Quel ballottaggio «incostituzionale» che salva la Francia

Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 9 maggio

I francesi hanno eletto un presidente della Repubblica incostituzionale. È proprio così secondo la nostra Consulta. Emmanuel Macron è stato eletto con il 24,01% dei voti espressi. Ricalcolando questa percentuale sugli elettori fa il 18,2%.

In realtà non è andata così. Questi sono ovviamente i dati del primo turno. Al ballottaggio Macron ha ottenuto il 66,1%. Ma per la nostra Corte costituzionale il secondo turno non conta. Conta solo il primo. Il secondo turno è semplicemente la prosecuzione del primo, non una altra elezione. È al primo turno, lì in quel momento, che gli elettori esprimono le loro “vere” preferenze, quelle che servono per poter affermare che il vincitore ha un consenso costituzionalmente legittimo. Macron questo consenso non ce l’ha. Il sistema elettorale francese viola il principio della uguaglianza del voto.

Va da sé che la Consulta nella sua sentenza 35/2017 non è stata chiamata a valutare la costituzionalità di un sistema per l’elezione del presidente della Repubblica, bensì un sistema di voto per la Camera dei deputati. La differenza è ovviamente rilevante. Da una parte si tratta di eleggere una carica monocratica, dall’altra una assemblea rappresentativa. Ma quello che a noi interessa contestare, alla luce della esperienza francese, sono i principi che la Consulta ha malamente utilizzato per dichiarare incostituzionale il famigerato Italicum. E primo fra tutti il principio dell’uguaglianza del voto.

La tesi della Corte è che il secondo voto – quello del ballottaggio – trasforma «artificialmente una lista che vanta un consenso limitato, ed in ipotesi anche esiguo, in maggioranza assoluta». Mutatis mutandis, cioè sostituendo il termine candidato-presidente a quello di lista, è esattamente quello che è avvenuto a Parigi. Macron ha ottenuto al primo turno un consenso limitato, anzi esiguo. Solo un elettore su quattro, tra quanti sono andati a votare, lo ha scelto. Sulla base del ragionamento della nostra Consulta è stato il sistema elettorale grazie al ballottaggio a trasformare artificialmente questo consenso limitato in una maggioranza, violando così il principio di uguaglianza del voto. Operazione del tutto artificiale secondo la Corte perché «prevedendo il ballottaggio una competizione risolutiva tra due sole liste prefigura stringenti condizioni che rendono inevitabile la conquista della maggioranza assoluta dei voti validamente espressi». Secondo la nostra Corte quindi questa restrizione che ha consentito ai francesi di eleggere il loro presidente con il 66% dei voti è irragionevole.

L’elezione di Macron non è il risultato di un voto in cui è stato scelto da milioni di francesi, ma di un artificio. La maggioranza che lo ha eletto non è la maggioranza del secondo turno ma sempre e soltanto la esigua minoranza del primo. Macron non è stato eletto dai 20.753.798 elettori che lo hanno votato al secondo turno, ma dagli 8.656.346 che lo hanno votato al primo. Secondo la nostra Corte è il loro voto a contare, non quello degli elettori che al secondo turno lo hanno votato pur non avendolo votato al primo ovvero il voto di chi lo ha votato al secondo turno dopo essersi astenuto al primo. Per arrivare a questa conclusione la Corte ha di fatto introdotto una interpretazione estensiva dell’articolo 48 della Costituzione, che sancisce l’uguaglianza del voto.

Nella sostanza la Corte ha applicato il principio di uguaglianza non solo al voto in entrata ma anche a quello in uscita. È così che arriva ad affermare che il ballottaggio dell’Italicum comporta una «valutazione del peso del voto in uscita fortemente diseguale». Per questo l’elezione di Macron è incostituzionale, come l’assegnazione di una maggioranza di seggi alla lista che con l’Italicum avesse conquistato la maggioranza dei voti al secondo turno. E in base allo stesso principio è incostituzionale anche l’elezione dei dei nostri sindaci, pure loro scelti con il ballottaggio. Ma in questo caso la Corte, con un ragionamento ad hoc, salva il sistema elettorale dei comuni sopra i 15mila abitanti sentenziando che la valutazione della disuguaglianza del voto in uscita non si applica al livello sub-nazionale ma solo a quello nazionale.

