I risultati delle elezioni comunali di domenica 11 giugno impongono una seria riflessione sul sistema partitico italiano e la sua evoluzione. E’ senz’altro vero che trarre indicazione nazionali a partire da un quadro di competizioni locali è sempre difficile. Eppure alcuni indicatori e il confronto con il passato possono aiutarci ad evidenziare alcune tendenze.
Bipolarismo e frammentazione
Bisogna innanzitutto partire dalla struttura della competizione. La Tabella 1 presenta, per i 25 comuni capoluogo al voto, i valori dell’indice di bipolarismo (la somma delle % di voto dei due candidati più forti al primo turno), di bipartitismo (la somma delle % di voto delle due liste più forti), il numero di liste che ottengono più dell’1% dei voti e, per ognuno di questi indicatori, il relativo confronto con le precedenti elezioni comunali.
Tab. 1 – Bipolarismo, bipartitismo, numero di liste sopra l’1% e confronto con le precedenti comunali
Dunque, nel 2017 l’indice di bipolarismo si è attestato in media al 67,4% nell’insieme dei 24 comuni capoluogo chiamati alle urne. Non vi sono rilevanti differenze tra le tre macro-aree (Nord, Zona rossa, Sud), ma ve ne sono invece tra i singoli comuni. Si sono avuti cioè contesti profondamente diversificati delle singole competizioni locali, che, ad esempio, hanno prodotto un quasi perfetto bipolarismo a Rieti (89,1%) e, all’opposto, una estrema frammentazione multipolare a Taranto (40%).
Il confronto con le precedenti elezioni amministrative negli stessi 24 comuni ci dice poi che l’indice di bipolarismo è nel complesso lievemente aumentato (+1,6). Ciò è vero soprattutto al Sud (+5,4), molto meno al Nord (+0,3), mentre nella Zona rossa si è avuta addirittura una diminuzione (-1,9). Ad ogni modo, i dati non consentono di corroborare l’interpretazione di un ritorno ad una configurazione bipolare della competizione politico-elettorale. Già il dato medio del 67,4 ne è una prova in sé. La differenza di + 1,6 con le precedenti elezioni negli stessi comuni ci dice poi che siamo sostanzialmente sugli stessi livelli del periodo (2012-13) in cui era emersa la progressiva crisi del modello bipolare di competizione che aveva caratterizzato la Seconda Repubblica (Emanuele 2012; 2013); una crisi che ha toccato tutti i livelli di governo, culminando nel terremoto elettorale delle politiche 2013, quando l’indice scese al suo minimo storico nazionale (59,7%) (Chiaramonte e Emanuele 2014). La battuta d’arresto del Movimento 5 stelle non deve dunque trarre in inganno: è indiscutibile che in questa tornata di elezioni amministrative questo polo del sistema partitico abbia subito un ridimensionamento – soprattutto rispetto alla tornata immediatamente precedente e alla percentuale di voti “nazionale” che gli attribuiscono i sondaggi – ma è altrettanto indiscutibile che non ne sia derivata una drastica semplificazione del quadro competitivo, men che mai verso una chiara e significativa ristrutturazione bipolare[1]. In altri termini, se da un lato la diminuzione dei consensi al M5s ha favorito relativamente i candidati sindaci di centro-sinistra e centro-destra – che infatti sono spesso avanzati al turno di ballottaggio – dall’altro il panorama competitivo si è comunque rivelato variegato, caratterizzato cioè dalla presenza di candidati alternativi (soprattutto civici, ma non solo) a quelli dei due maggiori schieramenti. Dunque, il ritorno ad un assetto solidamente bipolare rimane al momento un’illusione.
D’altro canto, la frammentazione partitica – che va poi a riverberarsi nei consigli comunali – si conferma una presenza costante delle elezioni amministrative. L’indice di bipartitismo, che calcola la somma dei voti ottenuti dalle due liste con i maggiori consensi, si è attestato al 31,6%, in significativa ulteriore diminuzione rispetto alle elezioni precedenti negli stessi comuni (-3,8). Considerato che nella tornata delle elezioni amministrative del 2016 il valore dell’indice era stato in media del 36,3%, siamo di fronte ad un trend in chiaro aumento della frammentazione partitica, che raggiunge livelli estremamente elevati. La concorrenza delle liste civiche e localistiche, oltre a quelle personali, indebolisce significativamente i partiti nazionali, che in molti contesti faticano a raggiungere la doppia cifra, se non – addirittura – ad entrare in consiglio comunale.
