Dopo il voto ai diciottenni, la riforma delle Camere

Pubblicato su Il Sole 24 Ore dell’ 11 luglio

Era ora. Finalmente è stata approvata la riforma costituzionale che consente ai diciottenni di votare anche al Senato. La differenziazione dei corpi elettorali nei due rami del Parlamento aveva poco senso già nel 1947, ma allora era tutto sommato una peculiarità innocua. Erano i tempi in cui deputati e senatori venivano eletti con un sistema proporzionale che pur essendo sulla carta diverso al Senato rispetto alla Camera in realtà funzionava più o meno allo stesso modo.  Per di più a quell’epoca il voto era più stabile. In quel contesto il fatto che al Senato votasse chi aveva compiuto 25 anni non produceva danni. I risultati elettorali nelle due camere erano sostanzialmente gli stessi.

Poi è cambiato il mondo. Non solo il voto è diventato più fluido, quello dei giovani in primis, in una società sempre più secolarizzata. Soprattutto sono cambiati i sistemi elettorali. A partire dal 1994 abbiamo sempre votato con sistemi misti caratterizzati dalla presenza di una componente più o meno rilevante di elementi maggioritari. Come è noto, mentre con i sistemi proporzionali piccole differenze di voti tendono a tradursi in piccole differenze di seggi, questo non è vero nel caso dei sistemi maggioritari. Con questi piccole differenze di voti si possono tradurre in grandi differenze di seggi. Quindi l’adozione di sistemi del genere amplifica il rischio che camere elette con due corpi elettorali diversi possano avere maggioranze diverse.  Un rischio grave in un sistema, come il nostro, in cui le due camere hanno le stesse funzioni, compresa quella di dare e togliere la fiducia ai governi.

Perciò già nel 1993 quando fu approvata la legge Mattarella, che ha introdotto un sistema elettorale in cui il 75 % dei seggi veniva assegnato con la maggioranza semplice in collegi uninominali, si sarebbe dovuto modificare contestualmente la Costituzione per unificare i corpi elettorali delle due camere. Non fu fatto allora. Né fu fatto dopo, quando nel 2005 fu approvata la riforma Calderoli che sostituiva i collegi con il premio di maggioranza. Anzi. Allora fu fatto l’errore di introdurre un premio unico alla Camera e 17 premi al Senato moltiplicando ulteriormente il rischio di esiti diversi tra le due camere. E così è stato, per esempio, nelle elezioni del 2006 quando la coalizione di Prodi ebbe la maggioranza dei voti alla Camera, ma non al Senato. Ma già con la legge Mattarella si sono registrati esiti diversi tra le due camere.

La responsabilità del fenomeno non è da attribuire interamente alla differenza dei corpi elettorali ma indubbiamente questo elemento vi ha contribuito e comunque ha sempre rappresentato un inutile fattore di rischio.  La riforma della costituzione approvata in questi giorni riduce il rischio, ma non lo elimina. Offerte elettorali diverse, in un contesto di grande volatilità elettorale, possono comunque produrre esiti diversi. Il prossimo passo deve essere quello di differenziare le funzioni delle due camere.  Anche questa è una riforma da troppo tempo attesa.  Siamo rimasti l’unico paese dell’Unione con due camere che hanno esattamente gli stessi poteri.