Purtroppo la Consulta, introducendo il principio della uguaglianza del voto in uscita, ha aperto un vaso di Pandora da cui emergeranno infinite contraddizioni che alimenteranno confusione e discredito per le istituzioni. L’uguaglianza del voto in entrata è un principio sacrosanto e chiaro: una persona-un voto. L’uguaglianza del voto in uscita non lo è. È un concetto confuso che serve solo a perpetuare l’intervento delle corti in materia elettorale da una parte, e alimentare il pregiudizio nei confronti di sistemi di voto maggioritari dall’altra. Non ci vuol molto a comprendere come questo giudizio sia frutto di un pregiudizio proporzionalistico. Non ci sorprende, anche se ci indigna, che si possa sentenziare in questo modo senza conoscere la moderna teoria della democrazia e i meccanismi che regolano l’aggregazione delle preferenze individuali in una scelta collettiva.

Al secondo turno delle presidenziali francesi Macron ha preso oltre 12 milioni di voti in più di quanti ne ha presi al primo. Sono quegli elettori che dopo aver espresso una prima preferenza per il candidato a loro più gradito al primo turno (fosse questo Fillon, Mélenchon, Hamon, etc.), nel momento del ballottaggio hanno espresso una seconda preferenza per Macron. Grazie a queste seconde preferenze Macron ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti e per questo si può affermare senza ombra di dubbio che rappresenta la scelta complessivamente più vicina alle preferenze dei cittadini francesi. In termini tecnici si può dire che è il candidato mediano. Nemmeno in Gran Bretagna si potrà dire la stessa cosa dopo le elezioni di Giugno, chiunque venga eletto premier. Questo è il vantaggio del doppio turno.

L’Italicum era appunto congegnato per mettere in campo le seconde preferenze degli elettori. Proprio il ballottaggio avrebbe legittimato la lista vincitrice meglio ancora di una vittoria ottenuta al primo turno con il 40% dei voti. E avrebbe consentito una significativa rappresentanza delle liste perdenti. Infatti al vincitore sarebbero andati 340 seggi e ai perdenti 278: un giusto equilibrio tra governabilità e rappresentatività. Il 18 giugno, secondo turno delle legislative, vedremo cosa succederà in Francia. In particolare sarà interessante vedere quanti seggi prenderanno il Front National e il Partito socialista. Sarà una altra occasione per tornare a parlare di sistemi elettorali maggioritari, di Consulta e di Italicum. Intanto constatiamo con grande amarezza che oggi i francesi hanno un presidente, che durerà in carica cinque anni, e noi una palude, da cui non sappiamo quando e come usciremo.

Roberto D’Alimonte (1947) è professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano. Dal 1974 fino al 2009 ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato come visiting professor nelle Università di Yale e Stanford. Collabora con il centro della New York University a Firenze. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano i sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto in Italia. A partire dal 1993 ha coordinato con Stefano Bartolini e Alessandro Chiaramonte un gruppo di ricerca su elezioni e trasformazione del sistema partitico italiano. I risultati sono stati pubblicati in una collana di volumi editi da Il Mulino: Maggioritario ma non troppo. Le elezioni del 1994; Maggioritario per caso. Le elezioni del 1996; Maggioritario finalmente? Le elezioni del 2001; Proporzionale ma non solo. Le elezioni del 2006; Proporzionale se vi pare. Le elezioni del 2008. Tra le sue pubblicazioni ci sono articoli apparsi su West European Politics, Party Politics, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. E’ membro di ITANES (Italian National Election Studies). E’ editorialista de IlSole24Ore. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.