Come già in passato, è il Sud che spicca per la maggiore frammentazione: il livello di bipartitismo è di appena 25,4% e il numero di liste che ottengono più dell’1% dei voti è 19,3 (contro il comunque alto 16,8 della media nazionale). Si assiste peraltro ad un forte aumento della frammentazione nella Zona rossa, dove l’indice di bipartitismo registra il valore di 36,2% (ben -9 rispetto alle precedenti elezioni negli stessi comuni) e il numero di liste con più dell’1% dei voti cresce a 16 (+1,8). Nel Nord si registra invece una certa stabilità rispetto al passato, sempre però su livelli elevati di frammentazione. Si conferma, dunque, l’incapacità dei partiti nazionali di aggregare le preferenze degli elettori anche nei contesti locali, a riprova della de-strutturazione o de-istituzionalizzazione del sistema partitico in corso (Sani 1992; Chiaramonte e Emanuele 2015).
Come cambia la struttura della competizione: il triangolo di Nagayama
Per comprendere meglio come si è strutturata la competizione tra i candidati sindaci dei diversi partiti/schieramenti nelle città al voto in questa tornata di elezioni amministrative, ci avvaliamo qui di uno strumento, noto come triangolo di Nagayama (1997), che consente di visualizzare una serie di informazioni riguardanti proprio il grado di bipolarismo (ossia di concentrazione percentuale di voti sui primi due candidati sindaco) e di competitività (ossia di scarto percentuale di voti tra i primi due candidati sindaco) nei comuni capoluogo (Figg. 1 e 2). Si tratta di un diagramma in cui la posizione dei singoli punti – ognuno dei quali rappresenta un comune – è determinata da due coordinate: la percentuale di voti conseguita dal candidato arrivato primo (asse delle ascisse) e la percentuale di voti conseguita dal candidato arrivato secondo (asse delle ordinate). Tutti i punti (i comuni) finiscono per collocarsi per l’appunto all’interno di un triangolo isoscele, i due lati uguali del quale hanno le seguenti proprietà:
– il lato di sinistra è caratterizzato dall’uguaglianza di voti dei due candidati più forti. Tutti i comuni che si collocano nella fascia a ridosso di esso (in questo caso, una fascia che corrisponde ad uno scarto di voti tra 0 e 10%) sono comuni competitivi. Inoltre, tanto più quanto più vicini sono al vertice in basso a sinistra, si tratta di comuni caratterizzati da una competizione multipolare, in cui cioè «terze forze» ricevono percentuali di voto «rilevanti».
– il lato di destra caratterizza invece i comuni dove sono presenti solo due candidati. Tutti i comuni che si collocano nella fascia a ridosso di esso (in questo caso, una fascia che corrisponde ad una somma di voti dei due candidati maggiori compresa tra 90 e 100%) sono comuni bipolari. Inoltre, tanto più quanto più vicini sono al vertice in basso a destra, si tratta di comuni non competitivi, in cui cioè la differenza percentuale di voto tra i due candidati più forti è «rilevante».
Oltre a ciò, vale la pena sottolineare che: 1) il rombo al vertice superiore del triangolo, racchiude i comuni che sono allo stesso tempo bipolari e competitivi; 2) l’area non compresa all’interno delle fasce laterali definisce un ampio spettro di situazioni caratterizzate comunque da un certo grado di multipolarismo e di non competitività.
Fig. 1 e 2 – Il triangolo di Nagayama applicato ai risultati delle elezioni del sindaco nei 24 comuni capoluogo, 2012-2014 (elezioni precedenti nelle stesse città) e 2017 (elezioni correnti nei 24 comuni capoluogo)
Possiamo adesso analizzare la dispersione dei punti nel diagramma che consegue dall’applicazione dei risultati nei 24 comuni capoluogo, con riferimento sia alle elezioni del 2017 (Fig. 2) sia a quelle precedenti 2012-14 negli stessi contesti (Fig. 1). Le differenze che si registrano tra un’elezione e l’altra sono indicative delle trasformazioni che hanno avuto luogo nella struttura della competizione. In particolare, nel passaggio dalle elezioni del 2012-14 a quelle del 2017, si nota una riduzione della dispersione dei punti (comuni) nello spazio e un tendenziale spostamento verso sinistra, ossia verso l’area del multipolarismo competitivo. Al contrario, si svuota l’area del bipolarismo competitivo di quel poco che c’era (Lecce e, non distante, Gorizia). Per il resto, registriamo come detto un aumento della competitività, ma all’interno di un quadro multipolare, in cui sono cioè più di due i contendenti «rilevanti». Non mancano però anche i comuni nei quali un polo/candidato sia dominante, ad esempio Cuneo e Frosinone.
