Premio di coalizione senza appeal se la soglia del 40% è un miraggio

di Roberto D’Alimonte

Pubblicato sul Sole 24 Ore del 5 febbraio 2017

Tra le possibili modifiche della legge elettorale della Camera il premio alla coalizione è quella più discussa in questo momento. Ricordiamo al lettore che attualmente la lista che arriva prima con almeno il 40% dei voti incassa un premio di maggioranza che la porta automaticamente al 54% dei seggi. Molti avrebbero preferito che la Consulta avesse bocciato anche questo elemento dell’Italicum, oltre al ballottaggio. E invece no. La decisione della Corte è importante perché da ora in poi non si potrà più sostenere (o almeno così speriamo) che un sistema disproporzionale – cioè un sistema che trasforma una minoranza relativa del 40% dei voti in una maggioranza del 54% dei seggi- sia incostituzionale. Con buona pace degli Zagrebelski, Besostri ecc.
Questa è una buona notizia per chi crede che, nelle condizioni in cui siamo, l’unica speranza di dare un minimo di governabilità a questo paese poggi sulla presenza nel sistema di voto di meccanismi maggioritari. Uno di questi è proprio il premio, anche se questo premio non garantisce una maggioranza. Si tratta di un premio che viene dato ad una lista e non ad una coalizione di liste, come era nel famigerato porcellum. Ma questa differenza su cui tanto si discute oggi conta qualcosa o no nell’attuale contesto della politica italiana? A cosa e a chi può servire l’introduzione del premio alla coalizione?
Se ragioniamo dal punto di vista dell’interesse del paese questa modifica andrebbe fatta se favorisse effettivamente una maggiore governabilità. Tradotto in termini concreti il premio alla coalizione va bene se serve a creare coalizioni pre-elettorali che possano arrivare al 40% dei voti e quindi vincere il premio e governare. Come è successo tra il 1994 e il 2008. Mettiamo da parte il fatto che oggi non si vedono in giro coalizioni fattibili che possano raggiungere questa soglia. Il punto cruciale è un altro. Se l’obiettivo della riforma è la governabilità, allora il premio dovrebbe essere introdotto anche al Senato. Alla Camera abbiamo un premio senza coalizione. Al Senato una coalizione senza premio. Sarebbe ragionevole dunque introdurre la coalizione alla Camera e il premio al Senato. Ma questa ultima operazione solleva un problema giuridico e crea un potenziale rischio politico.
Molti costituzionalisti sostengono che un premio nazionale al Senato è incostituzionale, mentre i premi regionali sono stati bocciati dalla Consulta e dal buon senso. Il rischio politico è che in due camere con corpi elettorali diversi il premio possa essere vinto da forze politiche diverse. Il che – a dire il vero- potrebbe succedere anche se gli elettori fossero gli stessi. Un bel pasticcio in un sistema bicamerale paritario. E allora se il premio non viene introdotto al Senato perché introdurre la coalizione alla Camera? Se la motivazione è la governabilità, è ragionevole che ci sia un premio anche al Senato. Ma se lì non si può o non si vuole fare, la coalizione alla Camera non risolve il problema.
Ragionando dal punto di vista dei partiti a prima vista sembra che il premio alla coalizione serva soprattutto al centro-destra. Senza coalizione, fare una lista unica mettendo insieme Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia è operazione molto complicata e forse impossibile. Con il premio alla coalizione è molto più facile per i tre partiti presentarsi insieme davanti agli elettori. Ma Berlusconi lo vuole veramente? Se la possibilità di arrivare al 40% fosse realistica, magari sì. Ma senza questa prospettiva, perché legarsi le mani prima del voto? Inoltre, non è semplice per il cavaliere accettare di non essere lui il leader della coalizione di centro-destra. Sarebbe la prima volta dal 1994. E a sua volta Salvini potrebbe accettare di non essere lui il candidato premier per far posto a qualcuno scelto da Berlusconi? Insomma solo la possibilità di vittoria potrebbe facilitare il compromesso per uscire dall’impasse dei veti incrociati.
Quanto a Renzi, anche per lui la questione sta più o meno negli stessi termini. Se la possibilità di arrivare al 40% con una qualunque coalizione è irrealistica, perché complicarsi la vita facendo una coalizione prima del voto. Si presenta da solo, dice di voler governare da solo, punta al 40%, se ci arriva bene, se non ci arriva gli alleati li decide dopo. In fondo, se gli elettori non gli danno i voti per governare da solo, sarà chiaro a tutti che nonostante la sua volontà di non fare accordi li dovrà fare per forza per dare un governo al paese. Quindi, che ci sia o meno il premio alla coalizione non fa molta differenza. E’ un falso problema. Anche se ci fosse, Renzi potrebbe comunque presentarsi da solo.
Ai tempi dell’Ulivo e dei Poli il collegio uninominale della Mattarella e il premio di maggioranza della Calderoli incentivavano veramente la formazione di coalizioni pre-elettorali perché la possibilità di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi era concreta. Senza questa prospettiva le coalizioni pre-elettorali perdono appeal. Possono servire soltanto a creare l’illusione della vittoria. Ma se poi la vittoria non arriva le alleanze fatte prima del voto diventano ingombranti dopo il voto, quando per fare un governo occorrerà mettere insieme partiti che si sono presentati in schieramenti contrapposti.
Sarà interessante vedere a quale conclusione arriveranno Pd e Fi dopo aver soppesato dal loro punto di vista i pro e i contro di questa modifica. La nostra conclusione è che non è questa la riforma di cui ha bisogno il paese. Ci vuol ben altro.