Il “federalismo” dei sistemi elettorali

di Roberto D’Alimonte

Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 31 maggio

Oggi si vota in sette regioni con sette sistemi elettorali diversi. Una volta si votava in quasi tutte le regioni con lo stesso sistema elettorale. E’ stato così nel 1995 quando è stata fatta la terza riforma elettorale della Seconda Repubblica. In quell’anno il Parlamento passò la legge Tatarella che fu utilizzata per la prima volta per le elezioni regionali svoltesi in quello stesso anno in tutte le 15 regioni a statuto ordinario. La Tatarella originale era un sistema a premio di maggioranza a un turno. Una delle sue caratteristiche è che il premio veniva assegnato senza che una lista avesse dovuto raggiungere alcuna soglia in termini di percentuale di voti. Era quindi un Porcellum ante litteram. Prevedeva anche l’indicazione del candidato alla presidenza della regione, ma non la sua elezione diretta come invece era, ed è, per i sindaci. Poi nel 1999 è arrivata la legge di riforma costituzionale che ha introdotto sia l’elezione diretta sia la possibilità per le regioni di scegliersi un sistema elettorale diverso dal modello Tatarella. Erano i tempi della devolution quando le regioni godevano di una credibilità che oggi non hanno più.

In un primo momento l’autonomia è stata utilizzata con parsimonia. I cambiamenti sono stati pochi e limitati, a parte i tentativi non riusciti in Calabria e Friuli Venezia Giulia. Poi è cominciato il balletto delle riforme. Adesso si può dire che tutte le regioni hanno un proprio sistema elettorale. Le ragioni dietro questi cambiamenti sono molteplici. La sentenza della Consulta, che ha dichiarato incostituzionale un premio senza soglia, ha fatto la sua parte, anche se in diverse regioni è stata disattesa. Ma hanno contato molto anche gli interessi locali di partiti e partitini. Tuttavia non tutto è cambiato rispetto alla Tatarella. Nessuna regione ha osato introdurre i collegi uninominali e nessuna regione ha osato reintrodurre tout court un sistema proporzionale. Infatti tutti i sistemi delle regioni a statuto ordinario sono dei proporzionali con premio di maggioranza. E’ con questo tipo di sistema che si voterà oggi nelle sette regioni. Ma con notevolissime differenze.

La variante più significativa riguarda Liguria e Marche. Qui gli elettori eleggeranno direttamente il presidente della regione, come nelle altre regioni, ma è possibile che il presidente eletto non abbia la maggioranza assoluta dei seggi in consiglio, come invece sarà nelle altre cinque. In altre parole il sistema elettorale non è majority-assuring, non assicura cioè una maggioranza a chi è eletto. Quindi il nuovo presidente potrebbe essere costretto a negoziare un accordo coalizionale con altri partiti dopo il voto. In Liguria questo evento si materializzerà se i sei seggi di premio del listino regionale non dovessero essere sufficienti ad ottenere la maggioranza. Nelle Marche l’eventuale vincitore non potrà contare su una sua maggioranza nel caso in cui non ottenesse almeno il 34% del totale dei voti validi.

Nelle altre regioni il sistema elettorale è decisivo, ma la consistenza del premio e quindi l’ampiezza della maggioranza variano. In Campania e Umbria il premio è fisso, pari al 60% dei seggi in consiglio. In Veneto, Toscana e Puglia – come nelle Marche – la maggioranza garantita al vincitore varia in funzione del risultato elettorale suo o della sua coalizione: fra il 54 e il 60% dei seggi nei diversi casi. Fra tutte le regioni la Toscana è la sola che abbia adottato una specie di Italicum. Qui il premio viene assegnato in due turni se al primo turno nessuna lista arriva al 40% dei voti.

Soglie di sbarramento, tipo di voto, listini, preferenze, quote di genere, formule elettorali sono le altre dimensioni del sistema di voto dove troviamo differenze significative. La tabella 1 le riassume sinteticamente. In questa sede ci limitiamo ad alcuni cenni. Sulle soglie la Puglia è la regione con quella più alta per le liste fuori dalle coalizioni: l’8%. La Toscana invece ha la soglia più alta per le coalizioni: almeno il 10% (e una lista del 3% all’interno). Marche e Umbria sono le due regioni in cui gli elettori non potranno esprimere un voto disgiunto, vale a dire non potranno votare un candidato-presidente di un partito e una lista non collegata a quel candidato. Queste sono anche le sole regioni in cui il voto dato solo al candidato viene automaticamente trasferito alla coalizione che lo sostiene. Entrambe queste modifiche limitano la libertà di espressione del voto. Il lettore giudichi.

In tema di preferenze e rappresentanza di genere tutte le sette regioni hanno mantenuto il voto di preferenza, ma solo in Toscana, Umbria e Campania l’elettore ha a disposizione due preferenze con la clausola che la seconda potrà essere data solo a un candidato di genere diverso. Nelle altre regioni le donne avranno meno spazio, Si dovranno accontentare di varie clausole relative alla composizione delle liste dove la quota riservata al genere femminile varia da un terzo al 50%. Ma, come è noto, si tratta di clausole molto meno efficaci della doppia preferenza di genere.

Tab. 1 – I diversi sistemi elettorali delle regioni al voto

Insomma, le regioni si sono sbizzarrite nell’inventarsi diversi modelli di sistema elettorale. Tutta questa varietà è una fortuna per noi ricercatori. Offre una straordinaria opportunità di studiare il comportamento degli elettori in funzione di diversi contesti istituzionali. E’ meno chiaro se tutto ciò sia una fortuna per il paese. Forse non sarebbe sbagliato sollevare la questione se sia meglio o no tornare ad un sistema unico per tutte le regioni oppure fissare principi comuni più stringenti. Intanto vediamo come va questa Domenica.