L’affollamento dei punti nella fascia del multipolarismo competitivo sta a significare che in molti comuni già dal primo turno c’è grande incertezza sul risultato finale. Spesso vanno al ballottaggio candidati che al primo turno hanno conseguito percentuali di voto limitate, il cui successo dipenderà in larga misura dalla loro capacità di attrarre gli elettori dei “terzi” candidati. In questa tornata di amministrative sappiamo che in molti casi il ballottaggio è tra i candidati di centro-destra e di centro-sinistra, ma la quota degli elettori che al primo turno non si è espressa per nessuno di loro è mediamente molto elevata e dunque il risultato finale in mano loro. La crescita della competitività segnala il declino delle aree-roccaforte, ma, come abbiamo visto, non si accompagna alla riaffermazione di un assetto bipolare. Ancora una volta emerge con chiarezza che, nonostante il M5s non ne sia più il catalizzatore esclusivo, vi è un’area ampia di elettori che non si riconosce né nel centro-destra né nel centro-sinistra, ma che non rinuncia a sostenere altri candidati. A livello locale l’era post-bipolare non è (ancora?) tramontata.
Una tipologia dei ballottaggi
In che modo la struttura della competizione analizzata finora può influenzare l’esito dei ballottaggi? Per capirlo prendiamo in considerazione due dimensioni. La prima è il distacco, in termini percentuali, tra primo e secondo candidato sindaco in ogni comune. Va da sé che la sfida del ballottaggio sarà quanto più aperta tanto minore è il distacco tra i due candidati che accedono al secondo turno. La seconda dimensione presa in esame attiene invece al potenziale di voti “disponibili” da conquistare al ballottaggio. Essa consiste nella percentuale dei voti raccolti dai candidati sindaco sconfitti al primo turno. Assumendo che la rimobilitazione di astenuti sia assente (è assai difficile che al ballottaggio l’affluenza cresca rispetto al primo turno), gli unici voti “sul mercato” sono quelli dei candidati già esclusi dalla competizione: maggiore è il numero di voti raccolti da questi candidati, più alte saranno le chances di rimonta per i candidati giunti secondi al primo turno e quindi tanto maggiore sarà lo spazio di competizione al ballottaggio. Incrociando le due dimensioni otteniamo uno diagramma che delinea quattro possibili situazioni, configurando così una vera e propria tipologia della competizione nei 20 capoluoghi al ballottaggio (vedi Figura 3).
Fig. 3 – Tipologia della competizione nei 20 comuni capoluogo al ballottaggio
Tanto più i punti della Figura 3 si avvicinano ai quattro angoli del grafico, tanto più i comuni possono essere accostati ad un ‘tipo’ di competizione ben delineato; tanto più, viceversa, i punti cadono vicino al centro del grafico, tanto più è difficile assegnarli ad uno dei quattro tipi.
La parte alta della figura delinea situazioni in cui, sulla base dei voti espressi al primo turno, c’è un ampio distacco tra i due candidati al ballottaggio. In questi casi la rimonta è tanto più possibile quanto più è alta la percentuale di voti dei candidati esclusi. In altri termini, il candidato giunto secondo al primo turno ha ‘potenziale di rimonta’ se ha a disposizione un ampio bacino di voti in libertà fra i quali pescare. Altrimenti la partita tende ad essere chiusa. Date queste premesse, il contesto che più si avvicina all’idealtipo della ‘partita chiusa’ pare essere quello di Gorizia, dove il distacco percentuale tra primo e secondo candidato è sostanzialmente identico alla percentuale di voti rimasta sul mercato: ciò significa che per ribaltare l’esito del primo turno e conquistare la poltrona di primo cittadino, il candidato del centrosinistra Collini dovrebbe fare il pieno di voti in uscita dai candidati esclusi, oltre a dover rimobilitare tutti i propri. In misura minore, anche Belluno e Lecce appaiono vicini al polo della partita chiusa. Situazione invece leggermente diversa ad Asti, dove il centrodestra è avanti di oltre 30 punti sul Movimento Cinque Stelle. (valorhealthcare.com) Parrebbe la partita più chiusa fra i 22 comuni capoluogo al ballottaggio. Eppure, Asti figura più vicina al quadrante in alto a destra che a quello in alto a sinistra. In questo contesto, esiste infatti un ‘potenziale di rimonta’: il 37,1% dei voti sono infatti andati a candidati esclusi dal ballottaggio e potrebbero favorire la clamorosa rimonta di Cerruti (M5S) su Rasero (centrodestra). Trattandosi del M5S non sarebbe la prima volta, basti ricordare il caso di Ragusa di qualche anno fa. Questo ovviamente non significa che la rimonta avverrà, dal momento che altre variabili, prima fra tutte l’affluenza, entreranno nell’equazione.
