Chi vincerà le elezioni comunali? Il confronto nei 26 capoluoghi di provincia al voto

Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 11 giugno 2022

Non è vero che le elezioni amministrative abbiano solo una valenza locale. Non c’è dubbio che i fattori locali giochino un ruolo importante nella scelta dei candidati e nella formazione delle liste, ma la politica nazionale gioca un ruolo altrettanto importante nella definizione degli assetti coalizionali e spesso nella scelta dei candidati sindaco per tener conto degli equilibri tra i partiti alleati. Le elezioni amministrative sono difficili da analizzare proprio perché il mix di fattori locali e nazionali crea un quadro complesso reso ancora più incerto dal fatto che accanto ai partiti nazionali competono una pletora di liste civiche di varia derivazione che complicano la lettura della offerta politica e quella dei risultati elettorali.

I comuni al voto in questa tornata sono 971. Quelli sopra i 15mila abitanti sono 142. Questi sono i comuni in cui il sistema elettorale prevede oltre alla elezione diretta del sindaco anche il ballottaggio nel caso in cui nessun candidato superi il 50% dei voti al primo turno. L’analisi che proponiamo qui è limitata ai 26 comuni capoluogo di regione. Sono dodici comuni del Nord, quattro della cosiddetta zona rossa, e dieci comuni del Sud. Non sono un campione rappresentativo dell’universo dei comuni al voto né dell’universo dei comuni italiani, ma sono comunque un insieme utile per “spiare” l’evoluzione della politica italiana in questo momento di grande incertezza. In particolare ci poniamo una domanda: in che misura i due poli di centro-destra e di centro-sinistra si presentano uniti in queste 26 città? Va da sé che la questione è rilevante sia per capire chi potrà vincere nei vari comuni sia in chiave di politica nazionale in vista delle prossime elezioni politiche.

La tabella in pagina risponde per l’appunto a questo quesito. Prima però occorre una precisazione. I dati nella tabella non presentano la fotografia completa della offerta elettorale nei 26 comuni. Vista la domanda che ci siamo posti abbiamo preferito semplificare il quadro omettendo di includere numerosissime liste civiche che popolano tutte le competizioni locali. Ci siamo quindi limitati ai partiti nazionali e alle loro scelte coalizionali.

La prima e più importante osservazione da fare è che il quadro delle alleanze in questi 26 comuni riflette abbastanza fedelmente lo stato dei rapporti tra i partiti all’interno dei due poli a livello nazionale. L’opinione largamente diffusa di un centro-sinistra più in difficoltà del centro-destra a presentarsi unito secondo lo schema lettiano del campo largo trova in questi dati una parziale conferma. I due maggiori partiti del campo largo, Pd e M5s, si presentato insieme in 15 comuni su 26. Il M5s non si presenta con il suo simbolo in 8 comuni mentre a Cuneo, Piacenza e Barletta si presenta contro il Pd. L’analisi fatta dall’Istituto Cattaneo su tutti i 142 comuni sopra i 15mila abitanti evidenzia che la collaborazione tra i due partiti diminuisce ulteriormente a livello dei comuni più piccoli.

Non si può dire però che il quadro complessivo sia del tutto negativo. Diciamo piuttosto che è problematico. Rispecchia il fatto che la coalizione di centro-sinistra è un progetto in corso. Rispetto al passato non c’è dubbio che Pd e M5s abbiano fatto progressi nel cercare di realizzare una collaborazione più stretta. Quindici comuni capoluogo in cui questo è accaduto non sono pochi se guardiamo al passato anche recente. Ma allo stesso tempo non si può dire che il processo sia concluso. Le difficoltà ci sono e non riguardano solo il rapporto Pd-M5s. I dati mostrano che le altre componenti del campo largo raramente si trovano insieme ai due maggiori partiti dello schieramento. Iv e Azione sono partiti ballerini, come si vede nella tabella. Il partito di Renzi a Verona appoggia Tosi insieme a FI, mentre a Genova e Rieti sostiene i candidati di centrodestra. In tutti i casi senza presentare una sua lista. Il partito di Calenda spesso si presenta da solo o non si presenta. Forse si tratta di idiosincrasie locali ma è più probabile che siano la spia del poco entusiasmo che i partiti di centro del campo largo hanno rispetto all’idea di allearsi con il M5s e quindi del tentativo di battere strade nuove alla ricerca del fantomatico terzo polo. In pratica non c’è un solo comune capoluogo in cui abbia trovato attuazione la strategia di Letta.

