Con questo articolo inauguriamo una nuova rubrica del sito web CISE, ovvero le “Interviste CISE”. Si tratta di una rubrica volta a divulgare quella parte dell’attività di ricerca dei membri del CISE che, avendo meno attinenza con la quotidianità della politica italiana, è spesso poco visibile sul nostro sito. Si tratta invece di un’attività fondamentale, che produce pubblicazioni su riviste scientifiche italiane e internazionali, e che orienta l’attività e gli interessi di ricerca del CISE nel lungo termine. Oltretutto, divulgare quest’attività a un pubblico vasto e non specializzato è sempre più un obbligo fondamentale per il ricercatore sociale.
Tuttavia, un problema noto ai ricercatori che fanno questo sforzo di divulgazione è quello del livello di specializzazione dei prodotti della ricerca, e del linguaggio tecnico (nonché spesso dell’uso di strumenti statistici sofisticati) che rende questi prodotti di ricerca spesso inaccessibili al pubblico più vasto. Per questo motivo abbiamo deciso di sperimentare la formula dell’intervista, condotta nel nostro caso da giovani tirocinanti del CISE: studenti di laurea magistrale che hanno familiarità con i concetti e gli strumenti della scienza politica, ma tuttavia mantengono uno sguardo vicino all’attualità e distaccato dalla tecnicità della ricerca. Di conseguenza, le persone ideali per operare una sorta di “mediazione culturale” tra il linguaggio spesso esoterico della ricerca e quello dell’attualità politica. Ovviamente questa operazione si basa su una scommessa: che la ricerca che produciamo sia rilevante per l’attualità politica e quindi abbia davvero dei contenuti che valgono la pena di essere divulgati. Se vinceremo questa scommessa, lo vedremo nel tempo, col susseguirsi di varie “Interviste CISE”.
In ciascuna delle interviste, un tirocinante intervista un ricercatore CISE partendo da una sua pubblicazione recente, per poi inquadrare il progetto di ricerca più ampio di cui questa pubblicazione fa parte. In questa prima intervista Gianmarco Botti intervista Nicola Maggini, in occasione della pubblicazione del suo volume Young People’s Voting Behaviour in Europe. A Comparative Perspective (Palgrave 2016).
Intervista a cura di Gianmarco Botti
Il comportamento di voto dei giovani in Europa. Ne parliamo con Nicola Maggini, autore di Young People’s Voting Behaviour in Europe. A Comparative Perspective (2016)
Nicola Maggini, di cosa si occupa il suo libro? Perché è innovativo?
Il libro si occupa del comportamento di voto dei giovani in Europa, per la precisione in sei Paesi – Italia, Gran Bretagna, Francia, Olanda, Svezia e Spagna – in una prospettiva di lungo periodo, dal 1981 fino ai primi anni del XXI secolo. Ha quindi un approccio comparato sia sincronico che diacronico. Nello specifico si occupa dei fattori esplicativi del voto, cioè di quali sono le determinanti del voto dei giovani in comparazione con quelle degli adulti. È innovativo perché il rapporto fra giovani e politica è stato affrontato in letteratura soprattutto secondo una prospettiva sociologica, quindi considerando quelle che sono le differenze in termini culturali e valoriali tra giovani e adulti. Ci sono articoli che si occupano di singoli Paesi, ma gli studi di carattere comparativo in forma di libro sulle scelte di voto dei giovani non sono molti. Altro elemento innovativo è la metodologia adottata, che è la cosiddetta “stacked analysis”, un’analisi statistica multilivello che permette di considerare tra i fattori esplicativi del voto non solo le tradizionali variabili individuali (genere, età, valori, auto-collocazione politica) ricavate dai sondaggi, ma anche variabili di tipo partitico, che riguardano le caratteristiche dei partiti e le relazioni tra partiti ed elettori (dimensione dei partiti, prossimità/distanza fra partiti ed elettori lungo l’asse sinistra-destra, e via dicendo). Questo tipo di analisi permette di unire in un unico modello diverse variabili esplicative e quindi diversi approcci teorici.
Quali sono i diversi concetti di età che ha preso in considerazione nel suo libro?
Le domande di ricerca a cui cerco di dare una risposta sono essenzialmente due. La prima è: quali sono le determinanti del voto dei giovani rispetto a quelle degli adulti? Inoltre la variabile età può essere operativizzata in diverse maniere: sia come mero dato anagrafico sia guardando al periodo storico in cui una persona è nata e si è formata. Quindi l’altra domanda di ricerca è questa: è il fatto di essere giovani in sé ad influire sulle scelte di voto oppure conta l’essere stati giovani in un certo periodo? Ne derivano due approcci differenti. Il primo guarda al cosiddetto effetto età o effetto ciclo di vita: in questa ottica è stato detto per esempio che i giovani sono più radicali rispetto agli adulti, cioè scelgono partiti che si collocano su posizioni più estreme. L’altra teoria si basa invece sull’effetto generazione: una persona vota in una certa maniera non perché è giovane, ma perché è stata giovane in un certo periodo storico (ad esempio chi è stato giovane negli anni ‘60-‘70 e si è socializzato alla politica in quel periodo storico tende a votare a sinistra e ha sviluppato un sentire comune con la sua coorte di età rispetto alla politica, valori comuni e scelte di voto comuni che si protraggono nel corso del tempo). Dai risultati della mia ricerca viene fuori che quello che conta di più non è l’effetto età, ma l’effetto generazione, ossia gli anni della socializzazione politica, anche se un effetto età comunque esiste e man mano che si passa dalle coorti più giovani a quelle più anziane il peso dell’effetto coorte diminuisce, tranne che nella generazione dei nati tra il 1934 e il 1943, socializzati fra la fine del fascismo e l’inizio della guerra fredda, in un’epoca di grandi contrapposizioni ideologiche e appartenenze di classe. L’effetto della coorte nelle scelte di voto di questa specifica generazione sembra durare di più nel corso del tempo.