La parte bassa della figura, invece, designa situazioni competitive, in cui il distacco tra i due candidati è contenuto. Ciò che differenzia la parte sinistra dalla parte destra del diagramma è la strategia che i due candidati dovranno seguire per vincere. I comuni vicini all’estremità sinistra del grafico sono caratterizzati da un basso numero di voti espressi a favore di candidati esclusi dal ballottaggio: sono situazioni tendenzialmente bipolari, in cui i primi due candidati hanno già fatto il pieno di voti. In questo contesto, chiaramente visibile a Monza e Rieti, vi sarà una corsa alla rimobilitazione dei propri elettori: chi ne riporterà a votare il maggior numero si assicurerà la poltrona di sindaco. I comuni vicini all’estremità destra del diagramma configurano situazioni con altissima frammentazione e una struttura multipolare della competizione. Il margine tra i due candidati è basso è c’è una enorme quantità di voti liberi. In questi casi vincerà chi saprà raccogliere il maggior numero di ‘seconde preferenze’, convincendo coloro che al primo turno avevano optato per candidati poi sconfitti. Dei quattro ‘tipi’ di competizione delineati dalla tipologia, questo è certamente il più diffuso in queste comunali (lo era già l’anno scorso, vedi Chiaramonte e Emanuele 2016, 135), comprendendo circa una decina di casi, fra i quali spicca certamente il caso di Taranto. Qui il distacco tra i due poli principali è inferiore ai 5 punti, ma ce ne sono ben 60 appartenenti a candidati esclusi dal ballottaggio. La partita sarà decisa certamente dalle seconde preferenze ed ogni esito appare possibile. Anche Oristano, Verona, Lodi, La Spezia, Como, Piacenza e Alessandria appartengono a questa categoria. Ciò testimonia ulteriormente quanto già emerso in precedenza dai triangoli di Nagayama: l’ormai avvenuto passaggio dal bipolarismo ad un multipolarismo competitivo. Rispetto all’anno scorso, però, notiamo che questo multipolarismo non dà luogo, se non solo in pochi casi (Asti, Belluno, parma e Verona), a competizioni a ‘geometria variabile’, ossia alla presenza di diversi poli competitivi nelle varie città. Quest’anno a sfidarsi saranno quasi sempre le due coalizioni ‘classiche’ di centrosinistra e centrodestra. Le due coalizioni principali, dunque, sono tornate ad essere quelle del ventennio bipolare, sebbene non siano più autosufficienti, dal momento che per vincere dovranno andare a caccia degli elettori dei poli esclusi.
Così, il sistema partito italiano a livello locale appare in un limbo: i terzi poli non sono più competitivi, ma il bipolarismo è ancora un’illusione.
Riferimenti bibliografici
Chiaramonte, A. and Emanuele, V. (2014), ‘Bipolarismo Addio? Il Sistema Partitico tra Cambiamento e De-Istituzionalizzazione’, in A. Chiaramonte e L. De Sio (a cura di), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Bologna, Il Mulino, pp. 233-262.
Chiaramonte, A. and Emanuele, V. (2015), ‘Party System Volatility, Regeneration and De-Institutionalization in Western Europe (1945-2015)’, Party Politics, Online First, pp. 1-13, DOI:10.1177/1354068815601330.
Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2016), ‘Multipolarismo a geometria variabile: il sistema partitico delle città’, in Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, CISE, pp. 129-137.
Emanuele, V. (2012), ‘C’era una volta il bipolarismo’, in L. De Sio, e A. Paparo, (a cura di), Le Elezioni Comunali 2012, Dossier CISE (1), Rome, CISE, pp. 53-56.
Emanuele, V. (2013), ‘Comunali 2013: l’Italia è ancora bipolare’, in C. Cataldi e A. Paparo (a cura di), Le elezioni comunali 2013, Dossier Cise (5), Rome, CISE, pp. 43-46.
Nagayama, M. (1997), Shousenkyoku no kako to genzai [Il presente e il futuro dei collegi uninominali], paper presentato al convegno annuale della Associazione giapponese di scienza politica, 4-6 settembre.
Sani, G. (1992), ‘La destrutturazione del mercato elettorale’, Rivista italiana di scienza politica, 22(3), pp. 539-66.
[1] Ulteriore prova del non ritorno al bipolarismo è fornita dal confronto con le comunali del 2016, quando l’indice si attestò sugli stessi livelli di questa tornata (67,8%), ma in diminuzione di oltre 12 punti rispetto alle comunali precedenti (2011), quando ancora il sistema poteva dirsi fondamentalmente bipolare (Chiaramonte e Emanuele 2016, 130).