Trasformismo e adeguamento strategico: l’offerta politica in Sicilia

A meno d’un mese dall’appuntamento del 5 novembre, si delinea – quasi del tutto – l’offerta politica in Sicilia: 900 aspiranti deputati regionali concorrono per 70 seggi a Palazzo dei Normanni. 15 liste supportano 8 candidati alla presidenza: Musumeci, Cancelleri, Micari, Fava, l’outsider La Rosa e gli attualmente esclusi Busalacchi, Lo Iacono e Reale.
Recenti sondaggi accreditano quale favorito il centrodestra. Con l’eccezione di Alternativa Popolare, la coalizione di Musumeci coincide appieno col blocco rappresentativo dell’intera area politica. Non accadeva dal 2008. Complice un disastroso effetto incumbency ai danni del governo uscente di centrosinistra, le liste al fianco dell’ex presidente della Provincia di Catania brulicano di Lords of Preferences (Emanuele e Marino 2016), ossia di candidati che nelle regionali del 2012 sono stati in grado di raccogliere almeno l’1% dei voti validi nella circoscrizione d’appartenenza. Il peso delle preferenze raccolte nel 2012 dai Lords compattatisi oggi con Musumeci ammonta al 39,4% già solo nel collegio di Palermo, dove si forma un quarto dell’assemblea regionale (16 componenti su 70).
La Tabella 1 presenta il quadro dell’offerta, ancora sub iudice a causa dell’inammissibilità, dichiarata dall’Ufficio elettorale centrale, dei listini regionali di Busalacchi, Loiacono e Reale, nonché dell’esclusione della lista Micari Presidente a Messina. Un depennamento tanto eclatante quanto il capofila che nel territorio peloritano l’avrebbe trainata: Rosario Crocetta, presidente della Regione uscente.

Tab. 1 – Offerta elettorale, Sicilia 2017

offerta sicilia 2017*A data odierna, 14/10/2017, si tratta di candidature giudicate inammissibili e dunque escluse dalla competizione elettorale.

Giancarlo Cancelleri resta in Sicilia l’unico esponente autenticamente riconoscibile del M5s. Uno studio di Demopolis attesta la notorietà del candidato pentastellato al 68%, con un incremento del 10% dallo scorso mese. Eppure, irta appare la strada che condurrebbe l’ex geometra a Palazzo d’Orléans. Nelle elezioni regionali siciliane le variabili culturali giocano un ruolo maggiore di quelle politiche. Inoltre, l’esigua affluenza – secondo gli ultimi sondaggi, pronosticata al 44% – rinvigorirebbe il voto strutturato, alimentato da “quell’elettorato che coltiva un rapporto organico con i partiti e con i suoi esponenti, e che il più delle volte ha precisi interessi in gioco” (D’Amico 1991).
Spera, l’entourage di Cancelleri, in una significativa mobilitazione dei cittadini altrimenti astenuti, confidando nel 56,7% che nell’Isola si recò alle urne in occasione dell’ultimo referendum costituzionale. Al M5s gioverebbe una partecipazione vicina al 50%, superiore quindi di cinque punti rispetto a quell’attesa. Equivarrebbero a più di 200.000 elettori. Curioso come durante la passata consultazione l’astensione penalizzasse invece oltremodo il centrodestra. All’epoca, defezionarono l’appuntamento oltre due terzi tra i sostenitori del Pdl di Palermo e Catania, nonché il 45% di quelli di Messina (Cataldi e Paparo 2012).
La schiera di Musumeci predomina anche numericamente, monopolizzando un terzo dell’offerta in campo: un esercito di 350 candidati raccolti in 5 liste, obbligate a fronteggiarsi con la soglia di sbarramento al 5%, incentivo ad accorpamenti e ostacolo alla frammentazione (D’Agata, Gozzo, Tomaselli 2007). Al contrario del Tatarellum, nessun dispositivo della legge n.7/2005 agevola le liste coalizzate, motivo che ha spinto al congiungimento Noi con Salvini e Fratelli d’Italia, main sponsor del candidato presidente, e l’inaspettata coppia Saverio Romano-Raffaele Lombardo in Popolari e Autonomisti, formazione in sostegno dell’ex rettore di Palermo Roberto Lagalla, assessore designato nella giunta di Musumeci in caso di vittoria. Pone un argine, il limite d’accesso all’Ars, al bailamme di una competizione eccessivamente localizzata, così tale da quando fu abolito nel 1951 il collegio unico regionale.
Dello stesso tenore le scelte prese tanto nel campo progressista, col Megafono di Crocetta unito ad Arcipelago Sicilia di Leoluca Orlando sotto la sigla Micari Presidente, quanto da Claudio Fava e la sua Cento passi per la Sicilia. La sinistra radicale scongiura l’errore commesso nel 2012, quando il cartello di Giovanna Marano raggiunse il 6,6% restando però fuori dal parlamento regionale, dazio per aver presentato due liste entrambe oscillanti attorno al 3%. Qui si staglia una novità: nell’Isola, le forze politiche del 2017 tentano un miglior adeguamento strategico alle regole elettorali, con l’intento di non “sprecare” consenso. Non sorprende che i candidati alla presidenza diminuiscano da 10 a 8 mentre le liste da 20 a 15 rispetto al 2012 (con la seria possibilità, s’è scritto, che scendano rispettivamente a 5 e 12). Come mostra la Figura 1, l’adeguamento strategico agli incentivi offerti dalla legge elettorale porta il numero di liste e candidati in una posizione intermedia fra l’estrema frammentazione di 5 anni fa e il formato raccolto degli anni immediatamente successivi all’approvazione della legge elettorale (2006-2008): all’epoca, in una cornice ancora bipolare, le liste erano 12 e i candidati Presidente rispettivamente 3 e 5.