Messi da parte l’effetto età e generazione di cui parlava, quali sono gli elementi che incidono maggiormente sulle scelte di voto dei giovani e in cosa si differenziano da quelli che riguardano gli adulti?
Oltre all’effetto età e generazione va anche detto che c’è un terzo tipo di effetto esaminato in letteratura: il cosiddetto effetto periodo, un po’ residuale rispetto agli altri due. Cosa vuol dire? Vuol dire che, per esempio, in un anno c’è un evento specifico che magari influenza tutte le coorti e tutte le persone indipendentemente dalla loro età. Fatta questa premessa, ciò che differenzia maggiormente le scelte di voto dei giovani rispetto a quelle degli adulti è il fatto che per i giovani del campione considerato nella mia analisi il peso delle variabili sociologiche classiche (in particolare quelle legate al cleavage di classe) è minore e statisticamente non significativo (soprattutto per quel che riguarda la distinzione fra colletti bianchi e classe lavoratrice), mentre acquisiscono maggior peso le variabili legate ai valori e soprattutto al coinvolgimento politico in termini motivazionali, ossia l’interesse per la politica. Quindi valori e coinvolgimento politico sono più importanti rispetto alle identità sociali ascritte nel determinare il voto dei giovani. Mentre per gli adulti il peso delle variabili sociologiche classiche, anche se in declino, è in qualche modo ancora significativo: questa è la maggiore differenza. Dato che poi il cambiamento elettorale di lungo periodo è dato dal ricambio generazionale, è chiaro che nel corso del tempo l’importanza dei cleavages tradizionali diminuirà sempre di più. Nuove coorti sostituiranno le vecchie coorti.
Quali invece le analogie fra le determinanti del voto dei giovani e quelle del voto degli adulti?
Ci aspettavamo, in base alla teoria del post-materialismo di Inglehart, delle differenze maggiori fra giovani e adulti circa le determinanti del voto. In realtà ci sono anche molte somiglianze. Ad esempio una variabile socio-demografica tradizionale come l’affluenza alla messa continua a mantenere un’importanza ed è ancora discriminante per quel che riguarda le scelte di voto dei giovani, così come la prossimità fra partiti ed elettori lungo la dimensione sinistra-destra è importante per capire il comportamento elettorale sia degli adulti che dei giovani e lo stesso si può dire per quanto riguarda la dimensione autoritario-libertario. In questo senso non si può parlare di una vera e propria frattura generazionale. Lo stesso indice di post-materialismo – che misura quei valori di tipo postmaterialista che in base alla teoria di Inglehart sono emersi alla fine degli anni Sessanta e che avrebbero dovuto caratterizzare sempre più le nuove generazioni contrapposte alle generazioni più anziane caratterizzate da valori materialisti – nel campione dei giovani che ho analizzato è significativo o solo in un paese (la Svezia) o in generale solo in un anno di rilevazione, il 1981: non è un caso, dal momento che in questo anno la generazione post ’68 rientra ancora nella categoria dei giovani (18-35 anni). Quindi in realtà anche questo è indice del fatto che esiste una generazione politica specifica, quella di coloro che si sono socializzati alla politica negli anni Sessanta-Settanta, mentre per le generazioni successive l’influenza dei valori postmaterialisti sulle scelte di voto non è più significativa.
Nel periodo e nei contesti politici nazionali da lei considerati ha trovato traccia del processo di allontanamento dei giovani dalla politica che negli ultimi decenni molte analisi descrivono sempre più accentuato?
Questo processo è totalmente confermato, anche guardando alla parte descrittiva del libro: si nota che i giovani sono sempre meno interessati alla politica, infatti la percentuale di giovani disinteressati aumenta nel tempo e allo stesso tempo la porzione di intervistati che sono interessati alla politica è composta sempre più da adulti. C’è quindi un progressivo allontanamento delle nuove generazioni dalla politica, che emerge anche dai bassi indici di fiducia nei confronti di istituzioni come il Parlamento o i sindacati o dallo stesso aumento di coloro che non votano. L’aumento dell’astensionismo è un processo che in realtà riguarda tutti, non solo i giovani, ma tra i giovani è più marcato.
