Il PPE perde voti e seggi, ma rimane il primo gruppo nel Parlamento Europeo

di Vincenzo Emanuele

 Alla fine il Partito Popolare Europeo (PPE) ce l’ha fatta. Si conferma la prima forza politica europea per numero di voti complessivi raccolti, nonché il gruppo di maggioranza relativa in seno al Parlamento Europeo (PE). Per i popolari la sfida delle elezioni europee 2014 sembrava molto difficile alla vigilia. Dopo 10 anni di Presidenza Barroso e tre legislature di consecutive con la maggioranza relativa nel PE, il PPE viene ormai considerato il partito di governo dell’UE. Visto il bassissimo consenso per le politiche di austerità portate avanti dall’Unione, in molti prevedevano un’alternanza alla guida della UE. Come è stato scritto in un altro articolo prima del voto, l’essere percepiti come incumbent in un tempo di aspra crisi economica avrebbe potuto avere conseguenze nefaste per i risultati elettorali del PPE, minacciati alla propria destra dalla crescita del gruppo dei partiti anti-europeisti, nonché sfidati alla propria sinistra dal rivale storico, il PSE, che presentava un candidato forte e autorevole come Martin Schulz alla guida della Commissione. Anche la scelta di un candidato come il lussemburghese Jean-Claude Juncker, che si poneva in perfetta linea di continuità con le politiche di austerità portate avanti fino ad oggi, poteva apparire un’opzione perdente. Insomma c’erano tutte le premesse per assistere, dopo 15 anni, ad un ribaltamento delle forze in campo in Europa e ad una vittoria dei socialisti.

Il PPE è invece riuscito a mantenere la maggioranza relativa in seno al PE. Ha ottenuto 214 seggi, che potrebbero presto diventare 220 dal momento che il rumeno PNL (Partito Nazionale Liberale), finora membro dell’ALDE, ha chiesto di aderire al gruppo, portando in dote 6 preziosi seggi. I 214 seggi raccolti in queste elezioni europee segnano un deciso passo indietro rispetto al 2009, quando i seggi furono 270 (265 ai quali si sono aggiunti i 5 seggi della Croazia entrata nel 2013). Una perdita di 56 seggi a cui fa da contraltare la leggera avanzata del PSE (191 seggi, + 7 rispetto al 2009). Il gap tra i due grandi europartiti si è così ridotto a 23 seggi. Il risultato rende ancora più indispensabile la necessità di trovare un accordo per il governo dell’Unione. Un accordo che presumibilmente si concluderà con la formazione di una grande coalizione PPE-PSE con i popolari nuovamente alla guida della Commissione.

Fig. 1 – Andamento elettorale del PPE. Percentuale di seggi nel PE (1979-2014).

 

Come mostra la Figura 1, ragionando in termini di percentuali di seggi, il PPE ha ottenuto il 32,1% dei seggi nel nuovo Parlamento. Si tratta del risultato più basso degli ultimi 15 anni. Da quando aveva avuto pieno compimento la strategia di allargamento ad altre forze politiche conservatrici e liberali estranee alla tradizione democratico-cristiana (Delwit 2001; Hanley 2002; Hix 2002), il PPE era sempre rimasto attorno al 36-37% dei seggi. Ma c’è da dire che la competizione, sia nelle arene nazionali, sia in quella europea, era quasi sempre strutturata in termini di sfida tra popolari e socialisti, con pochissime eccezioni, nelle quali potevano inserirsi forze liberali (Estonia). Con queste elezioni lo scenario è radicalmente cambiato. In ben 5 paesi hanno vinto partiti non afferenti ai due grandi gruppi popolare e socialista (oltre all’Estonia, Francia, Regno Unito, Danimarca e Belgio). La prepotente avanzata dei partiti euroscettici (quando non esplicitamente anti-UE) avrebbe potuto danneggiare soprattutto il PPE, vista la collocazione su posizioni di estrema destra di molti di questi partiti. Invece in alcuni contesti anche i socialisti ne hanno subito le conseguenze (come ad esempio in Francia).

Tab. 1 – Risultati elettorali (% di voti e seggi) del PPE nei paesi membri e differenze con il 2009.