Fig. 1 – La frammentazione dell’offerta politica in Sicilia, 2001-2017

sicilia 2017 frammentazione offerta

Ciò nonostante la disproporzionalità – calcolabile tramite l’indice di Gallagher (1991) – non si correla direttamente alla quantità dell’offerta (vedi Tabella 2). Serva ad esempio il 2008: 5 candidati a Palazzo d’Orléans appoggiati da 12 liste non impedirono che il dato (11,4) battesse quello dell’affollata consultazione del 2012 (7,6). Neanche un attento adeguamento strategico postula il superamento della soglia del 5%, assurgendo esclusivamente a condizione necessaria ma non sufficiente.

Tab. 2 – Disproporzionalità nelle elezioni regionali siciliane (2001-2012)

sicilia 2017 disproporzionalità 2001-2012
*Nel 2001 si votò per l’unica volta in Sicilia con il Tatarellum, che prevedeva l’assegnazione di seggi anche a liste con meno del 3% qualora collegate a una coalizione con più del 5%. Con la legge n.7/2005, dal 2006 venne adottato l’attuale sistema elettorale.

Perdurano, gli interrogativi riguardanti le consultazioni siciliane, ma le risposte iniziano pian piano a giungere. Gli scampoli finali del testa a testa Musumeci-Cancelleri s’animeranno degli endorsements dei rispettivi leader nazionali, in procinto di venire nell’Isola. Rimane apparentemente distaccato, stando ai sondaggi, Fabrizio Micari, il rettore che con la sua ‘sfida gentile’ tenta di guarire il centrosinistra siciliano da una cronica aplasia politico-organizzativa. Le 4 liste, forti di 280 candidati che corrono in suo sostegno potrebbero aiutarlo a scongiurare il rischio di una débacle storica per il centrosinistra, ma allo stesso tempo la percezione di non essere competitivo per la vittoria potrebbe scoraggiare il ‘voto utile’ e favorire la libera uscita di parte del suo elettorato verso Fava e la sinistra radicale.
A ormai 3 settimane dal voto l’esito delle elezioni sembra dipendere in gran parte da un unico fattore: l’affluenza. Se questa si confermerà bassa come nel 2012, o in ulteriore calo, come sembrano documentare i sondaggi in questa settimane, la strada di Musumeci verso Palazzo d’Orleans sarà spianata. Con i suoi 350 candidati contro gli appena 70 (e per di più, sostanzialmente sconosciuti) a disposizione di Cancelleri, il traino del voto di preferenza sarà decisivo. Il voto personale ai Signori delle preferenze appare oggi l’ultimo ancoraggio ‘democratico’ che lega gli elettori siciliani (e non solo) ai meccanismi della democrazia rappresentativa, in un contesto nel quale i partiti si riducono a vuoti contenitori di candidati, privi di legittimazione popolare e politicamente indistinguibili. Un’alta affluenza – ad oggi difficilmente pronosticabile – invece, ridimensionerebbe il peso del voto personale, facendo rientrare nel circuito elettorale tanti cittadini che da tempo in Sicilia hanno preferito, per dirla con Hirschman (1970), l’exit alla voice, rimettendo quindi il risultato in discussione. In questo contesto un ruolo importante sarà giocato dagli attori politici nazionali: le elezioni siciliane saranno trasformate in una contesa nazionale, ossia interpretate come un crocevia decisivo sulla strada che porta alle elezioni politiche del 2018? O viceversa saranno ridimensionate a contesa locale priva riflessi sul piano nazionale?

Riferimenti bibliografici

Cataldi M., Paparo A., “I flussi elettorali in Sicilia: il Pdl diserta le urne e Grillo pesca dal centrosinistra”, in “Un anno di elezioni verso le politiche 2013”, Dossier CISE N.3, pagine 67-74.

D’Agata R., Gozzo S., Tomaselli V., “Le elezioni regionali del 2006 in Sicilia: un’analisi territoriale della partecipazione e del voto alla luce delle primarie del centrosinistra”, in “Quaderni dell’osservatorio elettorale”, numero 58, 2007, pagine 43-74.

D’Amico R., “La ‘cultura elettorale’ dei siciliani”, in Morisi M. (a cura di), “Far politica in Sicilia. Deferenza, consenso e protesta”, Feltrinelli, 1993, pagine 211-257.

Emanuele V., Marino B:, “Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-istituzionalized party system”, in “Regional and Federal Studies”, 2016, pagine 531-554.

Gallagher, M., “Proportionality, Disproportionality and Electoral Systems”, in “Electoral Studies”, 2016, vol. 10, pagine 33-51.

Hirschman, A., “Exit, Voice and Loyalty: Responses to Decline in Firms, Organizations and States”, 1970, Cambridge, Mass., Harvard University Press.

Istituto Demopolis, “Elezioni Regionali in Sicilia: indagine Demopolis a un mese dal voto”, http://www.demopolis.it/?p=4462, 2017.