partiti della coalizione. In un certo numero di collegi il candidato dell’Ulivo o della Casa delle Libertà era del partito A e in altri era del partito B e così via. Detto altrimenti i collegi uninominali sono stati lottizzati con il risultato che il sistema maggioritario è stato ‘proporzionalizzato’ e così i piccoli partiti sono sopravvissuti. Tutto fa pensare che, reintrodotti i collegi, il sistema funzionerebbe più o meno allo stesso modo. Per questo i piccoli partiti , tra cui la Lega , non sono del tutto contrari. Con i loro pochi voti possono comunque contare. Soprattutto se sono voti ‘fedeli’ per ragioni ideologiche o clientelari. E anche Grillo si era tempo fa espresso a favore
Questo modello però pone un problema a Berlusconi e un altro ad Alfano. Il Cavaliere non ha mai amato i collegi uninominali. Nel passato si è sempre lamentato del fatto che i suoi candidati nei collegi prendevano meno voti delle liste di partito che li sostenevano. Nel 2005 la riforma elettorale ha avuto come obiettivo proprio l’eliminazione dei collegi a favore di un sistema proporzionale con liste di partito e premio di maggioranza, il famigerato – si fa per dire- porcellum.
Forse Berlusconi ha cambiato idea. Se lo ha fatto è per la ragione per cui questo sistema non è gradito a Alfano. Infatti se tornano i collegi Alfano deve tornare sotto l’ombrello del Cavaliere. Senza di lui non ne vincerebbe neanche uno. Ma senza Alfano Berlusconi correrebbe il rischio di perderne parecchi. Quindi si siederanno intorno a un tavolo a trattare sulla spartizione dei seggi. Né più né meno di come è avvenuto dal 1994 al 2001 tra Berlusconi, Casini, Fini e Bossi. Si tratterebbe di una coesistenza complicata e forzosa. Per Berlusconi presenta però il vantaggio di limitare fortemente la visibilità e l’autonomia del Ncd. Ma questo è proprio il motivo per cui Alfano dovrebbe preferire la terza proposta di Renzi, e cioè il doppio turno di lista, il modello che più si avvicina a quello dei sindaci.
Anche questo modello costringerà Alfano e Berlusconi a coabitare per puntare alla conquista del premio di maggioranza, ma in questo caso l’alleanza tra i due sarebbe molto diversa. La coalizione non sarebbe basata su candidati comuni. Ogni partito manterrebbe invece il suo simbolo e la sua lista di candidati. Tutto sarebbe molto più semplice e più chiaro. Questo sistema può andare bene anche agli altri partiti piccoli e medi che sarebbero poco o per nulla penalizzati se entrano in coalizione, mentre se ne restano fuori potrebbero contare comunque su un diritto di tribuna. Il problema è che questo modello non va bene a Berlusconi. Da tempo il Cavaliere ha maturato la radicata convinzione che il doppio turno non si addice al suo elettorato. Neanche lui si fida della sua capacità di portare alle urne i suoi elettori due volte in pochi giorni. Figuriamoci il suo successore, chiunque sia.
Tirando le somme, tra i tre modelli a Alfano conviene senza dubbio il terzo. Se poi a quella proposta Renzi aggiungesse anche il voto di preferenza e la garanzia di non tornare alle urne troppo presto è difficile che il leader del Ncd possa dire di no, viste le alternative in campo. Quindi se Berlusconi e Alfano si mettono d’accordo la riforma si farà senza troppi problemi. Ma se Berlusconi puntasse al primo o al secondo modello e Alfano scegliesse il terzo, Renzi che fa?