Paese

2014

Differenze con il 2009

% Voti

Seggi

Voti

Seggi

Austria

27

5

-3

-1

Belgio

16.9

4

-2.6

-1

Bulgaria

30.9

6

-1.4

0

Cipro

37.8

2

1.8

0

Croazia*

41.4

5

4.6

0

Danimarca

9.1

1

-3.6

0

Estonia

13.9

1

1.7

0

Finlandia

27.8

3

1

-1

Francia

20.8

20

-7.1

-9

Germania

35.3

34

-2.5

-8

Grecia

22.7

5

-9.6

-3

Irlanda

22.3

4

-6.8

0

Italia

21.7

17

-20.1

-18

Lettonia

46.2

4

12.5

1

Lituania

17.4

2

-8.3

-2

Lussemburgo

37.7

3

6.3

0

Malta

40

3

2.8

1

Paesi Bassi

15

5

-4.8

0

Polonia

38.1

23

-12.5

-5

Portogallo

27.7

7

-12.4

-3

Regno Unito

0

0

0

0

Repubblica Ceca

26

7

18.3

5

Romania**

24.7

9

-13.9

-5

Slovacchia

33.2

6

6

0

Slovenia

41.4

5

-5.4

2

Spagna

26.1

17

-16.1

-6

Svezia

19.6

4

-3.1

-1

Ungheria

51.5

12

-4.9

-2

* Il totale voti 2014 si riferisce ad una lista nella quale è presente anche un partito afferente al gruppo ECR. Le differenze di voti e seggi fanno riferimento all’elezione tenutasi nel 2013 dopo l’ingresso della Croazia nell’UE.
** Il risultato non è comprensivo di voti e seggi ottenuti dal Partito Nazionale  Liberale (PNL), finora membro dell’ALDE, che ha richiesto l’adesione al PPE.

 

La Tabella 1 riporta, per ciascun paese, la percentuale di voti ottenuta dai partiti afferenti al PPE, il totale di seggi conquistati dal gruppo e le differenze (punti percentuali e seggi) rispetto al 2009. E’ facile notare una predominanza di segni negativi, che indicano una perdita di voti (e seggi) rispetto al 2009. Nel complesso il PPE cresce in 9 paesi e arretra in 16, mentre nel Regno Unito continua a non avere alcun rappresentante. (Valium) I paesi in cui cresce maggiormente sono, con l’eccezione del Lussemburgo, tutte nazioni entrate a partire dal maxi allargamento a Est del 2004 (Repubblica Ceca, Lettonia, Slovacchia, Croazia, Malta). Le perdite maggiori invece riguardano soprattutto i paesi dell’Europa Occidentale, e in particolare l’Italia (-20,1 punti), la Spagna (-16,1), il Portogallo (-12,4) e in misura minore anche, Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda Paesi Bassi e Svezia. Nella ex Europa dei 15 il PPE guadagna voti rispetto a 5 anni fa solo nel piccolissimo Lussemburgo. Ma anche nei due principali paesi dell’Est Europa, Polonia e Romania, il PPE fa registrare un arretramento rilevante (-12,5 e -13,9 rispettivamente). In alcuni di questi casi, per via dei pochi seggi assegnati al paese, della formula elettorale e dell’assetto della competizione partitica, la perdita di voti non comporta una perdita di seggi. Da questo punto di vista, il PPE subisce un vero e proprio crollo in Italia (-18 seggi), dovuto alla débacle di Forza Italia rispetto al successo del Pdl nel 2009. Perdite consistenti riguardano poi la Germania , la Francia e la Spagna (-8, -9, -6), mentre la crescita più sensibile avviene in Repubblica Ceca, in cui la pattuglia popolare cresce da 2 a 7 deputati. La maggioranza relativa in seno al gruppo rimane saldamente in mano alla Cancelliera Merkel e al suo partito (la CDU-CSU) con 34 seggi (il 15,9% del totale del gruppo). Nel complesso si delinea uno spostamento dei rapporti di forza interni verso i paesi dell’Est, che ora contano 85 rappresentanti, quasi il 40% del totale del gruppo (nel 2009 erano sempre 85, ma corrispondevano al 32% del gruppo). Insomma se il PPE riesce a rimanere la prima forza politica europea lo deve soprattutto al contributo dell’Europa Centrale e Orientale.