Nell’arco di tempo considerato, ha notato mutamenti di rilievo per quanto concerne l’auto-collocazione dei giovani sull’asse destra-sinistra? E l’Italia mostra al riguardo dei tratti specifici?
Nel corso del tempo aumentano – parlo dei sei Paesi considerati tutti insieme, poi vado alla specificità dell’Italia – i giovani che si collocano al centro, che nelle ultime rilevazioni diventano la categoria più numerosa, mentre nella prima rilevazione la categoria più numerosa era quella di coloro che si collocavano a sinistra. Aumenta leggermente anche la percentuale di coloro che si collocano a destra. Questo significa che i giovani sono diventati più moderati e centristi nel corso del tempo oppure collocarsi al centro significa qualcos’altro? Qui ci ricolleghiamo a quello che dicevamo prima: questo collocarsi al centro è un altro indice del fatto che i giovani si stanno allontanando dalla politica perché il centro è come una categoria rifugio, ci si colloca al centro per non collocarsi lungo l’asse sinistra-destra, tanto è vero che combinando questa variabile con la variabile interesse per la politica e anche con quella del non voto si scopre che tra coloro che si collocano al centro prevalgono quelli che non sono interessati alla politica e che propendono ad astenersi. Questo spiega anche il paradosso per il quale, come emerge dalla mia analisi, mentre aumentano i giovani che si collocano al centro, i partiti meno votati dai giovani in tutti e sei i Paesi sono sempre i partiti centristi cristiano-democratici: in realtà molti fra coloro che si collocano al centro non sono centristi in senso ideologico, bensì vivono spesso un’alienazione rispetto alla politica e non votano. Per quanto riguarda l’Italia, essa da una parte conferma il trend dell’aumento dei giovani che si collocano al centro, ma soprattutto è il Paese nel quale aumenta di più nel corso del tempo la componente di coloro che si collocano a destra. L’aumento di questa categoria si verifica in generale, però l’Italia è il Paese dove questo incremento è più marcato. Questo perché i giovani reagiscono anche al mutamento del contesto, anzi si può dire che le giovani generazioni sono proprio quelle che reagiscono prima al mutamento del contesto e dell’offerta politica. Nel 1981 siamo in piena Prima Repubblica, i giovani che si collocano a destra sono ancora pochi, perché all’epoca collocarsi a destra era come dichiararsi eredi del fascismo; col passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica cambia lo spazio politico italiano, la destra viene ‘sdoganata’, la competizione diviene di tipo bipolare, nascono coalizioni pre-elettorali di centrosinistra e di centrodestra, scende in campo Berlusconi, il MSI diventa An, e tutto questo ha un impatto sull’auto-collocazione dei giovani.
Uno sguardo al futuro: quale prospettiva emerge dai risultati della sua ricerca?
Ragionando in termini di futuro, emerge questo elemento dell’apatia elettorale, del disincanto nei confronti dei partiti tradizionali come elemento comune a molti Paesi. Però emerge anche il fatto che i giovani non votano più in base a identità sociali tradizionali legate alla frattura di classe. Questo fa sì che in realtà i comportamenti di voto dei giovani siano anche meno prevedibili rispetto a quelli delle generazioni più anziane e dei giovani del passato. Questo da una parte apre il mercato elettorale: i partiti se vogliono vincere le elezioni dovrebbero quindi puntare soprattutto su questo segmento elettorale che è anche quello più disposto a cambiare le scelte di voto da un’elezione all’altra. Allo stesso tempo però può essere un problema perché aumenta ancora di più, come si sta vedendo negli ultimi anni, la volatilità elettorale, con un impatto significativo sulla stabilità dei sistemi politici europei. Detto ciò, c’è però un elemento di ottimismo: ci sono ancora dei fattori che riescono a strutturare il voto anche fra le nuove generazioni. Sinistra e destra anche se hanno cambiato significato continuano ad essere un fattore esplicativo del voto, così come la dimensione libertario-autoritario. Aumenta certamente la volatilità, ma all’interno di alcuni poli di strutturazione del voto fondati su queste dimensioni o anche su nuove dimensioni di conflitto che potrebbero sorgere di qui in avanti. Qualcosa che struttura il voto e che non lo rende totalmente imprevedibile quindi esiste ancora. Per l’Italia abbiamo visto come i pattern del disincanto e dell’allontanamento dalla politica sono stati confermati allo stesso modo in cui avviene in altri Paesi. D’altra parte i giovani che sono più interessati sono anche più radicali e votano partiti radicali o di destra o di sinistra. Negli ultimi anni si è poi affermato il Movimento 5 stelle, che si definisce né di destra né di sinistra, va oltre questa dimensione, e tuttavia si presenta come un partito-movimento anti-establishment, non come partito moderato. Questo può renderlo attrattivo verso le nuove generazioni che sono alienate rispetto ai partiti tradizionali e infatti riscuote molto successo fra i giovani. Chiaramente per quel che riguarda le scelte di voto dei giovani di oggi non possiamo ancora sapere se si tratta di effetto età o di effetto generazione. Questo lo potremo sapere solo fra qualche anno, tanto più che il voto dei giovani è molto volatile e può cambiare da un’elezione all’altra.