di Roberto D’Alimonte
Pubblicato sul Sole 24 Ore il 19 febbraio 2014
Renzi è più fortunato di Veltroni. Cinque anni fa nello stesso giorno in cui Renzi ha ricevuto l’incarico per la formazione del nuovo governo. Veltroni si è dimesso da segretario del Pd dopo la sconfitta di Soru nelle elezioni regionali in Sardegna. Quelle dimissioni affossarono, l’dea del Nuovo Pd a vocazione maggioritaria. La storia della sinistra prese una altra strada che l’ ha portata alla drammatica sconfitta del 2013. Per una strana coincidenza il cammino del Nuovo Pd riprende dall’isola dove si era interrotto 5 anni fa.
Sarà una strada in salita. Francesco Pigliaru ha vinto ma il suo Pd che pure è risultato il maggior partito dell’isola ha preso solo il 22,1% dei voti, pari a 150.492 elettori. Nelle regionali perse da Soru nel 2009 ne aveva ottenuti il 24,7% , mentre il Pd di Veltroni nelle politiche del 2008 era arrivato al 36,2%. Ha vinto per la debolezza degli avversari, quelli presenti e quelli assenti. Ha contato l’assenteismo con un calo di ben 15 punti percentuali rispetto alle precedenti regionali. Solo il 52% degli elettori si è recato alle urne. In Basilicata qualche mese erano stati meno, il 48%. E’ un segnale chiaro del clima di sfiducia e di distacco. Questa volta non compensato dalla presenza di un partito di protesta come il M5s che qui ha disertato le urne.
L’analisi dei flussi elettorali ci dirà su chi ha pesato di più l’astensionismo. Il sospetto è che anche questa volta abbia colpito di più il centrodestra. Fi, che è il secondo partito ha ottenuto il 18,5% pari a 126.327 elettori. Ne aveva il doppio nel 2009. Insieme Pd e Fi hanno preso circa la metà dei voti che avevano nelle regionali precedenti e il 35% in meno rispetto alle politiche dell’anno scorso. Da soli non hanno la maggioranza assoluta dei seggi in consiglio. Questo descrive bene lo stato di debolezza dei grandi partiti e la condizione di fragilità del sistema politico. Dopo Pd e Fi non ci sono che liste minuscole, la più grande delle quali ha preso il 7,6% dei voti. Addirittura 21 liste hanno ottenuto meno del 3%. La stessa frammentazione si riscontra a livello di seggi. Sono 18 le liste con seggi. Di queste 9 hanno preso meno del 3% dei voti. Una lista ha avuto un seggio con lo 0,7%. Forse una soglia di sbarramento anche per i partiti coalizzati non sarebbe stata una cattiva idea. Ma la via italiana alla governabilità passa per lasciar spazio alla frammentazione nei consigli, ma costringendo i tanti partiti dentro maxi- coalizioni. La coalizione di Pigliaru ne comprende 11, quella di Cappellacci 7. Tutti hanno ottenuto almeno un seggio.
Con una frammentazione del genere se la forma di governo regionale fosse di tipo parlamentare la Sardegna sarebbe ingovernabile. Invece gli elettori sardi hanno avuto la possibilità di votare direttamente il presidente della giunta. In questa competizione che è di tipo maggioritario la frammentazione si è ridotta drasticamente. I candidati dei due partiti maggiori si sono aggiudicati l’ 82,2% dei voti e Pigliaru con il suo 42,4% si è aggiudicato un premio di maggioranza che ha consentito alla sua coalizione di arrivare al 60% dei seggi, 36 su 60. Sarebbero stati il 55% se non avesse superato il 40% dei voti. Così elezione diretta e premio consentono a chi vota di scegliere chi governa e a chi governa di avere la maggioranza per poterlo fare. Il prezzo da pagare è la personalizzazione della politica che supplisce alla assenza di grandi partiti.
Ma le regole non possono fare miracoli. Pigliaru si trova a governare con una coalizione, che per quanto formatasi prima del voto e quindi legittimata dalle urne, è pur sempre una coalizione con ben 11 liste. A suo vantaggio gioca la forza che gli deriva dalla elezione diretta. Tanto più che nel suo caso non gli sono bastati i voti delle liste per vincere. Le sue liste hanno raccolto infatti 289.573 voti contro i 299.349 mila di Cappellacci. Sono stati gli elettori che hanno votato lui , ma non per una delle sue liste, a garantirgli il successo. La differenza tra i voti a lui e quelli alle sue liste è positiva (24.000 in più) mentre per Cappellaci è negativa (7.000 in meno). Alla fine la persona ha fatto la differenza, ma non sarebbe successo senza un sistema elettorale che è una versione regionale del porcellum nazionale bocciato dalla Consulta. In Sardegna un candidato che prende il 25% dei voti può arrivare, grazie al premio, al 55% dei seggi. Trenta punti di premio sono tanti. Sono costituzionali? Oppure il sistema viola il principio dell’uguaglianza del voto in uscita? Intanto è grazie al premio che Pigliaru riuscirà a governare. A livello nazionale, quando l’Italicum verrà approvato, sarà la stessa cosa. Ma lì non c’è l’elezione diretta. E questo fa una bella differenza.