Per quanto riguarda il rendimento misurato in termini di voti percentuali raccolti dal gruppo, la media non ponderata di voti è 27,6% (-3,5 punti rispetto al 2009). Si segnala la strepitosa performance dell’Ungherese FIDESZ che, sebbene in calo di quasi 5 punti, riesce a mantenersi sopra la maggioranza assoluta dei consensi (51,5%). Il PPE poi sfiora supera il 40% in altri 3 paesi dell’Est (Croazia, Lettonia e Slovenia), mentre i risultati peggiori sono quelli dei rappresentanti di Danimarca (9,1%), Estonia (13,9%) e Paesi Bassi (15%).La Tabella 1 riporta, per ciascun paese, la percentuale di voti ottenuta dai partiti afferenti al PPE, il totale di seggi conquistati dal gruppo e le differenze (punti percentuali e seggi) rispetto al 2009. E’ facile notare una predominanza di segni negativi, che indicano una perdita di voti (e seggi) rispetto al 2009. Nel complesso il PPE cresce in 9 paesi e arretra in 16, mentre nel Regno Unito continua a non avere alcun rappresentante. I paesi in cui cresce maggiormente sono, con l’eccezione del Lussemburgo, tutte nazioni entrate a partire dal maxi allargamento a Est del 2004 (Repubblica Ceca, Lettonia, Slovacchia, Croazia, Malta). Le perdite maggiori invece riguardano soprattutto i paesi dell’Europa Occidentale, e in particolare l’Italia (-20,1 punti), la Spagna (-16,1), il Portogallo (-12,4) e in misura minore anche, Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda Paesi Bassi e Svezia. Nella ex Europa dei 15 il PPE guadagna voti rispetto a 5 anni fa solo nel piccolissimo Lussemburgo. Ma anche nei due principali paesi dell’Est Europa, Polonia e Romania, il PPE fa registrare un arretramento rilevante (-12,5 e -13,9 rispettivamente). In alcuni di questi casi, per via dei pochi seggi assegnati al paese, della formula elettorale e dell’assetto della competizione partitica, la perdita di voti non comporta una perdita di seggi. Da questo punto di vista, il PPE subisce un vero e proprio crollo in Italia (-18 seggi), dovuto alla débacle di Forza Italia rispetto al successo del Pdl nel 2009. Perdite consistenti riguardano poi la Germania , la Francia e la Spagna (-8, -9, -6), mentre la crescita più sensibile avviene in Repubblica Ceca, in cui la pattuglia popolare cresce da 2 a 7 deputati. La maggioranza relativa in seno al gruppo rimane saldamente in mano alla Cancelliera Merkel e al suo partito (la CDU-CSU) con 34 seggi (il 15,9% del totale del gruppo). Nel complesso si delinea uno spostamento dei rapporti di forza interni verso i paesi dell’Est, che ora contano 85 rappresentanti, quasi il 40% del totale del gruppo (nel 2009 erano sempre 85, ma corrispondevano al 32% del gruppo). Insomma se il PPE riesce a rimanere la prima forza politica europea lo deve soprattutto al contributo dell’Europa Centrale e Orientale.

Infine, una nota conclusiva sulle performances degli incumbents, ossia i paesi nei quali il PPE esprime il Primo Ministro o il Presidente. Si tratta di 10 paesi su 28, segnati in neretto nella Tabella 1. In 8 casi su 10 il PPE ha perso voti, in alcuni casi in modo consistente (Spagna, Portogallo, Polonia), segno che il combinato disposto della crisi economica e del tipo di elezione “second order” (Reif e Schmitt 1980) si è tradotto, come nelle previsioni, in una punizione dei governi in carica. Solo in due occasioni il partito al governo non perde voti ma anzi cresce, seppur lievemente: Cipro e Finlandia.

Riferimenti bibliografici

Delwit P. (2001), The European People’s Party:stages and analysis of a transformation, in Delwitt P., Kulachi E., Van de Walle C., The Europarties:  organization and influence,  Free University of Brussels (ULB).

Hanley, D. (2002), Christian Democracy and the paradoxes of Europeanization,  Sage Publications.

Hix S. (2002),  Parliamentary behavior with two principals: Preferences, Parties and Voting in the European Parliament,  Midwest Political Science Association.

Reif, K. e Schmitt, H., (1980), Nine second-order national elections- A conceptual framework for the analysis of european election results, in European journal of political research, n. 8, pp. 3-44.

 

Vincenzo Emanuele è professore associato in Scienza Politica presso la LUISS Guido Carli di Roma. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienza della Politica presso la Scuola Normale Superiore (ex SUM) di Firenze con una tesi sul processo di nazionalizzazione del voto in Europa occidentale e le sue possibili determinanti. La sua tesi ha vinto il Premio 'Enrico Melchionda' conferita alle tesi di dottorato in Scienze Politiche discusse nel triennio 2012-2014 e il Premio 'Celso Ghini' come miglior tesi di dottorato in materia elettorale del biennio 2013-2014. È membro del CISE, di ITANES (Italian National Election Studies) e del Research Network in Political Parties, Party Systems and Elections del CES (Council of European Studies). I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle elezioni e i sistemi di partito in prospettiva comparata, con particolare riferimento ai cleavages e ai processi di nazionalizzazione e istituzionalizzazione. Ha pubblicato articoli su European Journal of Political research, Comparative Political Studies, Party Politics, South European Society and Politics, Government and Opposition, Regional and Federal Studies, Journal of Contemporary European Research, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. La sua prima monografia Cleavages, institutions, and competition. Understanding vote nationalization in Western Europe (1965-2015) è edita da Rowman and Littlefield/ECPR Press (2018), mentre la seconda The deinstitutionalization of Western European party systems è edita da Palgrave Macmillan. Sulle elezioni italiane del 2018, ha curato la Special Issue di Italian Political Science ‘Who’s the winner? An analysis of the 2018 Italian general election’. Clicca qui per accedere sito internet personale. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.