A confronto, i tre maggiori partiti del centro-destra si presentano tutti insieme in 19 comuni, ma tenendo conto che a Messina e Oristano la Lega non si presenta affatto, si può dire che sono 21 su 26 i comuni in cui si può parlare di sostanziale unità del centro-destra. Il dato contrasta con la narrazione che quotidianamente si trova sui vari media di profonde divisioni all’interno di questo schieramento. Le divisioni ci sono, ma al dunque la forma di governo, il sistema elettorale e la voglia di vincere riescono a tenere insieme anche a livello locale questo schieramento composito e conflittuale. E molto probabilmente per le stesse ragioni sarà così anche alle prossime politiche, nonostante le pantomime quotidiane cui assistiamo. Nel dettaglio, sono cinque i casi in cui i tre partiti del centro-destra si sono divisi. In tre comuni è il partito della Meloni che ha deciso di presentarsi senza FI e Lega (Parma, Viterbo e Catanzaro). In due comuni (Belluno e Verona) è Forza Italia che ha scelto altri alleati. Quanto alla Lega non esiste alcun comune capoluogo dove si presenti insieme ad altri partiti che non siano Forza Italia o Fdi.

Verona, che come abbiamo scritto vede insieme il partito di Renzi e quello di Berlusconi in contrapposizione ai candidati sindaco sostenuti dal Pd e dal binomio Lega-Fdi, merita la conclusione di questo articolo perché rappresenta la spia delle tentazioni che serpeggiano nei due poli e il segnale della fragilità della politica italiana in questa fase. L’accordo Italia Viva- Forza Italia non è la sola “anomalia”. Infatti, a sostegno di Damiano Tommasi, candidato civico sostenuto dal Pd, si sono schierati sia il M5s che Azione. Ma il M5s non appare con il suo simbolo. Si tratta di un appoggio – diciamo – informale che comunque prevede la presenza di candidati del Movimento nella lista civica di Tommasi. La stessa tecnica utilizzata da Renzi oltre che Verona, a Genova e Rieti. Sono gli espedienti della politica italiana. È difficile che a livello nazionale, per salvare l’idea del campo largo, si possano mettere insieme M5s, Azione e Iv con un simile espediente. Con Azione e Iv che danno l’appoggio informale alla coalizione Pd-M5s in cambio di posti nella lista del Pd. È difficile, ma chissà? Dipenderà probabilmente dai sondaggi.

Roberto D’Alimonte (1947) è professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano. Dal 1974 fino al 2009 ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato come visiting professor nelle Università di Yale e Stanford. Collabora con il centro della New York University a Firenze. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano i sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto in Italia. A partire dal 1993 ha coordinato con Stefano Bartolini e Alessandro Chiaramonte un gruppo di ricerca su elezioni e trasformazione del sistema partitico italiano. I risultati sono stati pubblicati in una collana di volumi editi da Il Mulino: Maggioritario ma non troppo. Le elezioni del 1994; Maggioritario per caso. Le elezioni del 1996; Maggioritario finalmente? Le elezioni del 2001; Proporzionale ma non solo. Le elezioni del 2006; Proporzionale se vi pare. Le elezioni del 2008. Tra le sue pubblicazioni ci sono articoli apparsi su West European Politics, Party Politics, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. E’ membro di ITANES (Italian National Election Studies). E’ editorialista de IlSole24Ore. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.